1.28 • LA FERITA INCANDESCENTE
Mi svegliai di soprassalto.
Mi ero addormentata con la testa sul divano ma, nel sonno, mi ero lasciata scivolare sul tappeto. Nonostante ciò, il collo irrigidito mi faceva un male atroce. E anche il resto delle ossa e delle articolazioni. Qualcuno mi aveva messo una coperta addosso ma non era stata sufficiente a neutralizzare l'umidità del pavimento.
Il divano accanto a me, comunque, era vuoto.
Mi alzai, dolorante, e mi diressi in cucina, dove trovai mia madre, Daniel e Gilbert seduti intorno al grosso tavolo di legno a fare colazione come se nulla fosse.
«Buongiorno» dissi, scavalcando la panca e sedendomi accanto a mia madre.
«Come si sente?» domandai poi a Gilbert, versandomi il caffè.
«Molto meglio, grazie» rispose.
«Come è successo?» domandai. «Chi è stato?»
«Non ha importanza» disse lui. «È stato un incidente».
Inutile insistere, quindi.
«Posso avere indietro il medaglione?» chiesi, piuttosto.
Lui si frugò nella tasca e me lo diede. Prima di infilarmelo lanciai un'occhiata in direzione di mia madre che, però, non alzò lo sguardo dalla tazza di caffè che stava sorseggiando neanche per un attimo. Conoscevo quell'atteggiamento. Non si sarebbe opposta. Ma, se avessi cercato la sua approvazione esplicita, non l'avrei avuta.
Mi misi la catena la collo e infilai il medaglione sotto i vestiti.
«Ora ti faranno entrare in Accademia, quindi» disse.
Lo sapeva?
«Kierkegaard me l'ha detto. Non pensavo che diventaste così amici. Né che potessi improvvisamente manifestare questo interesse per il lato offensivo del tuo potere».
«È stato Kirk a venire da me» precisai, come se qualcuno me l'avesse chiesto.
«Certo» disse, «non avevo dubbi».
«Ti ha fatto delle proposte... strane, Melania?» mi chiese mia madre.
«Mi ha chiesto di uscire con lui con una certa insistenza» risposi, ripensando alla proposta con una punta di divertimento. «Ma scherzava».
«Non scherzava» mi contraddisse Gilbert.
«Come vuole» dissi, scocciata.
«Ma lui ti piace?» domandò mia madre.
Che razza domanda era? Di prima mattina, poi.
«È bello» ammisi. «E andiamo piuttosto d'accordo. Ma sono innamorata di un altro e questo non cambierà».
«E adesso dove stai andando?» mi chiese ancora lei, poiché mi ero alzata.
«Da lui. Ora che ho di nuovo il medaglione potrò allenarmi con gli Incendiari».
«Melania» mi richiamò Gilbert. «Non dire né a lui né a nessun altro quello che è successo stanotte».
«Va bene» risposi.
Però non ero per niente contenta. Né di come era andata la conversazione, né di dover tenere un segreto del genere con la persona che era stata più onesta con me.
«Penserà che ho voluto il medaglione indietro solo per poter entrare in Accademia» dissi a Jurgen, che mi ascoltava paziente.
«Non lo pensa, stai tranquilla» rispose. «Lui, più di chiunque altro, può leggere le tue intenzioni».
Ah già. C'era quel fatto della telepatia. Un potere di cui, personalmente, riuscivo a usufruire solo nel sonno.
Già. Nel sonno.
Mi tornò improvvisamente in mente il sogno della notte precedente. Era un sogno di Gilbert? Una visione? Una premonizione? Sarei diventata la nuova Sibilla? Sperai che non fosse così. Non volevo essere una Sibilla e men che meno volevo morire vergine.
«Buongiorno» disse Kirk, che ci stava aspettando sulla porta dell'Accademia.
«È mai capitato che un genio diventasse Sibilla?» risposi.
«Hai questo dono di riuscire a fare sempre la domanda sbagliata al momento sbagliato» rise lui. «Comunque sì, una volta è successo».
Lo sapevo.
«Perché?» chiese Jurgen.
«No, niente» risposi.
