~Capitolo 14~
Christine teneva puntata l'arma contro Ryan, il suo sguardo era pieno d'odio e Stephanie capì che quella donna avrebbe sparato sul serio a suo marito. Era pietrificata dalla paura, sentiva formicolii in tutto il corpo e aveva freddo, nonostante Ryan la stringesse a sé così forte da riuscire quasi a respirare.
Lo sceriffo Tyson e tutti i suoi uomini avevano le armi puntate sulla bionda e quasi si sentì in colpa a sperare che le sparassero, ma per lei la vita di suo marito contava più di quanto riuscisse ad ammettere a se stessa. Non poteva più negare di provare qualcosa verso quel cowboy all'apparenza rude e scorbutico, non riusciva ancora a capire quando fosse successo, quando aveva iniziato a pensare a lui come qualcosa di diverso da un uomo sposato per contratto? Non lo sapeva, ma tra le sue braccia si sentiva in pace col mondo, nonostante la situazione terribile, nonostante lui avesse una pistola puntata alla fronte, lei non avrebbe voluto mai lasciare il rifugio delle sue braccia forti e calde. Il suo stomaco era contratto dalla paura e da un'altra emozione più piacevole, che si scontravano e le facevano provare una sensazione mai provata, e ne aveva paura.
«Christine, metti giù quell'arma» le ordinò Ryan, strappandola dalle sue riflessioni e riportandola alla brusca realtà. «Guardati intorno, sei circondata. Vuoi spararmi? Fallo, ma dopo tutti quegli agenti spareranno a te e avrai perso ugualmente» continuò lui. Stephanie poteva sentire le sue mani che tremavano contro i fianchi.
La donna strinse con più forza l'arma tra le mani. «No Ryan! Io vincerò, ti ucciderò e poi la stessa sorte toccherà alla tua mogliettina, non avrò i soldi che volevo ma almeno tu sarai morto» rise in modo isterico e i suoi occhi erano vacui, come se nemmeno si rendesse conto della gravità della sue azioni, ormai Christine era solo un guscio vuoto. Stephanie non sapeva cosa la vita le avesse riservato per farla impazzire in quel modo, sicuramente nulla di bello. Poi le venne in mente ciò che suo marito le aveva raccontato; la donna aveva subito violenze dal patrigno e, anche se Ryan credeva fossero solo stupidaggini, prima che lei fuggisse Christine si era lamentata di essere dovuta tornare a casa, la sua voce era stata di odio puro quando quella frase le era uscita dalla bocca, quindi poteva essere vero, tentare non le costava nulla. Quasi.
«Dovresti prendertela con chi ha ferito la ragazzina che eri, Christine» disse lentamente, pregando di non aver commesso l'errore fatale, di non sembrare una pazza e una stupida. La donna si voltò furiosa verso di lei
«Di cosa stai parlando?» chiese, puntando l'arma contro di lei.
Ryan strinse dolorosamente le mani intorno alla sua vita, nel tentativo di stringersela di più contro.
Reprimendo un gemito di dolore, continuò a parlare. «Eri piccola e spaventata, non ti fidavi di lui, ma ti fidavi ti tua madre. Lei non ti ha creduto, vero?»
Vide la donna sgranare gli occhi sorpresa, poi accigliarsi di più.
«Sta zitta! Tu non sai nulla» tuonò Christine, le sue mani iniziarono a tremare e la presa sull'arma si fece meno salda.
Bene, stava funzionando.
«No, forse non lo so, ma so come ci si sente quando un genitore ti delude, quando cerchi la sua approvazione, la sua protezione e invece ricevi disprezzo e dolore.»
Sì, quelle sensazioni le conosceva benissimo.
