2.6 • INCONTRI FORTUITI E BRUTTE NOTIZIE ANNUNCIATE
La nuova scuola mi piaceva molto.
Chiara Visione, nonostante il disastroso inizio e la mia più profonda avversione per l'insegnante, era la materia che più mi interessava. La Clement, proprio come se fosse stata una professoressa di storia, balbettando e impappinandosi, aveva iniziato a spiegare il programma dall'inizio, ovvero dai tempi degli uomini delle caverne.
Avevo vissuto la maggior parte della mia vita senza sapere di essere un genio. E, quando avevo scoperto di esserlo, il desiderio di capirci qualcosa aveva prevalso su tutto il resto e tutti i miei sforzi erano stati rivolti verso quello scopo. Avevo cercato di imparare a usare le zanne, e a controllare il potere. La storia dei numi tutelari, onestamente, era finita in fondo alla lista delle mie preoccupazioni. E, invece, era interessante.
Seduta alla mia scrivania, china sul libro di Chiara Visione, mi rigiravo i capelli intorno alla penna riflettendo su quanto appena appreso (avevo scoperto che i geni avevano affiancato gli umani fin dall'alba dei tempi) quando Yumi apparve sulla porta della mia stanza.
«Konbanwa» disse.
Finii frettolosamente di leggere il paragrafo, poi alzai lo sguardo su di lei.
«Ciao» risposi.
Yumi, che aveva iniziato a vestirsi secondo la moda di Tibur, si lasciò cadere sul mio letto, lisciandosi la tunica rosa chiaro con le mani.
«Si muore di caldo, stasera» disse. «Usciamo a cena?»
«E dove vorresti andare?» chiesi.
«Alla locanda con i ragazzi. Dai, vestiti e andiamo».
Avevo come l'impressione che Yumi avesse in serbo una bella sorpresa per me. Mi aveva convinta a indossare a mia volta una tunica verde acqua e mi aveva aiutata a sistemare i capelli con il nastro.
Forse Rei era tornato, per questo Yumi aveva voluto che fossi carina per la serata.
Quando raggiungemmo la locanda, però, c'erano ad aspettarci, effettivamente, solo i ragazzi.
«Dove siamo?» domandai, non riconoscendo quella costruzione.
Ci trovavamo all'interno di un giardino, una piazza, del tutto simile al Pecile ma più piccola e assai più lussuosa. A pianta quadrata, con un'elegante vasca d'acqua nel mezzo e un porticato con il pavimento a mosaico tutto intorno, sotto il quale diverse locande avevano sistemato i loro tavoli con le panche.
«Piazza d'Oro» rispose Yumi. «Non c'eri mai stata?»
Sì, certo che c'ero stata. Quando era un rudere. In quella nuova veste non l'avrei mai riconosciuta.
«Non mi abituerò mai del tutto a questa cosa» dissi.
«Ci siamo abituati tutti, prima o poi» mi disse Iulian, incoraggiante.
La maggiore età, a Tibur, era fissata a sedici anni. Quindi avevamo tutti l'età per bere.
Devon e i ragazzi erano già ubriachi ancora prima di aver finito di mangiare. La notte era tiepida e Piazza d'Oro era affollata. C'erano dei musicisti con le lire e le cetre che, ormai ubriachi, suonavano e cantavano a tutto spiano stornelli stonati e spesso osceni.
Sempre più gente stava arrivando e il locandiere, affannato, cercava in tutti i modi di inzeppare la sua parte di portico con più tavoli possibile. E infatti Devon che, insieme a Iulian e Nate ci stava raccontando alcuni episodi divertenti da legionari, ridendo a crepapelle e gesticolando confusamente, finì per vuotare il suo bicchiere a pochi centimetri dalla testa di un uomo seduto a un tavolo a mezzo metro di distanza dal nostro.
«Oh, scusi» si affrettò a dire.
L'uomo, che era schizzato in piedi prima che il getto di vino lo colpisse in pieno, gli rivolse uno sguardo di rimprovero ma non disse niente. Poi posò i suoi occhi neri e severi su di me. Rovesciai la testa per guardarlo in tutti i suoi due metri.
