1.39 • ENEA

«Melania» disse la professoressa, affabile, quando ognuno di noi ebbe preso posto vicino al camino, «devi capire una cosa sui geni. Le leggi dell'ereditarietà, con voi, sono meno fallaci. Quindi non è affatto insolito che, tra parenti stretti, un genio sia la copia esatta di un altro. O possegga lo stesso numen».

Quelle che volevano essere, forse, parole di conforto, piombarono sulla mia testa come l'annunciazione di una condanna a morte. Io non avrei voluto lo stesso numen di Alastor. Anzi, io non volevo avere proprio nulla a che fare con lui.

«Ma questo significa poco o niente» aggiunse, calma. «Il fatto che tu abbia lo stesso numen di tuo zio è paragonabile alla tua somiglianza con Elissa. Sono fatti innegabili, certo. Ma tu sei una persona molto diversa da entrambi. La personalità non è ereditabile. Ce la costruiamo con l'esperienza».

Sentii la cena agitarsi nello stomaco.

«Lo sanno tutti? È per questo che quei Reazionari mi odiano così tanto? Al punto da seguirmi fin nelle catacombe?»

«No, cara» rispose la signora Petrocchi. «I Reazionari non lo sanno. Nessuno, oltre ai geni ai vertici della Setta, conosce la vera identità di Alastor».

«Non hanno seguito te, al Lapis Niger» disse la Di Pietro.

«No?»

«No. Stavano cercando quel catalizzatore anche loro. Da anni. O, per meglio dire, cercavano il settimo dei Pignora Imperii, quello disperso. Nerissa, quella ragazza... stava origliando. Ci ha sentite, quando abbiamo consultato il Libro Sibillino. E ha chiamato i rinforzi. Per questo ci hanno attaccate. Quando ti hanno vista sparire nel tempio di Vesta hanno avvisato i Reazionari di stanza a Roma che saresti approdata al Foro».

«Come facevano a sapere del passaggio?»

«Non è un segreto. L'esistenza dei passaggi tra templi è nota» rispose la signora Petrocchi.

«Eppure non credo che abbiano scoperto il motivo per cui lo stessi cercando anche tu, Melania» disse la professoressa.

«Ma loro cosa se ne fanno?» chiesi, ma immaginavo già la risposta.

«Chi possiede tutti e sette i Pignora Imperii possiede l'Impero» mi rispose. «Che è esattamente il loro scopo».

«Hanno già messo le mani su qualcuno?» domandò Devon.

«Su troppi» rispose la professoressa. «Si sono impossessati delle Ceneri di Oreste e del velo di Iliona della Sibilla».

Guardai verso Devon, che sedeva in silenzio sul tappeto, il volto pallido illuminato dalle fiamme del camino. Da quando era avvenuto quel fatto, quel sacrilegio... non era mai tornato come prima.

«La Sibilla dov'è?» chiesi.

«Lei è ancora in prigione» rispose la signora Petrocchi. «Dovrà essere processata. Anche se è solo un formalismo perché...»

«Non dirlo, per favore» la interruppe Devon.

«Ma non sono io a dirlo, caro» gli rispose lei. «Lo dice la legge, purtroppo».

Certo. Lo sapevo persino io. Dafni sarebbe stata condannata a morte.

«Devon» gli disse Yumi. «Lei sapeva quello che stava facendo. Deve averlo fatto per un motivo, anche se noi non lo comprendiamo».

Già. Io, per esempio, non lo comprendevo affatto. Guardavo Devon, smunto e affranto, e mi chiedevo quale causa superiore potesse fornire una giustificazione accettabile a tutto quel dolore.

«Ma comunque» tagliò corto Devon, «stavamo parlando di Alastor, non di Dafni».

Mia madre annuì e rannicchiò le ginocchia vicino al petto.

«Come ti avevo già accennato, Melania, io e i miei fratelli siamo stati strappati ai nostri genitori e dati in adozione a questa famiglia di Umani. Io avevo cinque anni, Enea nove ed Elissa tre» disse, poi fece una pausa. «È una storia davvero troppo lunga».

Kumiko si alzò dal divano e andò a sedersi accanto a lei, sul tappeto.

«Eppure, credo che sia arrivato il momento di raccontarla, Arianna».

