1.5 • OBUMBRATI
Praticamente dovetti attraversare tutta la vallata, da una parte all'altra. Raggiungere l'Ingresso delle Cascate, uscire da Villa Gregoriana e arrivare all'acropoli passando per la strada sarebbe stato sicuramente più veloce. Avevo paura, però, che una volta uscita dalla villa, se avessi percorso quella scorciatoia senza prima ribagnarmi nella Grotta delle Sirene, avrei trovato esattamente quello che avevo sempre visto, e cioè i ruderi dei due templi, di Vesta e della Sibilla, con i tavolini del ristorante in mezzo al piazzale.
Quindi mi feci coraggio e percorsi tutto il sentiero, con il respiro affannato e i piedi doloranti, ma più decisa che mai a raggiungere mio padre. Non incontrai neanche un turista durante il tragitto, stranamente.
Arrancai fino a che, alzando la testa, non vidi la costruzione che nei miei ricordi era l'ingresso rosa con i bagni e il bookshop mentre in quelli di Reijiro era la casa degli Equites. Mi guardai indietro, fiera di me: avevo risalito quella specie di mulattiera, ero passata dentro il traforo di roccia senza curarmi minimamente della claustrofobia (era un traforo con molte aperture tipo finestre, comunque) ed ero giunta alla mia destinazione. Il tutto da sola.
Però non riuscivo a sentirmi troppo entusiasta. Perché, proprio davanti a me, largo come tutto il sentiero e alto almeno cinque metri, si stagliava un cancello.
A occhio e croce non mi pareva scavalcabile né aggirabile. Mi guardai intorno, nervosa, ma non mi sembrava che ci fossero altre strade per raggiungere l'acropoli.
Riuscivo a vedere i templi sopra di me ma per raggiungerli, se non fossi riuscita a superare il cancello, avrei dovuto scalare una parete di roccia verticale. Un'impresa decisamente al di fuori della mia portata. Ero stata stupida. Eppure mi avevano avvertita.
Il senso di fatica che avevo represso fino a quel momento sembrò sopraffarmi tutto insieme, di botto. Poggiai la schiena contro il cancello e mi lasciai scivolare fino a ritrovarmi seduta sulla roccia fredda. Stava per calare la notte. Avrei dovuto tornare indietro e ammettere la mia sconfitta.
«Ania?» sentii chiamarmi.
Mi voltai di scatto per individuare la voce al di là del cancello. Era Reijiro il ragazzo che mi stava venendo incontro, con lo zaino in spalla e le mani in tasca?
«Ciao» dissi, alzandomi in piedi e spolverandomi il sedere. «Volevo vedere mio padre. È qui dentro? Puoi farmi entrare?»
Reijiro si avvicinò al cancello, lo dischiuse come se fosse stato appena accostato e ne uscì.
«Sì, Gabriel è dentro. Ma no, non posso farti entrare, mi spiace».
Lo implorai con lo sguardo, ma lui non si smosse di un millimetro. Quindi Devon aveva ragione, in fondo? Reijiro era davvero libero di entrare e uscire dall'acropoli a suo piacimento?
Ci incamminammo lungo il sentiero, verso la villa di Manlio Vopisco, che raggiungemmo senza aver detto una parola.
«Alloggi qui anche tu?» domandai, quando fummo davanti all'ingresso.
«No» rispose lui. «Ai dormitori».
Non avevo idea di dove fossero e non mi era affatto sembrato di vederne in giro.
«Ok» dissi, guardando per terra. «Allora grazie per avermi accompagnata».
«Figurati» rispose lui, «tanto stavo venendo comunque qui».
«Davvero? Cercavi Yumi?»
«No, cercavo te» disse, sfilandosi uno spallaccio dello zaino e frugandoci dentro. «Volevo darti questo».
Mi porse un libro.
«Io... grazie» bofonchiai, afferrandolo.
«Ci vediamo» mi salutò accennando appena un sorriso. Poi si voltò e se ne andò.
«Ma dove sei stata?»
Mi chiese Yumi, camminando nervosamente avanti e indietro per la nostra stanza. Si era preoccupata, lo capii dal tono della sua voce.
«Ero con tuo fratello» dissi.
«Oh...» rispose lei, sorpresa «con Onii-chan? E cosa stavate facendo?»
«Niente... stavo tentando di profanare i cancelli dell'acropoli e ci siamo incontrati. Mi ha riaccompagnata» dissi, lasciandomi cadere sul letto.
«Che fai?» mi domandò lei. «Non hai fame?»
Effettivamente si era fatta l'ora di cena e il mio stomaco vuoto e annodato languiva penosamente.
«Dai alzati. Ti porterò in un posto... interessante».
«Se mi riporti nello scantinato con la giuria» dissi, alzandomi di malavoglia «giuro che mi suicido».
«Niente scantinato. Andiamo a mensa».
