Capitolo 10: Saper muovere le corde giuste
Capitolo 10
Federica
Era arrivato il fine settimana e questo voleva dire che a breve la mia migliore amica sarebbe arrivata. E io — mi domandai — "riuscirò a non andare in palla e a non rivelare la bugia del finto matrimonio?" Mentalmente direi "sì, che ci vuole!"
Ma realtà, ero già un fascio di nervi.
Fissai l'armadio, non avendo la più pallida idea di cosa indossare per l'occasione. Volevo dimostrare ad Engy che non ero un totale disastro. Certo, questo matrimonio era stato un errore, aveva visto quanto ero a disagio di fronte alla reporter. Ma credo di poterla convincere.
Scesi in cucina e sedetti, cominciando a tamburellare le dita sul tavolo della penisola.
«Sai, se rimani a guardare l'orologio...» La sua voce mi fece letteralmente sussultare e girare immediatamente la testa vedendolo fermo alla soglia e poggiato con la spalla allo stipite. «Il tempo non passa mai?»
«Si dice: "se continui a guardare la pentola, l'acqua non bolle mai...»
«Ci ero andato vicino però...» Fece scorrere interamente lo sguardo sul mio corpo, ispezionando il mio aspetto e sorrise. «Oggi vai a giocare a golf?»
Arrossii leggermente. «Guarda che si può indossare una polo, senza andare a giocare a golf, saputello.»
Rise.
Mi prendeva in giro?
«Certo, certo.» Si staccò dalla porta ed entrò, fermandosi alle mie spalle. Appoggiò le mani e massaggiò per sciogliere i muscoli in tensione mentre io presi il cellulare.
«Ehm, hai letto gli ultimi pettegolezzi che scrivono su di noi? Sembra che tutti pensino che molto presto avremo un figlio. A quanto pare, mi hai sposato subito per via della gravidanza.»
Si sporse, avvicinandosi al mio orecchio e sentii il suo respiro. «Presto capiranno che si sbagliano. Non dovresti leggere queste cavolate. Sono acchiappa like. Anche quando ci azzeccano sono fuori strada.» Inarcai la schiena, godendomi il delicato massaggio. Chiusi gli occhi e mi lasciai sfuggire un mugolio di piacere mentre aumentava la pressione. «Sei nervosa per stasera?»
«Intendi per Engy che viene qui? Io... Sì, un po'. È difficile mentire alla propria famiglia. Se Engy trascorrerà del tempo con noi, si renderà conto che è una farsa. Mi sono dovuta impegnare per dimostrarle che la nostra relazione è vera.»
«Non mi riferivo ad Angelina. Volevo sapere se ti sentivi nervosa di condividere il letto con me.»
«Oh...» Le mani continuavano a premere e cercai di trattenere un altro gemito. «Perchè lo chiedi?»
«Perchè so che stai ripensando alle tue regole.» Parlò molto vicino al mio orecchio con sottile sensualità. Deglutii a vuoto. «E lo vuoi tanto quanto me.»
Ma cosa fa? Mi legge nel pensiero?
Non ci provare Giovanni.
«Giovanni...» Sbuffai. «Sei uno stupido. Non sarà affatto divertente. Dunque, io resterò da un lato e tu dall'altro della camera. Non invaderemo i nostri spazi. D'accordo? Oppure... possiamo fingere di aver litigato e rimani a dormire sul divano in salotto.»
«E su cosa dovremmo litigare?»
Mi mordicchiai il labbro. DANNATA ME. «No, lascia perdere. Sto giostrando troppe bugie. Non voglio far preoccupare Engy. Però, promettimi che non ci proverai. Ti prego.»
«Ti ho già fatto questa promessa quando ho accettato le tue regole.»
«E promettimi che se dovessi io avvicinarmi a te, tu mi respingerai.»
Il giovane deglutì e, per qualche secondo, restò zitto. «Ascolta, ti desidero da morire. Ma più di tutto il resto, voglio che sia reciproco. Senza rimpianti. Quindi, tranquilla, stasera farò il bravo. Parola di piccolo campeggiatore.» Si fece una croce sul cuore e non riuscii a non sorridere.
«Lo sai che nei romanzi lo dicono tutti? Poi, però, si scopre che lo hanno fatto solo per rimorchiare.»
«Non è il mio caso. Sono stato campeggiatore per qualche anno. Se devi accendere un fuoco, fare un nodo o interpretare la bussola, SONO IL TUO UOMO».
«Non l'avrei mai detto, G».
«Eri anche tu negli scout?»
«Certo! Ma eravamo più ragazze del film "in campeggio a Beverly Hills". Magari non saprò cucinare come mia sorella, ma so fare la manicure.»