Ryan fissava preoccupato sua moglie, non aveva idea di cosa avesse in mente, ma a parte un'arma puntata contro la sua testa, sembrava funzionare. Christine appariva sconvolta, i suoi occhi erano diventati rossi e lucidi, come se da un momento all'altro potesse scoppiare a piangere. Non aveva mai visto quella donna piangere, piangere davvero, e per un secondo pregò che accadesse, per poter scorgere la vulnerabilità negli occhi di quella bionda che gli aveva rovinato la vita e che tornava a farlo proprio quando aveva iniziato a provare altri sentimenti oltre al dolore e al rimpianto. Pensò alla ragazza che aveva tra le braccia: sua moglie, quella consapevolezza lo lasciava ancora perplesso. Quello scricciolo di città si era dimostrata più forte e meno remissiva della ragazza che seguiva alla lettera gli ordini di suo padre, sapeva che ci sarebbe voluto ancora un po' perché uscisse completamente da quel guscio di indifferenza e ubbidienza che si era creata, ma lui avrebbe avuto pazienza. Negare che Stephanie era diventata importante per lui sarebbe stata la bugia più assurda che avrebbe potuto raccontarsi, le aveva mentito quando le aveva raccontato di averla vista in una foto posta sulla scrivania del padre. In realtà l'aveva vista a una festa data dall'azienda di suo padre; lei era rimasta sempre in disparte, fasciata in un abito corto e aderente, con un bicchiere di champagne che non aveva mai bevuto in mano e lo sguardo perso altrove. Aveva provato lo strano impulso di andare da lei, parlarle, scoprire cosa o a chi pensava, avere la sua attenzione anche solo per un secondo. Erano stati proprio questi desideri a metterlo in agitazione e a farlo scappare dalla festa, poi aveva visto quella famosa foto di lei da bambina sulla scrivania del padre, sorrideva e i suoi occhi erano luminosi, pieni di gioia e di vivacità. Differenti da quelli che aveva visto alla festa.
Allora aveva preso la palla al balzo quando suo padre si era lamentato che sua figlia fosse ancora celibe e non sarebbe rimasta giovane ancora a lungo, si era detto che doveva aiutare quella ragazza perché riconosceva quello sguardo, era lo stesso che aveva lui dopo la morte dei genitori, l'avrebbe fatta sorridere di nuovo e poi lei sarebbe stata libera di andarsene e di trovare il vero amore. Eppure, ora si rendeva conto che aveva soltanto mentito a se stesso e che non l'avrebbe mai lasciata andare via, non poteva. Fissò Christine, ancora scossa, e ne approfitto per saltarle addosso, si udì uno sparo e un urlo e la pistola che scivolava lungo le assi di legno. Lo sceriffo Tyson fu subito da loro, seguito da altri due agenti, lui si alzò in fretta e corse verso Stephanie, sperando che lo sparo non l'avesse ferita, la trovò pallida ma illesa e si avvicinò a lei con una voglia enorme di stringerla a sé, ma appena le fu di fronte lei lo colpì al petto.
«Ma sei pazzo? Quel colpo avrebbe potuto...» Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra e non riuscì a continuare la frase, si morse il labbro tremolante e provò a trattenere le lacrime, senza successo.
Ryan l'abbracciò, permettendole di nascondere il viso contro il suo petto e di lasciarsi andare al pianto, Stephanie aveva bisogno di piangere, di esternare la sua paura e la sua vulnerabilità o sarebbe affogata in quelle emozioni represse troppo a lungo. Strinse di più il suo corpo scosso dai singhiozzi e le accarezzò dolcemente i capelli, mentre guardava Christine che veniva arrestata e portata via, scoprendo di non provare nessuna soddisfazione in quella scena, né il solito odio, ma solo pena per quella donna.
Riportò la sua attenzione su Stephanie, baciandole il capo. «Andiamo a casa» le sussurrò tra i capelli, e la sentì annuire contro il proprio petto.
Lei si allontanò da lui, tenendo il capo basso e tirando su col naso, Ryan le circondò le spalle con un braccio, incamminandosi per andare via da quel posto, ma vennero fermati dallo sceriffo Tyson.
«Ryan, mi dispiace trattenervi, ma tua moglie deve deporre.» L'uomo fissò Stephanie con compassione.
«Tyson, non può farlo domani? Voglio portarla a casa, è sconvolta e stanca. Ti prego.»
Lo sceriffo ci pensò su, indeciso tra l'imparzialità o l'amicizia. «Va bene, ma domani mattina vi voglio presto in centrale» si arrese alla fine e Ryan sentì Stephanie sospirare sollevata.
«Grazie Tyson» sorrise all'amico e si allontanarono, lasciandosi tutto alle spalle; non solo quell'esperienza ma anche il passato che per troppo tempo aveva pesato sulle loro esistenze, impedendo loro di vivere davvero.
Zac camminava avanti e indietro per la grande cucina della casa padronale dell'Ashbey Brothers' Ranch. Erano passate due ore da quando Ryan si era diretto alla vecchia fattoria dei Wolf e non aveva ancora ricevuto notizie, si sentiva in colpa per quello che era successo a Stephanie, quella ragazza non meritava una cosa del genere, e se lui fosse stato più attento non sarebbe successo. Sentì la porta aprirsi e corse all'entrata, sperando di veder entrare Ryan e la sua adorata cognata, invece vide sua moglie chiudere piano la porta e togliersi il cappotto, appendendolo all'appendiabiti sul muro.
