1.25 • LA VENDETTA NON È GIUSTIZIA
«Non sei impazzita» mi disse mia madre, la sera stessa in cui tornai a casa dalla mia visita in Accademia. «Anzi, stai finalmente avendo delle reazioni normali».
«Normali in che senso? chiesi, mettendomi a sedere sulla panca in cucina.
L'orologio a muro segnava la mezzanotte ma, in quel posto, per quanto cercassimo di mantenere un ritmo sonno-veglia accettabile, non aveva alcuna importanza.
«Normali per un genio».
«Non ho capito».
«Gli Umani sono creature con coscienza individuale che, nel corso dei secoli, si sono dovuti organizzare in strutture sociali più o meno complesse per riuscire a sopravvivere senza ammazzarsi l'un l'altro» disse. «Per i geni è diverso. Esiste l'individuo certo, ma al di sopra di esso esiste una coscienza collettiva. Ricordati che il genio nasce come nume tutelare. Nasce come creatura, quindi, sprovvista di una propria individualità».
Sembrava romantico, in un certo senso.
«Quindi, ora che ti trovi qui, senza ingerenze umane, tolti il nervosismo e l'aggressività provocati dalla cattività, è normale che tu cominci a comportarti come un genio. È normale che, improvvisamente, il disprezzo che provavi per quel ragazzo stia lasciando il posto a un sentimento diverso, meno giudicante e più inclusivo».
«In effetti» ammisi, «sono ancora arrabbiata con lui. Ma è subentrata una specie di indulgenza. Come se fossi arrabbiata con Daniel, o con te. Non so spiegarlo meglio».
«È proprio così» confermò lei.
«Che strano» dissi.
«Non è strano, è giusto così».
«Ma questa cosa non vale per i mezzi geni, vero?»
«Cosa sono i mezzi geni?» chiese mia madre.
«Tipo i gemelli Vanhanen. Non avrei parole per descriverti Heikki. Non esiste nessun sentimento di fratellanza che potrebbe farmi soprassedere sulla sua antipatia».
«Ah, no» ridacchiò mia madre. «Per i mezzi geni non funziona».
Si alzò in piedi e si stiracchiò.
«Andiamo a dormire?» chiese.
«Sì. Ho solo un'altra domanda. Tu che genio sei? Di che famiglia?»
Mia madre mi scrutò, un po' accigliata.
«Sono un Velatore».
«E la nonna?»
Ebbe un sussulto appena percettibile e tornò a sedersi.
«Melania, la nonna non è un genio».
«Ah no? Il nonno, allora».
«Neanche lui».
«Ma allora perché tu...»
«Sono stata adottata, ovviamente. Erano le leggi dell'epoca. Uno dei tanti soprusi ai danni dei geni».
«Cioè?»
«Cioè venivano tolti loro i bambini che poi erano dati in adozione a famiglie Superbe umane, sine imperio, in genere».
«Ma perché fare una cosa del genere?» domandai, allibita.
«Per favorirne l'integrazione, dicevano. In realtà la risposta a tutte le domande è sempre la stessa: gli Umani avevano paura dei geni. E ne hanno tuttora. Nel corso degli anni hanno fatto di tutto per cercare di controllarli».
Quella era una rivelazione inaspettata. Non avevo mai conosciuto mio nonno. Ma la nonna, quindi, non era davvero mia nonna?
«Non stare a pensarci, dai» disse mia madre. «Andiamo a dormire».
«Ok» dissi, poi ci ripensai. «E Daniel?» chiesi. «Daniel cos'è?»
Mia madre mi rivolse un sorriso stanco.
«E chi lo sa».
«Ovviamente non si può sapere finché non passa il risveglio» mi disse Kierkegaard, il giorno dopo.
«Cos'è il risveglio?» gli domandai.
