1.31 • UNA SETTA NON È UNA DEMOCRAZIA
«Stai bene, cara?»
Il viso minuto della signora Petrocchi emerse lentamente dalla nebbia in cui si era assopita la mia mente.
Ci misi qualche istante a rendermi conto di cosa fosse successo. Ero in piedi, quindi non stavo dormendo. Mi sentivo stanca, come se avessi camminato molto. E, se davanti a me c'era la signora Petrocchi, non ero più nel sotterraneo della Setta.
La Setta. Certo. Avevo accettato di farmi stordire dal Perturbatore di Anime del gabbiotto.
«Sto bene» dissi, anche se mi sentivo un po' rimbambita. «Dove siamo?»
«A casa mia, cara» rispose la signora Petrocchi. «Gilbert ti ha lasciata qui».
Era vero, era la casa della signora Petrocchi. Avrei dovuto riconoscerla, piena com'era di centrini e di portaritratti.
«Lara sta arrivando» aggiunse.
«Grazie» risposi, anche se, lì per lì, non mi ricordai neanche per quale motivo volessi vederla.
Poco dopo, però, mi tornò tutto in mente di botto. Mia madre e Jurgen esanimi a casa di Gilbert. L'Accademia. Il catalizzatore.
«Intanto credo che avrai piacere di vedere chi ti sta aspettando in soggiorno» disse.
«Chi mi sta aspettando?» chiesi.
«Sono io, baka» rispose Yumi, affacciandosi alla porta. «Chi ti aspettavi?»
«Smettila di chiamarmi in quel modo!» esclamai.
Yumi, a un primo sguardo, pareva impeccabile come al solito, con la pelle del viso distesa e levigata, il colletto della camicia perfettamente stirato e i capelli sciolti del tutto privi di doppie punte. Però i suoi occhi, cerchiati dalle occhiaie e completamente struccati, erano lucidi e arrossati.
«Yumi» dissi, facendo un passo verso di lei. «Mi dispiace tanto per tuo padre».
Lei deglutì vistosamente, poi ricacciò indietro le lacrime e sorrise.
«Grazie» rispose. «Vieni, mia mamma ti vuole salutare».
La madre di Yumi era bellissima. Aveva i capelli neri e lucenti, la pelle chiarissima e la bocca carnosa dai contorni perfetti. Non era poi tanto cambiata da come l'avevo vista nel ricordo di Rei, in effetti. Anche lei, come mia madre, era molto giovane, sotto i quaranta. Però, a differenza di mia madre, che aveva spesso l'atteggiamento e l'espressione di una iena inferocita, la mamma di Yumi sembrava anche molto dolce e gentile.
Inoltre si ricordava di me, quindi si alzò dal divano e mi sorrise come se ci conoscessimo da una vita, sgretolando ogni possibile imbarazzo.
«Che piacere rivederti, Ania» mi disse. «Sono Kumiko».
Aveva gli stessi occhi di Rei.
«Grazie» risposi, «anche per me».
«Accomodatevi» ci esortò la signora Petrocchi. «Vado a preparare una tisana».
«Non mi aspettavo di trovarvi qui» dissi.
«Siamo tornate per il funerale» rispose Yumi. «Anche se non sarà per il momento».
Lanciai un'occhiata in direzione di Kumiko, seduta compostamente sul divano accanto alla figlia. Quella donna non somigliava a Rei solo di lineamenti, ma anche nel contegno e nel portamento.
«Non sappiamo quando si terrà» disse. «Probabilmente quando le acque si saranno calmate, così che vi possano prendere parte tutti gli Equites».
«Chissà se Onii-chan ha preso il posto di papà» disse Yumi.
«È proprio così» dissi, e loro si voltarono a guardarmi.
«Ci hai parlato?» chiese Yumi, saltando in piedi. «Lo hai visto?»
«No, mi dispiace» dissi. «Ma mi è apparso in un sogno. O meglio, è apparso in sogno a Daniel... è una faccenda quasi impossibile da comprendere».
