~Capitolo 2~

«E con chi? Perché non mi hai detto nulla?»

La rossa sembrava un vulcano in eruzione, le domande continuavano a uscire dalla sua bocca senza sosta e Stephanie iniziò a sentire salire un forte mal di testa. Anche se, nelle ultime quarantotto ore, non c'era stato attimo in cui avesse smesso di pulsare. Probabilmente i milioni di pensieri e preoccupazioni con cui aveva bombardato la propria mente iniziavano a farle male.

«Calma Jess, io l'ho saputo soltanto ieri.»

Abbassò lo sguardo, quasi vergognandosi di quell'ammissione e sentiva su di sé lo sguardo confuso dell'amica.

«In che senso ieri?» chiese infatti l'altra, che probabilmente oltre a non capirci nulla della situazione stava iniziando seriamente a pensare che fosse impazzita, forse per il troppo lavoro.

Con un profondo respiro, Stephanie prese coraggio e le raccontò tutto ciò che era successo la sera prima e quella mattina.

«Tuo padre è impazzito per caso? Come può farti questo?» gridò furiosa Jessica, dopo aver ascoltato, sempre più incredula, tutta la storia. La rossa strinse rabbiosamente la tazza di caffè, tra le mani e Stephanie quasi temette per quel piccolo oggetto in ceramica.

«Me lo sono chiesta anch'io. Ovviamente mi sono subito rifiutata, ma lui ha giocato la carta della figlia ingrata e mi ha incastrato.»

Steph sentiva le lacrime pungerle gli occhi, ma le ricacciò indietro, non era il momento di pianti inutili, anche perché quello non l'avrebbe aiutata di certo.

«Figlia ingrata? Dimmi un po', tuo padre si è svegliato nel secolo sbagliato? Tu sei sempre stata buona con lui, mentre quel viscido verme non si è mai preso cura di te. Dopo la morte di tua madre ti ha lasciato nelle mani di Margaret e ha trascorso tutti questi anni in viaggio, chiudendoti la bocca con giocattoli, vestiti e altre cose inutili. Ed ora pretende anche questo da te? Ha raggiunto il limite!»
Il viso di Jessica era rosso dalla rabbia, le mani strette intorno a quella povera tazza tremavano e del caffè finì sul tavolino, macchiando la superficie in metallo.

«Lo so benissimo...» sospirò prima di lasciarsi andare ed esprimere ciò che più le faceva attanagliare lo stomaco. «Ho paura Jess, non conosco quest'uomo! E se fosse un bastardo come mio padre? O... peggio?»

Stephanie si portò le mani al viso, trattenendosi dal piangere, la sua vita stava scivolando ancora più in basso.

«Stasera verrà a casa da noi per cena, immagino che mio padre abbia usato questa scusa come stratagemma per presentarci ufficialmente.»

«Non sei affatto obbligata a fare nulla, non osare sentirti in dovere di aiutare quell'uomo» l'avvertì dura prima di sospirare. «E comunque ci sarò anche io questa sera, Steph. Farò scappare. qualsivoglia bastardo, stanne pure certa» esclamò battendo con forza un pugno sul tavolo, attirando su di loro l'attenzione di alcuni clienti.

«Cosa?!»

«Ho detto che ci sarò anche io a cena, stasera» ripeté la donna, come se fosse una cosa ovvia, portandosi finalmente la tazza maltrattata alle labbra.

«Sicura? Non voglio addossarti i miei problemi né causartene.»

Si alzò e lasciò delle banconote sul tavolo. Seguita dall'amica raggiunse la sua auto e ci si infilò velocemente dentro.

«Torno a casa con te, tanto sono venuta in metro.»

La sorprese ancora Jessica, che aprì la portiera del sedile accanto al guidatore e ci si sedette come nulla fosse.

Sembrava così tranquilla, al contrario di lei che si sentiva come una molla in tensione pronta a spezzarsi.

«Grazie per tutto, Jess» disse, sinceramente grata all'amica per il supporto che le stava dando in quel momento.

«Non devi ringraziarmi, sei mia amica e per te farei questo ed altro.»

Jessica le sorrise teneramente e lei ringraziò il cielo di avere quella meravigliosa persona accanto. Riportando di nuovo la sua attenzione alla guida, si allacciò la cintura di sicurezza e mise in moto

«E poi...» riprese la rossa. «Mi mancheresti troppo se tu volassi nel Wyoming» finì, accarezzandole dolcemente un braccio.

Una volta a casa, lei e Jessica si precipitarono in camera, salutando Maggie che stava lavando il pavimento.

«Che ore sono?» chiese Stephanie agitata, sperava di vedere le lancette dell'orologio tornare indietro e non avanzare in avanti. Più di tutto non voleva ascoltare suo padre che si lamentava ancora per un suo ritardo, era sicura di non reggere. Tutta la rabbia che sentiva ribollirle sotto la pelle, sarebbe di certo uscita fuori e le conseguenze sarebbero state catastrofiche.

