3.14 • CONTINUAMENTE E PER FUTILI MOTIVI

«Sei sicuro sia una buona idea, Relu?» aveva domandato la Clement, mentre Ionascu, spingendo sullo stantuffo della siringa, faceva fuoriuscire una goccia di liquido dall'ago.

«No» aveva risposto lui, legandomi faticosamente il laccio emostatico intorno al braccio, mentre la Clement tentava di tenermi ferma. «Ma è l'unica che mi viene in mente».

Quelle erano le ultime parole che ricordavo. Poi avevo alzato la testa, che mi doleva come se l'avessi ripetutamente sbattuta contro il muro, e mi ero guardata intorno. Mi trovavo ancora nell'anticamera dello studio di Ionascu, quella con gli scheletri e le altre mostruosità, dove la Clement mi aveva condotta la notte precedente. Solo che si era improvvisamente fatto giorno.

«Buongiorno, Melania» mi aveva detto la signora Petrocchi, china davanti a me. «Hai avuto un piccolo incidente, cara?»


Ania, mi chiamò Daniel, sedendosi sul mio letto. Come stai?

«Male» gli risposi. «Meglio di Nozomi, sicuramente».

Non era morta. La Clement mi aveva costantemente tenuta aggiornata sulle sue condizioni di salute, come se me ne potesse importasse qualcosa.

Hai una visita, mi disse.

«Chi è? Non voglio vedere nessuno».

La porta della mia stanza si spalancò e mia madre piombò dentro starnazzando. Senza alcuna grazia si mise a sedere accanto a Daniel, mi costrinse a tirare le braccia fuori dalla coperta e osservò i brachialia coercitionis ai miei polsi scuotendo la testa.

«Come è potuto accadere?» mi domandò.

Mi sottrassi bruscamente alla sua presa.

«Perché dovrei confidarmi con te?» le domandai.

«Non devi» rispose. «Ma puoi farlo, se vuoi».

No, non volevo. Non volevo parlare con lei. Nonostante fosse stata lei la prima a tenermi dei segreti giganteschi, io non riuscivo a guardarla in faccia senza sentirmi in colpa per averle taciuto quanto ricordato su suo fratello Enea.

«Non ne ho voglia» risposi, girandomi di spalle.

«Va bene» concesse lei. «Allora datti una sistemata e scendi di sotto. Ci sono Yumi e Kumiko che vogliono parlarti».

«Ania...» disse Yumi, cercando di abbracciarmi, non appena le ebbi raggiunte in soggiorno. «Perdonami. È stata tutta colpa mia. Avevo bevuto e ho parlato senza riflettere».

«La tua colpa non è certo stata dirmi la verità» le risposi, ritraendomi. «Ma avermela taciuta tanto a lungo».

«Ma cosa avrei dovuto dirti?» domandò, con la voce incrinata. «Era una cosa di nessuna importanza. Sarai uscita anche tu con qualcun altro, nel frattempo, o no?»

«No» risposi, secca.

«Melania» disse Kumiko, mantenendosi a distanza. «Ciò che è successo mi addolora profondamente. Ma ci tenevo a farti sapere che nessuno di noi ce l'ha con te».

«Neanche Nozomi» intervenne Yumi.

«Nozomi può andare a farsi ammazzare, per quel che mi riguarda» tagliai corto. «Figurati cosa mi interessa di ciò che pensa di me».

«Va bene, prenditela pure con lei, che non ha alcuna colpa, se questo ti fa sentire meglio» disse Yumi. «Ti rendi conto che non era neanche a conoscenza della tua esistenza? Era innamorata di Onii-chan, gli ha chiesto di uscire e lui l'ha accompagnata un paio di volte a vedere le partite allo stadio. Merita di morire per questo?»

, pensai. Qualunque ragazza abbia messo le mani su di lui o abbia anche solo pensato di farlo merita di morire, per quanto mi riguarda.

«È sopraffatta dalla sete. I Vendicatori femmina, purtroppo, incorrono spesso in questo genere di problema» si giustificò mia madre. «Ma, con i brachialia, tra poco tornerà in sé».