«Ottimo» concluse Kirk. «Entriamo».
L'arena che si nascondeva dietro quella porta gigantesca era troppo grande per essere contenuta davvero in quel palazzo; doveva trattarsi di qualche illusione. Una parte di essa era niente di diverso da una palestra, con il parquet per terra e le spalliere ai muri. Proprio su quel parquet, poco più avanti, cominciava a spuntare della vegetazione. Una piantina, poi qualche filo d'erba, un piccolo arbusto qua e là e, infine, un muro di alberi che segnavano il limitare di una foresta. Dal lato opposto il parquet andava man mano ricoprendosi di sabbia, e terminava in quello che sembrava un oceano.
«Sì, lì c'è anche la giungla e lì il deserto» disse Kirk, poi indicò un punto lontano oltre la foresta, che si perdeva a vista d'occhio. «Lì c'è la montagna innevata, invece, vedi?»
«Ma come è possibile?» domandai, sconvolta.
«Siccome il potere dei geni è suscettibile a molti fattori, preferiamo ricreare tutti gli scenari possibili in allenamento» rispose Kirk. «Dove vuoi andare quindi? Mare o montagna?»
«Montagna» decisi.
«Bene allora incamminiamoci» disse Kirk, afferrò una fiaccolai dal muro e mi invitò a seguirlo nella foresta.
Era assurdo. Il parquet aveva lasciato il posto a un manto erboso particolarmente selvaggio e rigoglioso. Tra gli alberi e gli arbusti ogni tanto si udiva qualche rumore fugace di predatore notturno.
«È così reale» dissi. «Come è possibile?»
«Velatori» rispose Kirk. «Io l'ho sempre detto che sono i geni più potenti».
«I Velatori sono i geni più potenti? È la prima volta che lo sento»
«I Vendicatori e gli Incendiari sono quelli che hanno maggior potere offensivo. Ma i Velatori e i Perturbatori di Anime, loro...»
Si interruppe quando si accorse che stavo piangendo. Non avrei saputo dire neanche io il motivo. Forse perché, alzando gli occhi, tra le fronde rigogliose degli alberi ad alto fusto, ero riuscita a vedere il cielo. Un cielo limpido e stellato. Sapevo che era solo un'illusione ma la sua presenza, dopo tanto tempo, mi aveva ugualmente provocato un'emozione potente e incontenibile.
«Vivere sotto terra è dura, lo so» disse Kirk. «Anche per questo qui dentro cerchiamo di creare illusioni che siano il più possibile realistiche».
«È mattina» dissi, tirando su con il naso. «Perché un cielo notturno?»
«Il cielo rispecchia quello che c'è fuori. E fuori il sole non sorge più da settimane».
Per colpa mia. Perché Devon aveva profanato il tempio e provocato lo spegnimento del Fuoco.
«Deve essere dura anche lassù» dissi.
Quando abbassai di nuovo lo sguardo mi accorsi che Kirk si era avvicinato troppo.
«Allontanati» dissi, indietreggiando.
Lui si fece subito indietro.
«Scusa» disse, e mi sembrò in difficoltà. «Gilbert è riuscito nel suo scopo, vedo. Hai di nuovo paura di me».
«No, scusami tu» dissi. «Ma perché, cosa avrebbe dovuto dirmi Gilbert su di te?»
Lui poggiò la schiena contro il tronco di un abete e si accese una sigaretta.
«I geni non sono come gli Obumbrati o gli Umani Superbi, un essere indipendente da un altro. No, i geni vivono in comunità ed è come se fossero tutti uniti da legami di parentela. Per i geni è facile imparare uno dall'altro e, come probabilmente hai capito tu stessa, visto che stavi origliando, c'è la possibilità di passarsi il numen o parte di esso».
«In che modo?» domandai, anche se iniziavo ad avere un sospetto.
«Con l'atto sessuale» rispose lui, espirando il fumo.
Ecco, proprio quello che pensavo. Lo avevo già capito. Ma perché allora stavo arrossendo come una bambinetta? Sperai che, complice il buio della falsa notte, non se ne accorgesse.