Quando Yumi aveva pronunciato la parola 'mensa' mi ero figurata quella scolastica. Quella in cui ci trovavamo non era una mensa. Era, più che altro, un enorme locale sovraffollato, seminterrato, neanche a dirlo, con una grande terrazza panoramica.
«Aspetta» dissi a Yumi, guardandomi intorno. «So dove siamo... questo è un ristorante».
«Sì, sì» rispose lei, cercando qualcuno con lo sguardo. «È quello che deve sembrare, dal di fuori, quando hai la nebbia addosso».
Ma io ci ero stata a mangiare varie volte. Si entrava dalla strada, si scendevano un paio di rampe di scale, di cui una all'aperto, e si raggiungeva la terrazza e il ristorante, una grande sala scavata nella roccia con un enorme camino e una parete a vetrate affacciata a picco su Villa Gregoriana. Non avevo idea che si potesse raggiungere anche dall'interno della villa.
«Andiamo a cercarci un posto» disse Yumi, sgomitando tra la folla. «Ah, guarda! C'è Devon!»
In effetti, non molto distante, Devon, seduto ad un tavolo rettangolare vicino alla vetrata con altri due ragazzi, si stava sbracciando per attirare la nostra attenzione.
«Questo tavolo è perfetto» disse Yumi, prendendo posto «Da qui si vede tutto. Posso descriverti ogni singola persona che passa».
Devon mi presentò i suoi amici, che Yumi conosceva già.
«Ania, ti presento Iulian e Nate. Ragazzi lei è Ania, la figlia di Gabriel».
Entrambi affermarono di ricordarsi di me. Iulian era esile, moro e delicato, mentre Nate era castano, muscoloso e aveva due magnetici occhi verdi dalle ciglia lunghe. Onestamente, non mi pareva di aver mai visto nessuno dei due.
«Ania, guarda. Quelli sono i Vanhanen. Ti avevo detto che si vede tutto, da qui» sussurrò Yumi.
Guardai nella direzione che mi aveva indicato; non mi ci volle molto ad individuarli. I due fratelli più Hans, tutti e tre biondi da sembrare albini, mangiavano silenziosamente senza alzare mai lo sguardo verso nessuno. La ragazza, in particolare, si muoveva con una leggiadria non umana. Ogni suo movimento sembrava un passo di danza.
«Ma sono gemelli?» domandai.
«Maia ed Heikki? Sì, certo. Oh guarda c'è Onii-chan!»
Mi girai di scatto. Reijiro passava accanto al nostro tavolo con altri tre ragazzi. Tutti e quattro ci salutarono cordialmente e sparirono tra la folla.
«Non si siede con noi?» domandai.
«Chi, mio fratello? No, non va d'accordo con Devon» bisbigliò.
Per quel poco che avevo conosciuto Reijiro mi risultava difficile immaginare che non andasse d'accordo con qualcuno. Ma non feci in tempo a chiedere delucidazioni che vidi Yumi incupirsi e alzare gli occhi al cielo. Anche i ragazzi stettero zitti.
Si stava avvicinando al nostro tavolo una ragazza molto alta, con i capelli biondo cenere raccolti in una coda di cavallo e la mandibola un po' squadrata. A un passo di distanza da lei, altre tre ragazze. Si fermò davanti a noi, mi fissò con aria di disprezzo, poi disse a Yumi:
«Sempre più in basso, eh Nakamura?»
Yumi addentò un pezzo di pane senza neanche guardarla in faccia e quella si girò compiaciuta e si allontanò, portandosi dietro le tre amiche che ridevano come decerebrate.
«Chi era quella?» domandai, nervosa.
«Nerissa Meyer, la più stronza del reame. Suo padre è un Reazionario. Brutte persone. Quasi peggio di quelli della Setta».
Non avevo ancora capito cosa fosse quella maledetta Setta.
«Posso sapere cosa sarebbe questa Setta?» chiesi.
«Vuoi davvero parlarne a mensa?» mi rispose Yumi.
Sbuffai. Scostai il piatto di minestra, estrassi dalla borsa il libro che mi aveva dato Reijiro e lo poggiai sulla tovaglia.
«Che cos'è?» mi chiese Devon.
«Un libro che mi ha dato il fratello di Yumi».
«Demoni, famiglie e sottofamiglie» lessi.
Lo aprii e iniziai a sfogliarlo.
"Platone, Pitagora, Senocrate, Crisippo, seguaci dei primitivi scrittori di cose sacre, affermano che i Demoni sono dotati di forza sovrumana, anzi sorpassano di molto per estensione di potenza la nostra natura, ma non posseggono, per altro, l'elemento divino puro ed incontaminato, bensì partecipe, a un tempo, di una duplice sorte, in quanto ad una natura spirituale e sensazione corporea, onde accoglie piacere e travaglio; e tale elemento misto è appunto la sorgente del turbamento, maggiore in alcuni, minore in altri. Così è che anche tra i Demoni, né più né meno che tra gli uomini, sorgono differenze nella gradazione del bene e del male.