«Altrettanto importante.»
«Usi un po' a tuo piacimento la parola, eh?» lo stuzzicai facendogli grattare la nuca.
«Vieni, voglio farti vedere una cosa...» Abbandonai la cucina per poi seguirlo in salotto. Prese in mano la sua amata chitarra, appoggiata sopra il divano, e sedette sul pavimento facendomi un cenno con il capo. «Dai.»
«Cosa? Perché?»
Cosa gli frullava in testa?
«Ho promesso che ti avrei insegnato a suonare. Non c'è momento MIGLIORE» Esitai. Osservai le lancette dell'orologio, forse fra poco sarebbe arrivata Angelina... «Non pensare ad Angelina. Hai chiaramente bisogno di distrarti, forza.»
«Gio... io faccio pena. Non me la sento.»
«Ma non lo saprai mai se non ci provi. E poi, hai un'idea migliore per passare il tempo?» Lo guardai negli occhi blu e sospirai.
Non avevo altre alternative...
«Va bene» Mi porse lo strumento. Titubante, lo afferrai. «Ma quando le orecchie ti sanguineranno, ricordati che è stata una tua idea.» Fissai la chitarra come fosse un qualcosa di sconosciuto. «Come si fa? Non so nemmeno tenerlo questo coso»
Stese le gambe e sorrise. «Siediti davanti a me.»
Ma è impazzito?
«Fra le mie gambe, Fede. È il modo migliore per farti vedere come fare»
«Immagino che tutti gli insegnanti fanno così con gli alunni scadenti. Anche se penso paghino gli extra»
Continuò a ridere e scuotere la testa per dissentire. «Beccato. Lo ammetto che non mi dispiacerebbe averti fra le mie braccia. Ma è davvero più facile imparare mettendosi in quella posizione. Se ti mette a disagio, puoi sederti accanto a me. Andrà bene lo stesso.»
«Grazie» Mi sedetti sulle gambe del giovane e cercai di mettermi comoda, per quanto possibile. Adagiai la schiena contro il suo petto. Eravamo così vicini che avvertii il respiro. Senza dubbio, stava inalando il profumo dei miei capelli. «Gio, no...»
«Regola numero cinque: goditi questo momento» Ripresi il fiato e stirò le labbra in un sorriso. Posizionò lo strumento nella posizione corretta per entrambi. «Ora ti mostro come si tiene in mano» Mi posizionò le dita: il pollice abbracciava il manico, la punta delle altre premeva sulle corde. In seguito, mise il plettro nella mano destra. «Ok...» Mi coprì la mano con la sua. «E non devi spingere troppo la corda fino al legno. Basta fare la giusta pressione, senza esagerare. Queste linee verticali sono i tasti.» spiegò. «Devi mettere la punta delle dita qui, né sopra la linea e né troppo indietro, ma a questa altezza» Feci una smorfia mentre allungavo le dita verso i tasti e riuscii ad eseguire il movimento. Giovanni fece scorrere il naso lungo il mio orecchio e baciò. «Ottimo».
Mi voltai verso il mio insegnante. «Sono una tentazione troppo forte per te, professore? Sembra che non riesca a controllarsi.»
«Oh, credimi, non hai idea di quanto autocontrollo stia tenendo. Prima di continuare, devi capire a cosa servono le diverse parti della chitarra.» E spiegò l'anatomia. Ovviamente dello strumento. E continuò parlando della tensione, naturalmente delle corde, non sessuale. Giusto? Dopodiché spostò la mano destra nella buca.
«Quando tocchi le corde, fallo sempre in modo parallelo e non premendo verso l'interno.»
«Non sono male come pensavo.»
«Certo che no, Fe. Ovviamente, hai con te il miglior insegnante. Ora tieni il pletto perpendicolare. Esercita una leggera inclinazione su e poi giù.» Con la mano avvolta attorno alla mia, mi dimostrò il movimento. «Guardati, sei un talento naturale» Quando mi girai per rivolgere un sorriso, mi baciò la punta del naso. «È importante premiare i progressi dell'alunna».
Sghignazzai per il tono serio.
«Non sai che la cioccolata è il modo migliore per motivare?»
«Perchè? I miei baci non lo sono?»
«Sono smielati.»
Mi aiutò a suonare qualche altra nota, spiegandomi la differenza fra le corde. Cominciai ad acquisire una certa dimestichezza. «Scusa, che corda è questa?»
«É il Re. Mi basso è in alto, la seconda corda è L, dopo ci sono Re, Sol, Sì e Mi cantino. Puoi memorizzare la successione delle corde, usando questa frase "Missis sorella".»
«É un trucco ingegnoso, spero che funzioni anche con me.»