«Le sette meno venti» rispose la rossa, fissando il quadrante del suo orologio.

«Cavolo! Tra meno di un'ora sarà qui e io non so cosa indossare, anche se non dovrebbe importarmi più di tanto anzi, potrei vestirmi da barbona così scapperebbe.»

Si lasciò cadere sul letto, sospirando felice nel ritrovarsi stesa su una superficie morbida. Si sentiva distrutta, sia fisicamente che psicologicamente e avrebbe voluto trovarsi a migliaia di chilometri lontana da quel posto.

«Ma ci sono qui io! Sono o non sono una stilista?»

Jessica le fece un'occhiolino e lei sorrise.

«E poi, dovrebbe sempre importarti cosa indossi, anche per incontrare un bastardo bisogna essere eleganti» la rimbeccò.

«Se lo dici tu...»

La rossa si avvicinò al suo armadio, iniziando a scartare metà del suo guardaroba con sbuffi e versi disgustati.

«Steph! Possibile che tu abbia solo magliette e pantaloni? Non sei più una sedicenne» la rimproverò mentre lanciava via con orrore una maglietta con una papera stampata sopra.

«Ma sono comodi» si difese lei. «Non voglio attirare su di me lo sguardo di nessuno, soprattutto non al momento, quindi preferisco essere comoda che alla moda» disse con convinzione, credendo veramente ad ogni parola pronunciata.

L'amica aprì la bocca per dire qualcosa, ma venne interrotta dalla voce di suo padre.

«Stephanie?»

Alcuni colpi leggeri alla porta seguirono la voce del padre e lei dovette respirare un paio di volte per impedirsi di mandarlo al diavolo.

«Entra pure.»

Fu la sua fredda risposta. Stava tentando di riprendere il totale controllo sulle sue emozioni in subbuglio e il sorriso di poco prima era scomparso dal suo volto, lasciando al suo posto soltanto una maschera di ghiaccio.

L'uomo entrò in camera e rimase un secondo sorpreso dalla presenza di Jessica, ma si riprese in fretta.

«Salve signorina Lowell, Margaret non mi aveva avvisato della sua presenza. Sarà anche lei una nostra ospite stasera?»

La fredda cortesia con cui suo padre aveva pronunciato quella domanda non scoraggiò affatto l'amica. Ci voleva ben altro per farla sentire a disagio, soprattutto in una situazione come quella.

«Sera Signor Blackman. Sì, sarò anch'io un'ospite, se non sono di troppo ovviamente.»

Il sorriso dolce e serafico con cui rispose a suo padre la faceva sembrava l'essere più calmo e gentile dell'universo, ma Stephanie poté capire dalla furia dei suoi occhi, che l'avrebbe preso volentieri a schiaffi.

«Si figuri, una persona amica non potrà far altro che bene a Stephanie, stasera.» L'uomo sorrise senza emozione e se ne andò, chiudendosi lentamente la porta alle spalle.

«Idiota» mormorò subito dopo Jessica, facendola ridere e annuire concorde.

Un'ora dopo, Stephanie era seduta davanti allo specchio della toeletta mentre Jessica, alle sue spalle, si occupava dei suoi capelli. Dopo averle riversato l'intero guardaroba sul pavimento, l'amica aveva trovato un vestitino nero un po', corto per i suoi gusti, con una sola manica lunga e di pizzo e la scollatura a cuore, che le piaceva. "Il più accettabile che hai", erano state le sue parole. L'aveva anche costretta a calzare delle décolleté nere che già in quel momento la stavano torurando. Per fortuna con il trucco c'era andata leggera, le aveva applicato solo un po' di fondotinta, mascara e del lucidalabbra color pesca.

«Ecco fatto!» Esclamò entusiasta l'altra, sistemandole i capelli in modo ordinato lungo la schiena e davanti al seno, allontanandosi di qualche centimetro da lei per ammirare, fiera, la sua opera.

Stephanie alzò lo sguardo allo specchio, i lunghi capelli castani erano mossi, ma ordinati e non da pazza come li aveva di solito o come solo lei sapeva acconciarseli, e le occhiaie erano state coperte ad arte.

«Grazie, Jess.»

La sua amica non si era cambiata, indossava lo stesso vestitino rosa di quella mattina, ma riusciva sempre ad apparire graziosa e mai fuori posto. Anche lei avrebbe tanto voluto possedere quel talento, ma era sciatta e troppo pigra per rimediare, quindi un caso perso.

«Non c'è di che. E ora sbrighiamoci a scendere di sotto, tra poco il tuo misterioso fidanzato sarà qui.» Le diede un colpetto di conforto sulla spalle.