«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario» disse la Di Pietro, entrando in soggiorno. «Chi è stato a dirlo?»
«Non ne ho idea» ammisi, alzandomi in piedi.
«Molto bene» rispose, togliendosi la sciarpa. «Sono felice di rivederti tra noi, Melania».
«Anche io sono felice di essere tornata» ammisi.
«È stata dura?»
«Sì, è stato difficile, soprattuto i primi tempi. Ma qui, sicuramente, lo è stato di più» risposi.
«A proposito» disse la signora Petrocchi, varcando la soglia con un vassoio in mano. «Ho sentito alla radio che pare che gli Equites siano riusciti a chiudere tutti i varchi con gli Inferi».
«L'abbiamo sentito anche noi» confermò Yumi.
«E quindi ora cosa accadrà?» chiesi.
«C'è ancora molta strada da fare» rispose la signora Petrocchi. «Dovranno combattere e rinchiudere tutte le Creature fuoriuscite finora».
«Già. E dovranno farlo con i Reazionari tra le palle» sbuffò Yumi.
«Yumi» la richiamò sua madre, ma non aggiunse altro.
«Cosa stanno facendo i Reazionari?» domandai.
«Hanno approfittato della situazione, come era prevedibile» rispose la Di Pietro.
«In che modo?» chiesi.
«Le Ceneri di Oreste sono sparite» sibilò lei e tutte le altre si voltarono a guardarla, sconvolte.
«Chi sarebbe Oreste?» mi azzardai a domandare ma non ottenni risposta.
«...e anche il velo di Iliona» concluse, con aria lugubre.
Oreste, Iliona. Chiunque fossero, a giudicare dalla preoccupazione che aleggiava nella stanza, una cosa mi era chiara: Kirk aveva detto la verità. I Reazionari stavano davvero muovendosi nell'ombra.
«Ma se il Pontifex venisse liberato...» disse Yumi, agitata. «Lui sarebbe in grado di...»
«Un suo intervento tempestivo, forse, potrebbe essere risolutivo» disse la signora Petrocchi.
«Ma dovrebbe essere tempestivo sul serio» aggiunse la Di Pietro.
Mi sembrò che tutte mi stessero guardando.
«Non so dove sia il Pontifex» dissi. «Non ho modo di intercedere...»
Stavo mentendo. Certo che avrei avuto modo. Avrei potuto per lo meno di provarci. La Setta non era una democrazia. La Setta aveva un capo assoluto, che poteva decidere e disporre a suo piacimento, e quella persona era Jesper Kierkegaard, l'erede di Alastor.
Ma io ero salita in superficie per salvare mia madre e Jurgen e quel proposito, nonostante tutto, continuava a sembrarmi la cosa più importante. Non sarei riscesa a mani vuote solo per cercare di contrattare la liberazione del Pontifex. Ero una stupida egoista, però. E non avrei mai avuto coraggio di ammetterlo ad alta voce. Soprattutto davanti a Kumiko, la madre di Rei, la vedova di un uomo che aveva dato la vita al servizio dell'Impero. Inoltre, visto il modo in cui io e Kirk ci eravamo salutati, non mi sembrava proprio che fosse il caso di tornare avanzando richieste.
«Nessuno te lo avrebbe mai chiesto, Melania, stai tranquilla» mi disse la professoressa. «Ci sta già pensando Gilbert».
Gilbert. Certo. Era il suo lavoro, lo sapevo già. Cioè, era un mediatore. Lo sapevo. Non sapevo da che parte risiedesse la sua fedeltà, però. Se avesse dovuto sacrificare gli interessi di una delle due parti per il bene dell'altra, quale avrebbe scelto?
«Comunque, cara» disse la Petrocchi, interrompendo il flusso incontrollato dei miei pensieri. «Qual era il motivo della tua visita?»
Mi riscossi.
«Certo» dissi, e vuotai la mia tazza, ustionandomi la lingua e il palato. «Ora vi spiego tutto».