Sì, giusto. Il marito fedifrago di Anjanka, in effetti, era finito giustamente sbudellato. E Anjanka, poi, era impazzita. Stavo impazzendo? Desideravo la morte di una persona il cui unico crimine era stato quello di farsi accompagnare allo stadio da un ragazzo libero che le piaceva?

«Ania» tornò alla carica Yumi, vedendomi titubante. «Hai capito cosa ti ho detto? Non c'è stato praticamente niente di serio tra loro. Ti prego, perdona Onii-chan».

Il mio momento di esitazione svanì all'istante.

«Mai» sibilai.

«Lui ha bisogno di te, baka» disse, addolcendo il tono della voce. «Lo sai che è così. Senza di te è solo».

«Lui non è solo» risposi, per nulla impressionata da quella manfrina. «Ci siete voi, c'è Takeshi. E c'è Nozomi».

Senza contare Hans e Nerissa, i suoi amici Reazionari. Per un solo istante fui tentata di spiattellarglielo. Rei se lo sarebbe meritato. Rivelare una cosa del genere così, senza preavviso, a Yumi e Kumiko, sarebbe stato come sganciare una bomba nel soggiorno di mia madre. Inspirai a fondo, schiacciandomi la lingua tra i denti fino a sentire il sapore ferroso del sangue. Non ero un'infame. Non lo avrei tradito. Non ero come lui, io.

«Yumi, fattene una ragione» sibilai, mentre Kumiko si asciugava le lacrime. «Tra me e lui è finita».

Tornai a scuola un paio di settimane dopo, con i brachialia in bella mostra e il morale sotto la suola dei sandali con gli occhi.

Arrivai appositamente in ritardo, quando Yumi, Nozomi e i ragazzi si erano già seduti, e presi posto più lontano possibile da loro.

«Bentornata» mi disse Maia Vanhanen, venendo a sedersi accanto a me. «Come stai?»

«Uno schifo» risposi, legandomi i capelli. «Tu?»

«Io sto benissimo» disse, «ora che mi sono liberata di quel maledetto harpastum».

«Perché indossi i brachialia?» chiese Rami.

«Perché si abbinano con gli orecchini» risposi, e gli lanciai un mezzo sorriso che lui, fortunatamente, interpretò nel modo corretto. Non avrei avuto problemi a confidargli ciò che era accaduto, ma l'avrei fatto al riparo dalle orecchie degli altri due.

Però, se non lo sapevano, significava che, quindi, Nozomi non mi aveva diffamata.

«Non ci interessa perché li porta» intervenne Heikki, sedendosi accanto alla sorella «quello che ci interessa è che, con quella roba addosso, non può certo giocare ad harpastum. E la prossima settimana c'è la prima partita di campionato. Ci hai pensato?»

No, non ci avevo pensato. Ma avrei due parole da dirti su tuo padre, pezzo di deficiente. Comunque, quella era una notizia veramente fantastica. Anche se significava abbandonare Rami alle angherie di Taide.

«Rami, mi dispiace lasciarti da solo» dissi, ignorando gli altri due. «Però ci sono Roze, Devon e Nate che saranno gentili con te».

«Se Roze non dovesse accettare di sostituirti con Pierre» concluse Heikki, «la tua squadra sarà costretta a ritirarsi».

Me ne farò una ragione, pensai, stringendomi nelle spalle, senza rispondere.

«Melania» mi chiamò la professoressa Di Pietro, prima che la lezione cominciasse. «Puoi seguirmi un attimo fuori?»

Una bella ramanzina. Era quello di cui avevo bisogno. Era quello che avrebbe fatto Gilbert. La professoressa, invece, camminò in silenzio fino al corridoio inondato dal lucore della calda luce del sole mattutino sui marmi bianchi, poi si voltò a guardarmi con aria preoccupata.

«Mi dispiace molto per ciò che è successo» disse, indicando i miei brachialia con un movimento impercettibile della testa.