«Le leggi dell'epoca erano crudeli. Le chiamavano Leggi di Civilizzazione, ma non avevano proprio niente di civile. Dopo una valutazione arbitraria, alle famiglie di geni ritenute potenzialmente problematiche, venivano sottratti i figli. Questi bambini venivano poi affidati alle cure di famiglie di Superbi sine imperio. Questa misura così drastica, secondo loro, avrebbe dovuto favorire la civilizzazione e l'integrazione dei geni, considerati razza inferiore. Elissa ed io, effettivamente, ci integrammo. Io avevo sposato un Umano, un Eques, addirittura. Ed Elissa... beh, lei era diventata Sibilla, niente di meno. Ma Enea, lui... lui era andato oltre.
Aveva ricevuto un'istruzione militare, ed era diventato legionario. Ma la sua condizione di genio, purtroppo, non gli avrebbe mai permesso alcun avanzamento di carriera. Sarebbe rimasto per sempre un soldato semplice. Eppure, il generale che lo addestrava fin da quando era bambino lo aveva preso sotto la sua ala. Per Enea lui era come un padre. E anche il generale lo amava e si fidava di lui. Certo, e perché non avrebbe dovuto? Enea aveva praticamente rinnegato la sua vera natura. Era stato indottrinato fin dalla più tenera età. Enea era arrivato a odiare i geni più di quanto non li odiassero gli Umani».

Mia madre fece una pausa. Nessuno, oltre Kumiko, sembrava avere il coraggio di guardarla in faccia. Si comportavano tutti come se si sentissero in colpa. Come se l'assurda discriminazione subita dai geni fosse, in qualche misura, una loro responsabilità.

«Il generale si fidava di lui al punto da affidargli il compito peggiore: il rastrellamento dei bambini geni. E così, da bambino rastrellato, Enea si era trasformato in un rastrellatore. Tutti lo conoscevano e ne erano terrorizzati: lui non era un normale legionario, era un genio. E non solo. Era un Vendicatore. Iniziarono a circolare delle voci su di lui, ovviamente false. Si diceva che mangiasse i bambini, per esempio, e altre assurdità del genere. Enea era ormai totalmente fuori controllo e andò avanti con i rastrellamenti per alcuni anni».

Fui attraversata da un pensiero tanto fugace quanto spaventoso: non era colpa sua.

Lui era un Vendicatore circondato da Umani arrabbiati. Era stato costretto a reprimere la sua natura di genio, non aveva fatto praticantato, praticamente non aveva alcun controllo sul proprio numen. Però non ebbi il coraggio di dire niente, così mia madre continuò.

«La situazione rimase immutata finché, un giorno, non si verificò un imprevisto. Aveva scovato una grossa comunità di geni che viveva in clandestinità in un sotterraneo. Sì, quel sotterraneo. Quello che poi sarebbe diventato la sede centrale della Setta. E, in quella comunità, aveva ritrovato nostro padre. Venne lui stesso a raccontarmelo. Nostro padre era un Vendicatore, ed era il capo di quella comunità. E, mi raccontò, fece il possibile per tirare Enea dalla sua parte. Ci riuscì. Più di questo non so. Non so cosa sia successo, non so per quale motivo Enea cambiò idea così drasticamente. Da quel momento in poi è stato tutto un crescendo. Nostro padre, mi dissero, morì. Enea divenne il capo e prese il nome di Alastor. Era un militare addestrato, fondò la Setta, organizzò un esercito, non so cos'altro fece. Quello che so è che nel 2002 aveva sotto il suo comando un numero inquantificabile di geni. Con questo mostruoso esercito, Enea attaccò Tibur».

Mi veniva da piangere. Mia madre parlava di lui con voce atona e cantilenante, come se stesse ripentendo una lezione di storia. Ma lui era suo fratello. Lei lo chiamava sempre Enea, mai Alastor. Fino alla fine, per lei era sempre stato Enea.

«Mamma» dissi, cautamente, nel silenzio generale rotto solo dallo scoppiettio del fuoco, «però, stando a ciò che hai raccontato, lui non sembrerebbe essere del tutto dalla parte del torto».

«No, inizialmente non lo era» confermò mia madre. «Ma lui era un Vendicatore. Immagina la sete di tutti quei geni. Erano stati costretti a vivere in clandestinità. I loro figli erano strappati via dalle braccia delle madri. Immagina. Enea si fece prendere la mano. E così, nello stesso anno, finì per macchiarsi del delitto più odioso: uccise Elissa, la Sibilla, nostra sorella. Il Fuoco si spense e rimase spento per sette anni, fino al 2009. Nel frattempo, creature di ogni sorta, fuoriuscite dagli Inferi, si erano unite all'esercito di Enea».