«Funziona sempre.»
Ridacchiai e gli diedi un piccolo pugno sul braccio. «Allora, vediamo se sei stato bravo... Fammi delle domande: interrogami.»
Restrinse le pupille, come se si stesse preparando a darmi il filo da torcere. «Ok... suona il Sì».
Ripetei la frase e spostai il plettro. Pizzicai la corda e dopo lo guardai in cerca della sua approvazione.
«È quella giusta? Ho fatto colpo sul maestro?»
«Mhm, sei brava...»
«Mi piace tanto!» Mi agitai, sentendomi elettrizzata, ma mi fermai notando il suo sguardo languido. Si scrollò da sotto l'espressione da ebete e mi incoraggiò con un sorriso.
«Impari in fretta.»
«Avevi proprio ragione, sei un insegnante formidabile.»
«Ah, davvero?» Si agitò, più del solito.
«Gio...» Mi rabbuiai. «È stata una partita di tempo».
Si imbronciò. «Davvero?»
«Sì, non sarò mai brava quanto te. Grazie per avermi fatto odiare un po' meno la chitarra.»
«Ti dispiace se ti cito alcuni versi delle future campagne pubblicitarie? Impara a suonare come Giovanni Rinaldi! Ti farà odiare un po' meno la chitarra.»
Risi per la sua battuta e misi da parte lo strumento. «Tanti piccoli passi. Non avevo mai preso in mano una chitarra, ora conosco tutte le corde e potrei scrivere una canzone come te, un giorno.»
«Posso chiederti di cosa parlerà la canzone?» Sembrava interessato. Si piegò in avanti e arricciò la fronte.
«Ho intenzione di scriverla sull'uomo più importante della mia vita.»
I suoi occhi si soffermarono su di me e sorrise ancora.
«E chi sarebbe? Lo conosco?»
«Certo, Justin Bieber!»
Restò amareggiato. Ridacchiai per averlo canzonato abbastanza. Poi mi chinai in avanti per scoccargli un bacio sulla guancia per consolarlo. Ma voltò la faccia e per un soffio non toccai le labbra, visto che mi tirai subito indietro.
Il suono delle chiavi che girarono nella serratura mi fecero scattare in piedi, ma Gio non mi lasciò andare, bloccandomi e attirandomi a sé. Avrei voluto divincolarmi ma mi tenne stretta.
«Gio, Angelina sta per...»
«Regola numero uno: dobbiamo essere convincenti per chi ci guarda», Proprio in quel preciso istante la mia migliore amica, nonché futura cognata, fece il suo ingresso in casa.
«Che freddo...» Si bloccò, restando a guardare entrambi, manco avesse visto passare un ufo. «Scusatemi! Interrompo qualcosa?»
Mi guardò maliziosa e Gio fece lo stesso, tanto che gli diedi una gomitata. Cercai di distanziarmi, ma niente, non me lo permise.
«Engy, che bello averti qui! È da tutto il giorno che ti aspetto.»
«Sì, come no...» Roteò gli occhi. «Sono sicura che avresti voluto che arrivassi qualche minuto dopo. Comunque, sono stanca. Credo che filerò in camera a dormire. Non vi accorgerete che sono qui.»
Mi passò davanti con la valigia e riservò un occhiolino. Un attimo dopo, si chiuse la porta alle spalle.
«Penso che dovremo baciarci. Potrebbe sospettare qualcosa.»
«Ma non è neanche più qui»
«Lo saprà comunque. Le persone per queste cose hanno un sesto senso molto sviluppato, Fe.»
Si avvicinò, inebriandomi i sensi.
Le sue labbra erano a pochi millimetri e in procinto di sfiorarsi.
Mi schiarii la voce e poggiai le mani sul suo torace. «Fermo. Credo che dovresti andare, caro. Vai a farti una doccia. Sì, una doccia fredda per calmare i bollenti spiriti.» Alzai il palmo. «E no, non verrò a fare la doccia con te.»
«Sembriamo una di quelle vecchie coppie che si capiscono con un solo sguardo, ti rendi conto?»
«È facile sapere cosa pensi tu... Ma tu ci riesci a capire cosa penso io?»
«Mi stai immaginando nudo?» Si fece più vicino al mio volto.
«No!» Quasi urlai, imbarazzata.
«Ok, ma ti capita mai di farlo?»
«Ok, fatti una doccia congelata».
Buttò fuori un sospiro, rassegnato. Lo guardai recarsi in bagno come un cucciolo bastonato. Non mi mossi finché non sentii il rumore dell'acqua e poi crollai sul divano portando la mano sul petto.
Stasera rischio di infrangere tutte le regole... e sono seria...
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