Sia la Di Pietro che la signora Petrocchi, per fortuna, conoscevano le profezie sibilline sui geni. Nessuna delle due, però, aveva sentito mai parlare di quel catalizzatore. Si misero a parlottare tra loro, accigliate.
Kumiko, da quando aveva saputo che mia madre era sospesa tra la vita e la morte, sembrava sprofondata in una depressione inconsolabile. Yumi, invece, mi stava fissando attenta. Troppo attenta.
«Come fai a sapere tutte queste cose?» mi chiese. «Te le ha dette Gilbert?»
«In parte» risposi.
«E l'altra parte?»
«È stato Kirk» confessai.
«Chi è Kirk?»
«Kierkegaard» precisai. «L'imputato del processo. Ti ricordi?»
«Certo che mi ricordo» rispose, gelida.
«Sì ma aspetta, Yumi» tentai di giustificarmi, «le cose non sono come sembravano. E lui è...»
«Corna di Bacco, Ania! Non mi interessa com'è!» mi interruppe, saltando in piedi.
Anche la Di Pietro e la signora Petrocchi smisero di parlare, fissandoci sgomente.
«Fammi spiegare...» provai.
«Non c'è niente da spiegare!» urlò. «Ti sei fatta convincere! Adesso sei dalla loro parte, scommetto!»
«Non è così semplice... se mi lasciassi raccontare...»
«Ora siete amici, certo» disse, poi si rivolse alle altre. «L'avete sentita, vero? L'ha chiamato Kirk!»
«Yumi, cerca di calmarti» le sussurrò Kumiko, a disagio.
«Mio padre è morto per colpa di quella gente!» gridò, con la voce strozzata dal pianto. «E tu fraternizzi con loro?»
«Tuo padre non è morto per colpa loro» si sentì.
La voce sembrava echeggiare dall'oltretomba. E invece proveniva dalla porta, sulla quale si era appena materializzato Devon.
«Devon...» boccheggiai.
Era diverso. Pallido, vestito male, con gli occhi chiari cerchiati di nero, i capelli spettinati e l'espressione contrita.
«Ciao, Ania» disse.
«Sì, infatti» gli fece eco Yumi. «Ciao, Ania».
Detto questo si voltò e se ne andò sbattendo la porta.
«Felice di sapere di essere in cima alla lista dei vostri pensieri» disse Devon.
Mi sentii improvvisamente sopraffatta dal senso di colpa.
Yumi se ne era andata. Kumiko mi guardava affranta. La Di Pietro e la signora Petrocchi erano ammutolite. Avevo lasciato Kirk nel peggiore dei modi. Mi ero ripromessa di preoccuparmi di più degli altri eppure, nonostante tutto, continuavo a pensare sempre e solo a me stessa e ai miei interessi.
Devon aveva solo fatto una battuta, il suo volto stanco si era disteso in un sorriso. Ma le sue parole mi avevano colpita e affondata come fossero state una raffica di proiettili. Lo raggiunsi sulla porta, gli buttai le braccia al collo e scoppiai a piangere.
«Scusa» farfugliai, mentre lui mi batteva dei colpetti confortanti sulla schiena. «Scusami. Sono contenta che tu stia bene».
«Mi fa piacere saperlo» mi sussurrò all'orecchio. «Credevo mi odiassi».
«No che non ti odio» risposi, tirando su col naso.
«Melania» mi richiamò la Di Pietro. «Vieni dai, torna a sederti. Abbiamo avuto un'idea. Forse sappiamo come fare per farti trovare il catalizzatore».
Come dite? Vi sembra che abbia saltato, con nonchalance, una settimana di pubblicazione?
Insomma, parliamo di cose serie.
In questo capitolo stanno tutti un po' scapocciati.
Ania, che sembrava aver trovato finalmente il suo ambiente ideale, ora si è rincitrullita di nuovo.
Devon, giustamente, sta sotto a un treno.
Yumi ha proprio sbroccato.
E niente, mi pare un riassunto sufficientemente esaustivo.
AppleAnia ❧
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