«Ma se era davvero così forte, e aveva anche messo le mani sul Lapis Niger, cosa è successo nel 2009? Perché, alla fine, è stato sconfitto?».

Un fatto casuale e non ripetibile, l'aveva definito Rei, quella volta nel cortile delle biblioteche a villa Adriana.

«Lui si era indebolito in seguito ad alcuni fatti che non aveva previsto» disse mia madre, poi tirò su col naso e fece una lunga pausa. «E un giorno, per caso, fece l'incontro che mai si sarebbe aspettato. Si trovò faccia a faccia con nostra madre. La nostra madre adottiva, che ci aveva cresciuti e tanto ci aveva amati».

La nonna? In che modo una vecchiolina Umana poteva incastrarsi in quel racconto? Che ruolo avrebbe mai potuto avere nella caduta del genio più potente e spietato della storia?

«La nonna era invecchiata e irriconoscibile, dopo l'omicidio di Elissa. Lei era la sua prediletta. Eppure, quando si trovò faccia a faccia con Enea, fece qualcosa di sconcertante: lo perdonò».

Yumi mi lanciò un'occhiata fugace, preoccupata. Sapevamo quello che significava. Rei ce lo aveva spiegato.

«Il perdono è la nemesi della vendetta» disse mia madre.

«Cioè, a sconfiggerlo è stata... la nonna?»

«Certo che no, Melania. Ma la nonna, non volendo, ha finito di indebolirlo. Lo ha reso fragile. È stato poi un attacco di Reazionari a finirlo».

Un bagno di sangue. La mia famiglia. Una fiera dell'est della morte.

«La nonna non lo sa e mai dovrà saperlo» mi intimò mia madre. «Mi raccomando».

«Certo» mi affrettai a rispondere. «Non glielo dirò mai. Te lo giuro».

Nessuno aprì più bocca per qualche minuto.

«Sarà meglio andare a dormire» disse la professoressa.

Mia madre, però, sembrava non avere proprio nessuna intenzione di alzarsi dal tappeto.
Così aspettai che tutti se ne fossero andati, mi avvicinai a lei e invitai anche Daniel a raggiungerci. Credevo che non avesse capito niente del discorso. Ma mi sbagliavo: si mise a sedere tra le gambe di mia madre e la abbracciò forte.

«Mamma» dissi, frastornata. «Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto passare».

«Grazie» rispose lei, senza guardarmi.

«Ma Gilbert... lui... che ruolo ha in questa storia? Lui sapeva del catalizzatore. Era dalla parte di Alastor, quindi? E perché mi ha chiamata Elissa, quella notte? Conosceva anche lei?»

«Gilbert è stato più sfortunato di noi» rispose, stringendo mio fratello. «Lui è stato strappato dalla sua famiglia a dieci anni, e direttamente arruolato nell'esercito».

«Cioè non è stato adottato?»

«No. Si è fatto grande così, tra i legionari Umani, solo, discriminato e senza affetto. Gilbert aveva già passato il risveglio e aveva già fatto il praticantato da genio. Era un genio fatto e finito. Lui ed Enea erano coetanei e, da bambini, divennero presto amici, sì. Come avrebbero potuto non esserlo? Poi però Enea iniziò a cambiare e Gilbert si allontanò da lui».

«Ed Elissa, invece?»

Non so perché, ma mi parve di sapere già la risposta.

«Lui la amava, vero?»

«Sì» rispose mia madre, e il mio cuore perse un colpo. «Sì. E anche lei amava lui. Anche se, ovviamente, stiamo parlando di un amore platonico. Non avrebbe potuto essere altrimenti, poiché lei era la Sibilla».

Gilbert era innamorato di mia zia, la sorella di mia madre. Avevo accusato il colpo. Non avrei saputo dire perché. Gilbert era un uomo. Non c'era niente di strano. Mi stupii di quanto la cosa mi stupisse. Mia madre si soffiò il naso e riprese a parlare, a voce bassa.

«Vedevo, giorno dopo giorno, quanto le somigliassi. Quando tuo padre mi ha avvertito che saresti dovuta partire per Tibur e che anche Gilbert era stato scelto come giurato, mi sono sentita in dovere di prepararlo. Non avevo sue notizie da anni, ma mi sembrava il minimo che potessi fare, anche se non siamo mai andati d'accordo, neanche quando era viva Elissa. Poi, dopo la sua morte, ho cercato di avere meno contatti possibili con lui. Vederlo mi faceva stare male, mi ricordava troppo lei».