«Naturalmente» aggiunse lui, sorridendo appena, «non vale per ogni rapporto sessuale. Anche se sarebbe molto divertente, ti immagini? Finirebbero tutti a fare sesso con tutti».
Ah sì, molto divertente. Un'idea talmente spassosa che dovetti trattenere l'impulso di scavarmi una fossa e tumularmici viva.
«Comunque no» continuò, «vale solo per il primo rapporto sessuale. La prima volta che si fonde il proprio corpo con un altro avviene anche la fusione del potere. Capirai quindi che, in alcuni casi, c'è il rischio che qualche genio particolarmente bramoso di potere, possa farsi venire in mente qualche trovata estrema».
Quindi Gilbert temeva che Kirk volesse portarmi a letto per ottenere il mio numen di Vendicatore. E Kirk invece temeva che qualcuno tentasse di violentarmi. Beh, era ottimo. Due scenari davvero rassicuranti. Soprattutto considerato il fatto che ero stata costretta a rifugiarmi in quel posto per stare al riparo da ogni pericolo.
«Fortunatamente questo posto è pieno di ragazze più belle e probabilmente più potenti di me».
Kirk sorrise con un sopracciglio alzato.
«Più belle non saprei, è possibile. Più potenti non credo proprio».
Dovetti chiamare a raccolta tutto il mio coraggio ma, infine, riuscii a domandare:
«E tu vorresti il mio numen?»
«Sì, lo vorrei» rispose, senza esitare. «È inutile negarlo. Tanto mi hai sentito, ieri, con Gilbert».
Non riuscivo più a ragionare lucidamente, tanto ero in imbarazzo. Il mio proverbiale cinismo se ne era andato in quel paese.
«Mi dispiace dover affrontare un discorso del genere in questi termini» disse. «Con una ragazza così giovane, poi. Però la situazione è estrema, in questo periodo».
«E tu useresti il mio numen per... prendere il comando.» dissi. «Per distruggere l'Impero».
«Sì, esatto» rispose. «Un Impero che affonda le sue radici sulla vessazione dei geni».
«Mi pare che siate già sulla buona strada, anche senza il mio numen» incalzai. «Avete rapito il Pontifex per fare... che cosa, esattamente?»
«Sì, eravamo sulla buona strada, infatti. Tutto era andato secondo i piani. Ma non potevamo certo immaginare che il Fuoco si spegnesse. C'è stato solo questo piccolo imprevisto. Col Fuoco spento e tutti i Venatores in giro non c'è molto che possiamo fare, se non aspettare che vengano tempi migliori».
Tirai un sospiro di sollievo. Non avrei mai pensato di poterlo ammettere ma forse, in fondo, lo spegnimento del Fuoco aveva giocato in nostro favore.
«Io, fossi in te, non sarei così sollevata» disse lui. «Perché, vedi, i geni non sono gli unici a muoversi nell'ombra. Ci sono anche i Reazionari. E, più noi aspettiamo, più loro diventano forti».
«Davvero?» domandai. «Dici sul serio?»
«Purtroppo sì. Se i Reazionari dovessero prendere il potere dell'Impero, i geni e tutte le altre Creature di Mezzo...»
Non finì la frase ma non fu necessario. Hans e Nerissa mi avevano fornito un quadro abbastanza chiaro della loro posizione riguardo i geni.
«Io penso che il tuo numen, insieme a quello di tutti gli altri geni della Setta, sia più che sufficiente per sconfiggerli, anche senza di me».
«Certo» rispose. «Schierando un esercito e combattendo una guerra. Perché se noi schierassimo il nostro esercito i Reazionari schiererebbero il loro. E l'Impero il suo. Senza Sibilla, con il fuoco spento, gli Obumbrati nel panico e le Creature di Mezzo e degli Inferi fuori controllo. Se sarà necessario sarà fatto, ci mancherebbe. Ma se si potesse evitare sarebbe meglio».
Certo, quello era ovvio.
«E con il mio numen si potrebbe evitare?»
«Ci si potrebbe provare. Ci sono molte Creature degli Inferi che rispondono ai Vendicatori. Averle dalla propria parte potrebbe essere un deterrente».