«Ti pregherei di evitare quella parola con la "f"» borbottò cupa, alzandosi e avviandosi verso le scale.

«Ti prego, cambia espressione, così mi sembri Morticia Addams.» La prese in giro la rossa, guadagnandosi una piccola spinta che per poco non la fece ruzzolare giù dalle scale.

Mormorando uno "scusa" sincero e pentito all'occhiattaccia di rimprovero che l'amica la aveva lanciato, entrò in sala da pranzo, seguita da Jessica che ancora la stava fissando risentita.

«Stephanie, tesoro! Sei bellissima.» L'accolse con fin troppa gioia suo padre, che le si avvicinò e diede un bacio sulla guancia.

«Si sta già incanalando nella parte del padre perfetto» sussurrò con cinica ironia all'amica, che scosse la testa incredula a tanta falsità.

Il campanello suonò e Stephanie desiderò tanto poter scomparire e la voglia di fuggire si fece ancora più forte quando vide Maggie correre verso l'ingresso per accogliere l'ospite.

«Buonasera signor Ashbey. Venga, le faccio strada, il signor Blackman e la signorina Stephanie l'aspettano in sala da pranzo.» La dolce voce di Maggie risuonò in tutta la casa e sentì i suoi passi e quelli dello sconosciuto avvicinarsi sempre di più a loro e ognuno di loro era come un noto che le si stringeva intorno al collo, sentiva di non riuscire a respirare e la testa vorticava vertiginosamente. Inoltre aveva l'improvvisa voglia di piangere, di accasciarsi a terra e lasciarsi andare a un pianto che forse avrebbe fatto scappare quell'uomo.

Quando il famoso Ryan Ashbey fece il suo ingresso, il cuore di Stephanie perse un battito e sentì chiaramente Jessica fischiare in apprezzamento. Altro che panzuto e dalla testa unta... Ryan Ashbey era l'esatto contrario; alto almeno un metro e novanta, capelli color grano, occhi di un verde brillante e un fisico asciutto ma non troppo muscoloso.
La gola le si seccò improvvisamente e si voltò verso l'amica, trovandola sconvolta e incantata quanto lei.

«Buonasera, signor Blackman» sorrise l'uomo, stringendo la mano di suo padre per salutarlo.

Santo cielo! Anche il suo sorriso era da arresto cardiaco!

Si diede un leggero pizzicotto al braccio per riprendersi e per fortuna funzionò, riprese il controllo di se stessa e si diede della stupida per essersi lasciata incantare dai tratti virili e angelici di Ashbey. L'aspetto esteriore non contava nulla, quell'uomo sarebbe potuto essere marcio e orrendo dentro. Contro ogni suo sforzo, si ritrovò a sperare che così non fosse.

«Ashbey! Sono contento che tu sia qui, lascia che ti presenti mia figlia Stephanie.» lo salutò il padre, mentre la puntava con una mano e le faceva segno di avvicinarsi.

Incerta, Stephanie si avvicinò ai due uomini e suo padre le poggiò una mano sulla schiena con fare affettivo che lei sapeva non esistere.

«Ryan, lei è mia figlia Stephanie» la presentò e l'uomo le sorrise, porgendole la mano.

«E un piacere, Stephanie» le disse, con un tono di voce fin troppo basso e roco per lei, non certo quello cortese e quasi felice che aveva usato con suo padre.

«Piacere mio, Signor Ashbey.»

Strinse la sua mano e il suo corpo venne percorso da uno strano brivido caldo e intenso, che la lasciò spaesata e sconvolta. Cos'era stato? Non si sentiva attratta da quell'uomo, vero? Non era possibile. No, di sicuro sarà stato il freddo, doveva chiedere a Margaret di alzare il riscaldamento. Tuttavia, in perfetta contraddizione, stava sudando.

«Diamoci del tu, niente formalità, va bene?» propose e lei annuì come un automa, troppo confusa per non accettare ed evitare confidenze.

Il padre li avvertì di accomodarsi a tavola per la cena e lei ritornò con i piedi per terra, decidendo di rimandare tutti i dubbi e le domande a quando sarebbe rimasta sola. Stephanie guardò la sua amica Jess per avere un appoggio e la ritrovò a fissare Ryan, questa volta però con aria guardinga. Sicuramente sarebbe partita all'attacco col suo terzo grado, peggio di una zietta acida ed era proprio quello che lei desiderava. Magari lo avrebbe fatto scappare via dal terrore e addio matrimonio. Quel pensiero la fece sorridere, ma qualcosa dentro di lei le disse che Ryan non era il tipo d'uomo che si lasciava intimidire facilmente.

Questa cena si sarebbe rivelata più interessante di quanto si prospettava o sarebbe finita davvero con la fuga di uno dei due "fidanzati"?

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