Non sapevo cosa dire. Non ne avevo idea. Davvero. Mi tornò in mente la prima volta in cui notai Gilbert. Quando quell'uomo, che per me era un perfetto sconosciuto, aveva preso le mie difese in una riunione della giuria.

«Ora capisci perché sono così diffidente nei suoi confronti? Capisci perché ho dato di matto quando ti ho trovato addosso il suo medaglione? Non sopporto che lui ti usi come rimpiazzo» disse.

Mi sentivo frastornata. Avrei voluto dire qualcosa in difesa di Gilbert ma rimasi in silenzio. Sarebbe stato inutile. Io non sapevo praticamente niente di lui, mentre mia madre lo conosceva da tutta una vita.

«Lui non ha mai dimenticato Elissa. Tuo padre, che ogni tanto lo incontrava, mi diceva di vederlo sempre da solo, sempre più chiuso e inquietante. Poi arrivi tu e tutto cambia. Improvvisamente Gilbert si interessa agli altri. Improvvisamente riesuma il medaglione della sua famiglia e decide di avere una discepola. Che, casualmente, ha la stessa faccia della ragazza che amava».

Come al solito, non aveva capito niente. Non avrei mai potuto capire. Non avrei mai potuto immaginare.

«Era questa la tua preoccupazione, quindi?»

«Sì. Temevo che tu ti affezionassi troppo a lui. Sopratutto perché sei cresciuta senza un padre».

«Questo cosa c'entra?» chiesi, ma intanto non riuscii a contenere le lacrime.

Forse aveva ragione lei. Forse per Gilbert ero stata solo un rimpiazzo. Forse lui per me era stato lo stesso.

Niente di particolarmente strano, viste le circostanze. Mi sembrava tutto maledettamente triste, però.

«Tu lo hai fermato, il giorno dell'assalto dei Reazionari nel sotterraneo. Se ci avessi provato io mi avrebbe fatta a pezzi. Porsi tra un genio, un Incendiario poi, in fase offensiva e la sua vittima è pericolosissimo. Avrebbe potuto ucciderti. Per questo sono intervenuta».

Fui attraversata da un brivido. Avevo avuto paura, quella volta. Il volto sfigurato di Gilbert, gli occhi neri, il naso arricciato... mi avevano spaventata. Non mi ero mai sentita direttamente in pericolo, però. Anche perché lui mi aveva vista, ed era tornato subito normale.

«Eppure non lo ha fatto».

«Certo che no. Lui, guardando te, vede Elissa. Per questo non ti farebbe mai del male».

Sì, ovvio. Lui mi aveva rimproverata, in quell'occasione, infatti. Ma poi mi aveva anche ringraziata.

«Senti, mamma» sussurrai, dopo un po'. «Al di là di ciò che è stato... tu ti fidi di Gilbert?»

«Non particolarmente» rispose. «Non mi piacciono le persone che non si schierano».

«Chi è stato a cercare di ucciderlo, quella notte? Lo sai?»

«Certo che lo so. So leggere le ferite, oltre che curarle. E hanno sempre molte cose da raccontare».

«E, quindi, chi è stato?»

«Un Eques» rispose.

«Chi?» domandai.

Daniel si era addormentato. Mia madre lo smosse appena, poi gli diede un bacio sulla testa.

«Gabriel. Tuo padre».

Oh ma qui, ridendo e scherzando, siamo arrivati al penultimo capitolo.
Comunque, visto che mi pare di capire che amate gli aneddoti sulla mia vita (soprattutto quelli drammatici), quest'oggi ho una storia triste per voi.
Come chi mi conosce sa bene, sono molto fissata con le unghie. Le ho portate ricostruite in tutti i modi, di ogni forma e lunghezza e con ogni tipo di decorazione (acrilica, gel 3d, pittura, pietre, adesivi dei cinesi... una volta, prima che il gel si asciugasse, ci si è fermata persino una mosca e vabbé non vi dico come è finita perché sarebbe troppo splatter). Poi, prima col covid e poi con la gravidanza e la bambina, ho smesso di farmele e mi sono depressa al punto da non mettermi più neanche gli anelli. Poi ho trovato loro. Le unghie finte di Amazon. Wow. Me le sono messe e... e non riesco più a scrivere perché sono troppo lunghe e beccano il tasto sopra ç_ç  quindi niente, le ho smontate ç_ç avevo detto che era una storia triste, non una storia interessante ç_ç
Ciao ç_ç

AppleAnia 

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