Plutarco, Iside e Osiride, 25".
«Chiarissimo» ridacchiò Yumi, che stava leggendo sopra la mia spalla.
Sfogliai nervosamente finché non trovai una prima, schematica, classificazione.
- Demoni del fuoco: abitano le regioni più lontane degli Inferi.
- Demoni dell'aria: dimorano e volano intorno agli uomini.
- Demoni della terra: essi si mescolano agli uomini con il compito di tentarli e ammaliarli.
- Demoni dell'acqua: vivono negli oceani, nei mari e nei fiumi provocando burrasche e naufragi.
- Demoni sotterranei: si celano nei pozzi e sono la causa di terremoti e delle eruzioni vulcaniche.
- Demoni delle tenebre: vivono lontani dal sole.
- Demoni del ghiaccio: abitano nei ghiacciai.
«Beh, fin qui direi che è facile» disse ancora Yumi e mi accorsi che anche gli altri ragazzi erano tutti concentrati sul mio libro. «I geni sono demoni della terra».
Trovai il paragrafo corrispondente ai demoni della terra.
- Velatori. Spiriti della falsità.
- Perturbatori di anime. Spiriti impuri.
- Incendiari. Spiriti della collera.
- Vendicatori. Spiriti della faida.
- Osceni. Spiriti immorali.
«Ma non mangi?» mi chiese Devon.
«Certo» risposi, mettendo via il libro, poi lanciai un'occhiata a Yumi e le dissi: «continuiamo dopo».
Una volta tornata in stanza, Yumi si mise a sedere sul letto e cominciò senza che le chiedessi niente.
«Prima di sapere cos'è la Setta» disse, «devo dirti qualcosa su Tibur».
Mi misi a mia volta seduta sul mio letto e aspettai che parlasse.
«Tibur è ciò che resta dell'Impero Romano d'occidente. È detta anche Regno di Mezzo. Sai perché? Perché è a metà strada tra gli uomini e gli Dei. Il Regno di Mezzo è composto non solo da Creature di Mezzo come te, Ania. No, appartengono ad esso anche tutti gli uomini e le donne che svolgono un ruolo da intermediari tra gli umani non Superbi, che noi chiamiamo Obumbrati, e gli dei. Gli Equites come i nostri padri, ad esempio. Ma anche le Vestali, gli Aruspici, i Magi. E ce ne sono altri. Ah, sì. Li chiamiamo Obumbrati perché, se anche si bagnassero nella Grotta delle Sirene, non riuscirebbero a snebbiarsi. Loro non vedranno mai Tibur per quella che è».
«Le... Vestali?» domandai, come un'idiota, perché ero rimasta alla frase precedente.
«Sì, anche le Vestali» confermò Yumi. «L'impero ha lo scopo di sovrintendere le attività degli Obumbrati ma che ha anche delle sue leggi e regole interne. L'impero è la cosa più importante. I crimini contro di esso sono i più gravi che si possano commettere e sono sempre puniti con la morte. La Setta del Merro è stata fondata alcuni anni fa, da un genio andato fuori controllo. Raccolse sotto il suo comando non solo altri geni, ma anche varie altre Creature di Mezzo e degli Inferi».
«Voleva prendere il comando?» domandai, cominciando già a sentirmi in ansia. Da quando ne avevo scoperto l'esistenza, questi geni non è che mi stessero piacendo granché.
«Più o meno. Essendo creature dotate di poteri e in grado di influenzare gli umani, ritenevano di essere i legittimi discendenti degli dei e di avere quindi diritto di prendere il comando. Capirai quindi che Kierkegaard, il nostro imputato, è accusato di qualcosa di veramente serio».
«Veramente serio» ripetei, senza tuttavia percepire quella gravità. «E i Reazionari?»
«Ah, loro sostengono l'esatto opposto. Sono un gruppo di famiglie patrizie ammuffite che vorrebbero schiacciare e sottomettere tutte le Creature di Mezzo, e non solo».
Rimasi un attimo a riflettere. Avevo talmente tante domande da farle che non riuscii a formularne neanche una. O meglio, una sì:
«Ma i geni sono tutti malvagi?» piagnucolai.
«La percentuale è alta, sì» rispose, stanca. «Ma anche tra gli dei ce ne sono stati di malvagi. Tra gli umani, poi, lasciamo perdere. Non è la razza a fare la persona, Ania».
«No, certo che no» risposi, inquieta, dopo un breve momento di silenzio.
Ecco qui, a sorpresa e senza alcun preavviso il quinto capitolo.
Finalmente, oltre alla folla di persone provenienti da ogni stato del mondo, abbiamo iniziato a buttarci dentro anche le creature; così il mischione si avvia a diventare totale. Se ne sentiva la mancanza.
AppleAnia ❧
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