«Ah... Gilbert! Buonasera» farfugliai. «Non mi aspettavo di vederla qui».
Lui, che stava bevendo del vino rosso insieme al professor Ionascu, ci mise un solo istante a rendersi conto che fossi un po' alticcia.
«Hai bevuto» constatò. «Non dovresti farlo».
Ah no? Lui era a Villa Adriana chissà da quanto, non aveva neanche pensato di farsi vivo, si faceva trovare per caso a ubriacarsi insieme al mio professore di Purificazione, cioè di caccia, e aveva persino l'ardire di venire a sindacare su cosa potessi o non potessi fare io?
«Scusami un attimo, Relu» disse a Ionascu. «Devo parlare con la mia discepola».
Controvoglia mi scusai con i miei amici che, alla visita di Gilbert, si erano praticamente pietrificati, e lo seguii, camminando sul prato, fino alla fontana, il posto della Piazza più lontano possibile dal portico, dalla folla e dai musicisti.
Si fermò, dandomi le spalle, e parlò dopo un'infinità di tempo.
«Stai bene?» mi chiese, voltandosi solo per un attimo verso di me. «Sono venuto a casa vostra e tua madre mi ha detto che eri uscita».
«Io sì» risposi, sulla difensiva. «E lei?»
«Sono stati giorni molto impegnativi» rispose, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni di fustagno sdruciti. «Da adesso cercherò di essere più presente, nel caso avessi bisogno».
Per un momento temetti che fosse colpa dell'alcol. Invece no. Invece, lo aveva detto davvero. Ne ebbi la certezza quando mi accorsi di quanto fosse in imbarazzo, mentre cercava di evitare il mio sguardo. Avevamo entrambi urgente bisogno di cambiare discorso.
«C'entra per caso il blackout?» chiesi. «Con la sua lunga assenza, intendo».
«Naturalmente» rispose, annuendo.
«Ha capito da cosa è dipeso?»
«Ascoltami, Melania» mi interruppe, voltandosi a guardarmi. «Sono stato sull'acropoli».
Il mio cuore accelerò.
«E quindi ha visto... gli Equites... loro...»
Lui mi scrutò un attimo prima di rispondere.
«Sì. Ho visto Reijiro Nakamura e anche tuo padre».
Calò un silenzio carico di tensione.
«Mio padre...»
«Stanno entrambi bene» tagliò corto.
«Ho saputo che è stato mio padre ad aggredirla» dissi, prima che potesse interrompermi di nuovo.
«Lo hai detto a qualcuno?» mi domandò, dopo qualche attimo di esitazione.
«Solo a Devon» risposi.
«È proprio di lui che vorrei parlarti» disse, a sorpresa.
«In che senso?» chiesi, spiazzata.
«Il processo a Dafni Zogkari si svolgerà domani, a porte chiuse» disse. «Comincia a dirlo al tuo amico. È meglio che si prepari al peggio».
Se esisteva un modo opportuno per dare a Devon una notizia del genere io, di certo, non lo conoscevo. Non dissi quindi più una parola finché non fu il momento di tornare a casa. A quel punto, una volta fuori da Piazza d'Oro, immersi nel silenzio della notte, mi strinsi nella stola per ripararmi dal vento e, senza inutili giri di parole, dissi:
«Devon, mi ha detto Gilbert che domani processeranno Dafni».
Iulian e Nate si immobilizzarono al suo fianco, ma Devon continuò a camminare. Non avrei aggiunto altro. Avevo già provato ad affrontare quel discorso con Devon. Ed era stato impossibile.
«Devon?» lo chiamò Yumi. «Hai capito cosa ti ha detto Ania?»
«Ho sentito» rispose, senza voltarsi e senza smettere di camminare, tanto che fummo costretti ad allungare il passo per raggiungerlo.
«Ti rendi conto che c'è la possibilità che lei...» disse Yumi, ma Devon si voltò a guardarla.
«Non c'è nessuna possibilità, invece. La reputeranno innocente e la lasceranno andare».