«Non fa niente» mi affrettai a rispondere. «Anzi, mi sento quasi più tranquilla con questi cosi addosso».

«Non ne dubito» disse. «Ma un genio con i brachialia è sempre una sconfitta».

«Una sconfitta per chi?» chiesi, stranendomi all'istante. «Per l'Impero che non è riuscito a civilizzarlo?»

La professoressa, una delle poche persone che era riuscita nell'ingrato compito di essere più bassa di me, mi lanciò una torva occhiata dal basso.

«Per le persone che gli vogliono bene» precisò. «E che non sono riuscite ad aiutarlo».

«Ha mai pensato che il genio con i brachialia potrebbe non avere affatto bisogno del vostro aiuto?» chiesi, prima di riuscire a frenarmi. «Forse avrebbe solo bisogno di essere libero di esprimersi».

«No, non ci ho mai pensato» rispose, senza scomporsi. «Perché, per un genio, spesso esprimersi significa ferire, mutilare e uccidere».

«Anche gli Umani feriscono, mutilano e uccidono» dissi, incrociando le braccia davanti al petto. «Continuamente e per futili motivi».

«Anche gli Umani devono rispettare la legge, infatti. Tutti devono rispettarla, altrimenti...»

«Altrimenti finiscono in prigione o incatenati con i brachialia» la interruppi. «Quindi, per continuare a essere liberi, devono essere schiavi delle leggi, indipendentemente da quanto esse siano ingiuste».

La Di Pietro mi osservò per qualche secondo prima di rispondere.

«Stiamo ancora parlando dei tuoi brachialia, Melania?» chiese, seria. «Perché la legittimità delle leggi sul contenimento degli assassini non credo sia in discussione».

«No» ammisi. «Non stiamo più parlando dei miei brachialia».

«Ho capito» concluse. «Ebbene, era chiaro che, prima o poi, tu iniziassi a manifestare questi dubbi».

«Lei non ne ha mai?»

«No. Io sono solo una vecchia Vestale e ho deciso molti anni fa da che parte stare».

«A proposito» dissi, improvvisamente ansiosa di cambiare discorso, perché la calma e la puntualità nelle risposte della professoressa mi aveva messa a disagio, sbattendomi in faccia tutta la sconclusionatezza dei miei pensieri e delle mie argomentazioni, «sono stata sull'acropoli, alcuni giorni fa. La Sibilla mi ha vomitato addosso una profezia».

«Ah, davvero?» chiese. «Te la ricordi?»

«Molto vagamente. Era una cosa tipo: il giudice universale il detentore del solito braccio della bilancia...»

«Un Vendicatore» interruppe. «Te, quasi certamente».

«Tre volte legato, tre volte... tradito... non mi ricordo» ammisi.

Mi portai una mano alla testa ma neanche il terzo occhio, tanto utile nei ricordi visivi, sembrava potermi essere d'aiuto.

«Tre volte lancerà il disco...» tentai. «Poi c'era qualcosa riguardo un piatto».

«Non saprei» sbuffò la Di Pietro. «Cerca di ricordare meglio. E, appena riesci, vieni subito da me. Non è mai un buon segno quando una Sibilla elargisce profezie a chi non le abbia richieste».

Quindi, se Roze non avesse accettato di sostituirmi con Pierre, la mia squadra, la squadra Nettuno, avrebbe dovuto ritirarsi e la mia classe sarebbe rimasta con la sola squadra Giove.

«Sarebbe un dramma» disse Roze, correndo nervosamente sul posto accanto a me sul campo di pozzolana. «Una catastrofe».

«Una tragedia, sì» le feci eco.

«Non mi stai ascoltando!» esclamò lei.

«Ti sto ascoltando» risposi, «solo che non condivido la tua costernazione».

«Lo so che non ti importa molto della squadra, Ania» disse. «E che hai cose molto più importanti a cui pensare. Però per me... insomma sarebbe un fallimento».

«Fate silenzio» tuonò Ionascu, entrando in campo, e la classe si ammutolì. «Mei, perché non ti sei cambiata?»