«È il passaggio obbligato grazie al quale un genio entra in possesso del suo numen e assume i suoi poteri. I bambini non ne hanno o ne hanno appena un accenno. Verso la pubertà ogni genio subisce una sorta di metamorfosi e il suo numen si delinea in maniera definitiva».
Eravamo andati, insieme a Jurgen, nello stesso giardino in cui mi aveva portato Maia la prima volta in cui ci eravamo incontrate lì sotto, sulla sponda del fiumiciattolo. Mi aspettavo un attacco a sorpresa o che tentasse di testare in altro modo la mia preparazione fisica invece, d'improvviso, mi chiese:
«Tu sai qual è la tua debolezza, Ania?»
«Facile. La claustrofobia».
«Sbagliato» rispose.
«Allora mio fratello. Quando qualcuno parla di lui io...»
«Sbagliato di nuovo» mi interruppe.
Ci pensai un attimo. Rei, forse? Di sicuro non avevo intenzione di nominarlo.
«Allora non saprei».
«È la vendetta» mi disse lui.
Guardai in direzione di Jurgen, cercando di capire se mi stesse prendendo in giro, ma entrambi sembravano serissimi.
«Che significa?» domandai.
«E lo sai qual è il punto debole di Jurgen?» chiese di rimando.
«Maia Vanhanen?»
Entrambi scoppiarono a ridere.
«No, Ania» rispose Jurgen.
«Hans Vanhanen, il cugino dei gemelli, ha messo in giro questa voce. Diceva che avevi confessato a Maia della congiura perché eri invaghito di lei» dissi.
«Ti è chiaro o no che non è mai esistita nessuna congiura?» mi chiese Kierkegaard.
«Ho capito» risposi, offesa. «Poteva comunque essere che fosse invaghito di lei. È amico di Heikki e Maia è così bella».
«È molto bella, è vero» convenne Kierkegaard.
Aspettai che finisse la frase. Ma la sua constatazione era finita lì. Non c'era nessun ma, nessun però. Maia era molto bella e basta.
«E quindi, Ania? La mia debolezza? chiese Jurgen.
«Secondo il ragionamento di prima direi... la falsità?»
«Esatto» sorrise Jurgen, incoraggiante.
«E il mio?» chiese Kierkegaard.
«La collera?»
«Precisamente» rispose.
«Credevo che questi fossero i nostri numina» dissi.
«Il numen di un genio è sempre anche la sua debolezza» disse Kierkegaard. «Appuntatelo. Questa è la lezione numero uno e mi fa specie che Gilbert non te l'abbia detto».
«Credo che Gilbert avesse altre priorità. Ti ricordo che c'è stata di mezzo l'aggressione a quella ragazza, Kirk» disse Jurgen.
«Sì, sì. Me lo ricordo» disse, poi si interruppe e guardò qualcosa alle nostre spalle. «Uh, guarda, Jurgen. C'è la tua innamorata».
Mi voltai, depressa. I gemelli Vanhanen si stavano dirigendo proprio verso di noi.
«Non ti dispiace se li ho invitati, vero?» disse Jurgen.
«Ciao Ania» mi disse Maia, alzando appena lo sguardo su di me.
«Ciao» le dissi.
Mi dispiacque vederla la così mortificata. Non era lei l'oggetto del mio rancore, in fondo. Ci incamminammo sul prato, seguendo il corso d'acqua.
«Stavamo dicendo, quindi, che il numen di un genio è sempre anche la sua debolezza» riprese Kierkegaard, che ci aveva invitato a chiamarlo Kirk. «Sapete di che parlo?»
Io non lo sapevo, ma mi voltai a guardare verso i gemelli, in particolare verso Heikki. Ma neanche lui sembrava conoscere la risposta.
«Ania, tu sai dell'esistenza di un Osservatorio sui geni?» mi chiese.
«No, ovviamente» risposi, sulla difensiva.