Nessuno aggiunse altro. Dafni aveva perso la verginità. Aveva causato lo spegnimento del Fuoco Sacro con tutto quello che ne era conseguito. Nessuno l'avrebbe reputata innocente e nessuno l'avrebbe graziata.
«Devon» disse Yumi, dopo un po'. «Non la assolveranno e non la lasceranno andare. È inutile negarlo».
Lui non le rispose e io, con ansia crescente, mi resi conto che Yumi stava iniziando ad alterarsi.
«Fa' come ti pare, allora!» gli urlò dietro. «Continua a negare l'evidenza. Lei è colpevole, ti ha usato per i suoi scopi come ha usato tutti noi. Tu, però, continua a illuderti che non sia così! Continua a illuderti che ti ami».
La notte sembrò divenire, di colpo, ancora più buia e silenziosa. Nessuno di noi ebbe il coraggio di muovere un muscolo. Devon si immobilizzò, poi si voltò e avanzò in direzione di Yumi con fare minaccioso.
«Devon...» lo richiamò Iulian.
Yumi non indietreggiò, ma anzi rimase impassibile.
«Tu non sai niente» le ringhiò, con il volto a pochi centimetri dal suo.
«Devon» intervenni, afferrando Yumi per una spalla e tirandola un po' indietro. «Anche Gilbert è convinto che sarà condannata. Lui è stato sull'acropoli e...»
Devon si voltò di scatto a guardarmi, come se si fosse ricordato solo in quel momento della mia presenza.
«Certo!» abbaiò. «Se lo dice il caro vecchio Gilbert deve essere vero! È stato sull'acropoli, poi! Ha visto anche il tuo ragazzo, quindi? Come sta? Bene?»
C'era qualcosa di assurdo nella sua voce, non avevo mai sentito Devon parlare in quel modo, con quel tono.
«Che stai dicendo, cosa c'entra?» domandò Yumi.
«Cosa c'entra?» ripeté lui «C'entra che voi, che avete avuto tutto dalla vita, non avete nessun diritto di giudicare Dafni, che neanche conoscete».
Mi guardò con uno sguardo talmente carico di rabbia che, istintivamente, portai una mano al medaglione.
In piedi tra lui e Yumi, stavo cominciando a sentirmi strana.
«Tu, con il tuo fidanzato maledetto» sibilò, poi si voltò vero Yumi. «E tu. Con quell'Heikki del cazzo. Come mai sei diventata mia amica solo dopo che vi eravate lasciati? Come mai fino a che avevi i tuoi affari a cui pensare non te ne importava niente di Devon?»
«Devon, adesso basta» intervenne Nate, spintonandolo lontano da noi. «Andiamo a casa».
Devon cercò di divincolarsi ma Nate lo trascinò via.
«Devon è ubriaco» ci disse Iulian. «Non prendetevela, ragazze».
Ma io e Yumi non ce l'eravamo presa. Io e Yumi eravamo senza parole.
«Non è andata come speravate, immagino» mi disse Gilbert che mi stava aspettando davanti al cancello di casa, fortunatamente senza Ionascu.
«Non fa niente» dissi, mettendomi nervosamente i capelli dietro le orecchie.
«Buonanotte, allora» disse, voltandosi per andarsene.
«Aspetti un attimo, per favore» lo richiamai, un po' incerta. «Ho una cosa da chiederle».
«Se vuoi sapere cosa è accaduto tra me e tuo padre devi chiedere a tua madre» rispose. «È lei a decidere cosa puoi o non puoi sapere».
«Certo» risposi, rassegnata. «Lo so bene. Volevo chiederle un'altra cosa».
«Ti ascolto» disse.
«Kirk sta bene? E Jurgen si è svegliato?»
«Kierkegaard sta bene. E no, Jurgen ancora non si è svegliato» rispose. «C'è altro?»
«In effetti sì» risposi, piccata. «Mi dica, è stato lei a cancellarmi la memoria, vero?»