«Perché non posso giocare con i brachialia» risposi.

In effetti ero stata tentata persino di non andare.

«Non puoi giocare ma puoi fare cento giri di campo» rispose. «O vuoi forse che il tuo sedere torni alle dimensioni dello scorso anno?»

«Il mio...»

«Centocinquanta».

Rimase a fissarmi finché non fu certo che non avrei più provato a controbattere, poi spostò l'attenzione sugli altri.

«Con Mei fuori uso, è necessario che la squadra Nettuno trovi un altro genio, altrimenti sarà costretta a ritirarsi» disse, e si voltò a guardare Roze. «Cosa intendi fare, Piwowarek?»

«Scelgo Pierre Ducrai come sostituto» sospirò lei, affranta.

Visto che l'angoscioso dramma della giornata sembrava aver trovato una risoluzione pacifica e soddisfacente, mi cambiai e tornai in campo. Avrei dovuto immaginare che Ionascu non mi avrebbe mai lasciata stare. Sembrava essere venuto al mondo con il solo scopo di torturarmi.

Iniziai mestamente i miei giri osservando, nel frattempo, quello che succedeva in campo. I brachialia funzionavano. Riuscivo a capire che si stessero scaldando gli animi perché vedevo i miei compagni agitati e perché sentivo i loro improperi. Ma null'altro. Non percepivo altro. Nessuna sete, nessun bisogno impellente di spargimenti di sangue. Sangue che, però, si sarebbe sparso lo stesso se qualcuno non fosse intervenuto per separare i miei compagni lanciati in una mega rissa.

Rallentai la corsa cercando di capire cosa fosse successo e chi fosse coinvolto proprio mentre Ionascu sedava la rissa a suon di sganassoni. Quanto non mi sarebbe mancato l'harpastum. Ripresi a correre e, quasi subito, mi sentii braccata.

«Ciao» mi disse Iulian, affiancandomi.

«Ciao» risposi. «Ionascu ti ha punito per la rissa?»

«Non per la rissa» disse. «Come stai, Ania? A scuola ci eviti come la peste».

«Evito Yumi e Nozomi» ansiami, perché per stargli dietro avevo dovuto allungare il passo. «E, in alcuni casi, anche Devon e Nate, perché la loro foga, a volte, mi destabilizza».

«Ho capito» rispose.

«Ma non ho niente contro di te» aggiunsi. «Anzi. La tua presenza, spesso, mi rassicura. Come quella volta durante l'amichevole».

La volta in cui si era chinato su di me e mi aveva detto che, se avessi voluto, sarebbe rimasto. Che sarebbe stata anche un'immagine romantica, se non gli avessi praticamente affondato le unghie della carne per evitare che si allontanasse smettendo quindi di schermare, con il suo corpo, la rabbia e la sete degli altri.

«Scusami, a proposito» aggiunsi. «In quell'occasione ti ho usato come uno scudo umano».

«Figurati» sorrise.

«Chissà perché poi» dissi. «Ho acquisito anche il numen degli Incendiari, sai? Eppure non sono riuscita a percepire la tua rabbia nemmeno una volta».

«Non la percepisci, semplicemente, perché non mi arrabbio» rispose, rallentando un po' l'andatura per consentirmi di rimanergli affiancata.

«Non è possibile» dissi, tirando su con il naso. «Tutti gli esseri viventi si arrabbiano».

«Forse è proprio questo il punto, allora» disse. «Che io, già da qualche anno, non sono più vivo».

«Nastase e Mei» ruggì Ionascu. «Pancia a terra, cinquanta flessioni. Poi continuerete con i vostri giri di campo. Vedremo se avrete ancora fiato da sprecare in chiacchiere».

Questo capitolo mi è uscito un po' più lungo del normale, perdonatemi ç_ç
E quindi niente postfazione. Però non mi sono scordata del vostro regalo di Natale, eh. Anzi, sabato avrete notizie in merito ò_ò

Baci baci

AppleAnia

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