«È un Osservatorio che ha sede a Villa Adriana. Da lì i geni vengono controllati e monitorati. Nel caso di azioni inappropriate, cioè di un uso non idoneo del potere, parte una segnalazione. In casi molto gravi, tipo attacchi ai danni di Obumbrati, oltre alla segnalazione partono anche i bracciali di contenimento. A proposito, dove sono i tuoi?».
Cominciai a sentire freddo ma non mi scomposi.
«Me li ha sfilati il magistrato Petrocchi, poco dopo il mio arrivo a Tibur» risposi. «E i tuoi?»
«Me ne sono sbarazzato in altro modo» disse. «Ma torniamo un attimo all'Osservatorio. Ci lavora anche Gilbert. Quindi anche la Setta è sempre informata, in caso di situazioni eclatanti».
«Molto interessante» dissi, con voce stridula.
«Tu sai di essere un genio segnalato, vero?» mi chiese Kirk e i gemelli si voltarono a guardarmi.
«Se è per l'aggressione a Nerissa...»
«Non è per quello» mi interruppe. «Io credo che tu sappia a cosa mi riferisco».
Sì, lo sapevo. C'era stato un solo incidente, da quando avevo memoria: la gita scolastica dell'anno precedente.
«Ania» disse Kirk, a voce più bassa. «Nessuno ti sta giudicando, sia chiaro».
«Ok» risposi, con un fil di voce.
«Ma sarebbe importante analizzare cosa è successo in quell'occasione» aggiunse.
Non volevo parlare davanti ai gemelli. In quel momento avevo ben chiaro cosa intendesse mia madre, con 'coscienza collettiva'. Era una sensazione di calore e di familiarità; non sarei stata in grado di descrivere a parole cosa fosse. Ero sicuramente in grado di descrivere, però, cosa non fosse. Non era il sentimento che mi legava ai Vanhanen, non avevo dubbi.
Qualunque cosa avessero scoperto, comunque, non avrebbero mai potuto usarla contro di me. Non senza ammettere di essersi trovati anche loro con me nel sotterraneo della Setta. Non riuscivo a pensare a cosa avrebbe fatto Hans se lo avesse scoperto.
«Eravamo in gita in Puglia» dissi, senza trovare il coraggio di guardare nessuno. «Era una gita di due giorni che quindi prevedeva un pernottamento. C'era questa mia compagna di classe, che si chiama Angelica. Nessuna voleva stare in camera con lei così io e le mie amiche pensammo di invitarla a stare con noi».
«Lodevole» disse Jurgen.
«Sì, forse. Ma lei non volle venirci. Perché, all'ultimo momento fu invitata da Roberta Rispoli».
«Chi sarebbe?» chiese Maia, che sembrava appassionata al racconto.
«Un'altra compagna di classe» risposi. «Molto ricca e molto popolare».
«Ah» disse Maia. «Per questo ha preferito andare con lei».
«Immagino di sì» risposi. «Ma non sapeva che Roberta e le sue amiche volevano solo farle uno scherzo. L'avevano invitata a stare in camera con loro solo per ridere di lei».
«Cosa le hanno fatto?» domandò Maia, accigliata.
«Le hanno fatto un video mentre era sotto la doccia» sussurrai. «Lei era in sovrappeso, e ne soffriva molto. Roberta e le sue amiche l'hanno sbattuta nuda su internet».
«È orribile» disse Maia.
«Sì, orribile» confermai.
Alzai lo sguardo su Kirk che mi guardava, attento.
«Angelica era sconvolta» continuai. «Venne nella stanza in cui ci eravamo sistemate io e le mie amiche, in lacrime. Noi la accogliemmo, ovviamente. Ma, appena lei smise di piangere e iniziò ad arrabbiarsi con Roberta per quello che le aveva fatto, io iniziai a sentirmi strana».
«È normale» disse Juergen.
«Sai descrivere la sensazione che provasti?» mi chiese Kirk.
«Avevo... sete. Avevo sete. Anche se, adesso mi rendo conto, la sete di vendetta era di Angelica, io l'avevo solo assorbita».