Rimasi a fissarlo negli occhi neri, sgranati per la sorpresa, fino a che non dischiuse la bocca, cercando la risposta giusta da darmi.
«Come lo sai?»
«La notte in cui ho dormito a casa sua, dopo il funerale di Kento...»
«Certo» mi interruppe. «Avrei dovuto immaginarlo».
Gilbert si voltò e andò a sedersi sulla panca sotto la veranda, i gomiti poggiati sulla gambe, lo sguardo fisso a terra. Rimasi un po' stupita, senza sapere bene cosa fare. Sarebbe stato difficile affrontare quel discorso senza parlare di Elissa. Forse avrei dovuto pensarci un po' meglio, prima di parlare. Forse, effettivamente, avevo bevuto troppo vino.
Mi posizionai, incerta, proprio davanti a lui.
«Senta, se non vuole dirmelo io...»
Lui alzò la testa e mi fissò.
«Nel sogno hai visto bene» disse. «È vero. Sono stato io a farlo».
Si prese la testa tra le mani. Perché conosceva la domanda che stavo per fargli, probabilmente.
«Ma lei è un Incendiario» sussurrai. «Non dovrebbe avere quel potere».
«E invece ce l'ho» tagliò corto.
Ma non ne era fiero. Anzi. Sembrava che quella consapevolezza lo affliggesse. Mi misi a sedere accanto a lui. Non avrei infierito.
«Tra qualche mese riacquisterò la memoria» dissi, guardando la strada buia e deserta davanti a me. «E dopo io e lei ci faremo un bel discorso. Va bene?»
Lui alzò su di me uno sguardo carico di riconoscenza.
«Attendo quel momento più in ansia di te, credimi» asserì.
Quando rientrai a casa, trovai Yumi infilata nel mio letto. Mi cambiai, indossai il pigiama e mi coricai accanto a lei.
«Non devi dare importanza a quello che ha detto. Devon era sconvolto e ubriaco, l'ha detto anche Iulian. Stava parlando a vanvera».
Lei non si voltò verso di me e non diede alcun cenno di avermi ascoltata.
«Non c'è altro che vuoi chiedermi?» domandò.
«Yumi...» dissi, in un sussurro. «Quando avrai voglia di parlarmi del resto lo farai. Non sarò certo io a costringerti».
«Non è che non ti volessi parlare di Heikki» sussurrò. «Solo che mi vergognavo».
«Di me?»
«Sì... perché quella tra me e Heikki è una storia davvero... pietosa».
«Va bene, non preoccuparti» mi affettai a dire.
«No, aspetta» disse.
Si voltò di scatto verso di me e poggiò la sua fronte sulla mia. Sapevo cosa stava a per fare. Perché era la stessa cosa che aveva fatto Rei, quando aveva deciso di mostrarmi i suoi ricordi.
«Ti mostrerò tutto».
Dunque, cari ragazzi, questo capitolo mi è uscito un po' lunghetto ma ho preferito non dividerlo per concentrare nel prossimo tutto il ricordo di Yumi. Siete curiosi di scoprire, finalmente, cosa c'è stato tra lei e Heikki? Come? Non ve ne po' frega' de meno?
Purtroppo sono in isolamento ormai da DODICI giorni quindi non ho aneddoti da raccontare (non ancora almeno, tra un po' faccio la fine di Jack Torrance).
Però vi dico una cosa: come preannunciato lo scorso capitolo, ho deciso di iniziare a pubblicare due capitoli a settimana di SPQT (e uno di Valaistus). In particolare pubblicherò i nuovi capitoli di SPQT il martedì e il sabato (Valaistus il giovedì così non se lo legge nessuno perché vi state tutti a vedere Don Matteo).
Onestamente stavo anche pensando di alzare il rating e rendere questa storia per adulti (non ci saranno mai descrizioni esplicite di violenza, sesso o altro comunque. Sono i temi trattati che forse sono un po' pesanti, non so).
Se però tra i lettori ci fossero dei minorenni non potrebbero più andare avanti con la storia ç_ç non so che fare ç_ç un consiglio? ç_ç
AppleAnia
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