«Ma se anche decidessi di farlo» dissi, ma dovetti distogliere lo sguardo. «Perché dovrei decidere di passarlo proprio a te?»
«E a chi, altrimenti?» rise. «Hai puntato qualcun altro? Heikki Vanhanen? Se gli passassi un po' del tuo potere forse riuscirebbe, non so, a lanciare dei coriandoli».
Quell'immagine, nonostante tutto, mi fece ridere a crepapelle.
«Oppure Jurgen?» chiese, ancora. «Con lui ti andrebbe proprio malissimo».
«Perché è invaghito di Maia?»
«Perché è invaghito dei maschi».
«Caspita» dissi, ricomponendomi. «E questo scambio di potere funziona anche se ci si accoppia tra maschi?»
«Certo, ovvio. Anche tra femmine. Non fa nessuna differenza».
Mi tirai su e alzai di nuovo lo sguardo verso il finto cielo. Nonostante tutto, mi era di conforto. Mi ricordava che c'era un altro mondo, fuori, oltre le Setta.
«Perché dovrei scegliere te?» ripetei, guardando le stelle.
«Perché qui comando io» rispose lui. «E comando io per un motivo».
Si estrasse qualcosa dalla tasca e me lo sventolò davanti agli occhi. Ci misi qualche attimo a capire cosa fosse.
Mi avvicinò alla faccia la torcia che aveva in mano.
«Avvicina il tuo medaglione alla fiamma» disse.
Lo guardai sospettosa. Non volevo farlo. Temevo che si rovinasse.
«Coraggio» mi esortò.
Acconsentii. Senza sfilarmelo dal collo, afferrai la catena del medaglione e feci in modo di avvicinarlo al fuoco. Immediatamente, sul retro, incandescente come un solco appena inciso, comparve una scritta: Gilbert.
«Accidenti!» esclamai. «Non ne avevo idea».
Lo ritrassi e immediatamente la scritta scomparve. Il fuoco non aveva lasciato nessun segno sul metallo, che era freddo e rigido esattamente come prima. Lui sorrise.
«Ora guarda il mio» disse.
La scritta ci mise più tempo a comparire ma, quando apparve, si manifestò come una trincea, una ferita incandescente, un graffio dai bordi irregolari che sembrava essere stato intagliato con la punta di un'arma: Alastor.
«Vedi, Ania» disse Kirk. «Io sono il suo erede. Sono l'erede di Alastor. Non c'è niente che desideri più del tuo numen. Perché è una cosa di cui ho bisogno».
Non feci in tempo a metabolizzare le sue parole che fummo interrotti da una familiare voce cupa.
«Kierkegaard».
Gilbert si trovava dietro di noi. Ci voltammo, di scatto, al suono della sua voce.
«Sono al portone» disse Gilbert, serio.
«Che cosa?»
«Hanno seguito una famiglia di geni che stava vendendo a rifugiarsi qui» aggiunse Gilbert e intanto si incamminarono a passo svelto, del tutto incuranti di me. «Stanno tentando di entrare».
«Chi?» domandai, terrorizzata dall'idea di qualcuno, chiunque o qualunque cosa fosse, che sbarrava la nostra unica via di fuga.
Nessuno mi rispose.
Ed eccoci di nuovo con un lievissimo squilibrio tra capitoli 😅
Infatti, nella stesura originale questo e quello di ieri erano accorpati. Quando vado a dividerli non riesco mai a spezzarli equamente ma viene fuori sempre uno che è una schifezzuola e l'altro che è lungo 20 mila caratteri. Perdono 🥲
Comunque, parlando di cose serie, finalmente, dopo 14 mila capitoli, si è capito chi è l'erede del titolo. Ve lo aspettavate? Oppure vi eravate anche scordati che dovesse per forza esserci un erede perché il titolo, per voi, è nient'altro che una scritta con un font figo fatta di parole a caso con il solo scopo di abbellire la copertina? (Io faccio parte di questa fazione, per esempio XD).
A mercoledì prossimo con il capitolo 29!
AppleAnia ❧
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