«E che cosa hai fatto?» chiese Maia.
«Sono andata in camera di Roberta e le ho intimato di cancellare subito il video e di andare a scusarsi con Angelica. Ma lei si è messa a ridere e ha tentato di cacciarmi dalla sua stanza».
«E tu l'hai aggredita?» chiese Maia, speranzosa.
«Io no, non l'ho neanche toccata. Sono state le sue amiche» dissi. «Io l'avrei appesa al muro, se fosse stato per me. Ma non ho fatto in tempo a muovere neanche un passo che le sue amiche le si sono improvvisamente rivoltate contro».
«Barba di Giove!» esclamò Maia e mi accorsi in quel momento di avere anche l'attenzione di Heikki. «E che cosa le hanno fatto?»
Abbassai di nuovo lo sguardo. Ormai sarebbe stato chiaro a chiunque che, qualunque cosa le avessero fatto, era stata colpa mia.
«L'hanno presa, spogliata e buttata in mezzo al corridoio dell'albergo» dissi. «Così si è ritrovata nuda e sola, proprio come Angelica».
«E cosa ha fatto?» chiese Maia.
«Non c'era molto che potesse fare. Le altre ragazze della classe la odiavano tutte. Non l'avrebbe aiutata nessuno. E non poteva certo andare a bussare ai maschi, visto che era tutta nuda. Così ha prima provato a bussare a noi, minacciando me e le sue amiche che eravamo rimaste dentro. Quando ha capito che nessuno le avrebbe aperto ha dovuto attraversare tutto il corridoio, farsi due rampe di scale, e andare a bussare al professore. Ovviamente le sue grida di prima avevano svegliato tutti, quindi un sacco di gente, della classe e non, si è affacciata dalla porta e l'ha vista».
Maia si lasciò sfuggire un risolino.
«Quando è tornata nella sua camera con il professore, ovviamente, le sue amiche hanno detto che era stata colpa mia. Non sapevano cosa fosse successo ma tutte erano concordi su una cosa: ero stata io a costringerle a farlo».
«Beh, era la verità» intervenne Jurgen.
«Sì lo era» dissi. «Ma il professore avrebbe faticato a capire che non era stata mia intenzione. Quello era il desiderio di Angelica. La situazione mi era sfuggita di mano».
«Quindi cosa è successo?» chiese Maia.
«Sono stata sospesa. Sono stata accusata di aver commesso atti di bullismo. Se non si fosse intromessa la Di Pietro, la mia professoressa di greco, mi avrebbero espulsa. Roberta Rispoli ha cominciato a chiamarmi strega e a ricattarmi» dissi. «Ma non è questa la cosa peggiore».
«Qual è?» domandò Jurgen.
«Avevo fatto una cosa orribile e, nonostante odiassi Roberta, me ne vergognavo. E poi, soprattutto...» feci una pausa. «Soprattutto, il mio gesto non ha impedito al video di Angelica di continuare a girare per mesi. Alla fine dell'anno scolastico ha dovuto cambiare scuola».
«La vendetta non è giustizia» disse Kirk, alzandosi in piedi.
Mi raggiunse e si accucciò davanti a me.
«Non è stata colpa tua, non poteva andare diversamente. Il numen di un genio è sempre anche la sua debolezza» ripetè, mettendomi una mano sulla testa. «È la prima regola, non scordartelo mai».
Stasera sono un po' abbattuta quindi non ho voglia di scrivere lunghe postfazioni :(
Però finalmente si è scoperto cosa è accaduto durante la gita scolastica che dopo 400 mila pagine dalla prima volta in cui era stata nominata forse era anche ora XD
Ve lo ricordavate questo dettaglio del capitolo zero, vero? XD
A domani con il prossimo capitolo (e, credo, anche con una nuova copertina. Ve lo dico così non vi spaventate ;) )
AppleAnia ❧
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