«Ehi» lo chiamò piano lei, quando si accorse della sua presenza.
«Ehi» fece eco lui.
Tiffany si avvicinò al marito e gli accarezzò dolcemente una guancia. «Non è stata colpa tua, Stephanie è un'adulta e nessuno avrebbe mai immaginato che Christine avrebbe commesso una simile bassezza. Nessuno poteva impedirlo, capito?»
Zac annuì debolmente. «Lo so, eppure non riesco a fare a meno di sentirmi colpevole, quella ragazza è davvero importante per mio fratello, anche se lui non se ne rende conto, e ora rischia di perderla perché le ho permesso di aggirarsi sola in un posto che non conosceva. Spero che Ryan l'abbia trovata e che stia bene, quei due possono aiutarsi a vicenda, devono solo aprire gli occhi.»
Tiffany sorrise e fece scorrere la mano dalla guancia fino al braccio muscoloso che l'aveva stretta sia nei momenti più belli che in quelli più brutti, vederlo in quello stato le stringeva il cuore, voleva aiutarlo come lui riusciva a fare con lei. «Zac, sono sicura che stanno e bene e che questa esperienza li ha aiutati a capire i loro sentimenti, in fondo io sono quasi stata investita da un toro prima che tu aprirsi gli occhi e ammettessi di amarmi, ricordi?»
Sul viso di Zac ricomprare quel sorrisino malizioso che l'aveva sempre fatta sciogliere e che continuava ad avere quell'effetto su di lei. «Dici che dovremmo lasciare libero un toro se dopo questa si rifiuteranno di ammettere i loro sentimenti?» sussurrò, avvicinando il viso al suo.
Tiffany rise, circondandogli il collo con le braccia e avvicinandosi di più al suo viso. «Direi che provare non costa nulla, ma dopo Ryan farebbe sopprimere quella povera bestia e io mi sentirei in colpa.»
«Mmh... Direi che hai ragione, magari possiamo chiuderli nell'armadio delle scope; classico ma funziona sempre.»
«Magari potremmo testare se l'armadio delle scope funziona a dovere» sussurrò maliziosamente lei.
«Signorina, io sono un uomo sposato» la prese in giro Zac, e lei sorrise notando che era tornato quello di sempre. Stava per rispondergli quando il rumore di un auto attirò la loro attenzione.
Zac si allontanò da lei e corse alla finestra, scostando le tende per poter guardare fuori. «È l'auto di Ryan» disse agitato, correndo fuori seguito dalla moglie.
Ryan scese dall'auto e vide Zac e Tiffany precipitarsi fuori con aria preoccupata, si avvicinò al posto del passeggero, dove Stephanie se ne stava seduta con il capo ancora chino e le mani raccolte in grembo, aprì la portiera e l'aiuto a scendere.
«Phanie!» gridò suo fratello, accorrendo verso di loro. «Per fortuna stai bene. Mi dispiace così tanto, avrei dovuto accompagnarti e...»
Le scuse vennero interrotte dalla ragazza, che alzò una mano per far capire a Zac di tacere.
«Sto bene Zac, non è colpa tua, sono io la sciocca che si è lasciata ingannare» disse, sforzandosi di sorridere ironicamente.
Ryan era preoccupato per lei, durante il tragitto in macchina era stata silenziosa, solo il suo respiro aveva spezzato il silenzio tombale che era sceso tra di loro, lui sapeva che lei stava cercando di far chiarezza nella sua testa e aveva rispettato il suo silenzio.
Posò una mano sulla schiena di lei e la sospinse verso casa. «Scusate ragazzi, ma siamo stanchi e vorremmo rimanere soli.»
Vide suo fratello e sua cognata annuire, rientrare in casa per prendere i loro cappotti e andare via velocemente. Entrarono in casa e il suono della porta che si chiudeva fece sobbalzare Stephanie, ora erano soli, era giunto il momento di fare un passo avanti.
«Stephanie...» la chiamò, piano, sussurrando lentamente il suo nome.
Lei tremò nel sentir sussurrare il suo nome, entrambi indossavano ancora i cappotti e nessuno dei due sembrava intenzionato a muoversi. Quella sensazione allo stomaco, che sempre più spesso provava quando era accanto a lui, ritornò più forte di prima. Si voltò verso Ryan, senza nascondere ciò che provava, mettendo a nudo la propria anima perché sapeva di potersi fidare di lui, sapeva di potergli affidare le proprie emozioni.
Ryan separò quei pochi metri che li dividevano, prendendola tra le braccia e baciandola con foga. Stephanie ricambiò il bacio con la stessa impazienza, sfregando il proprio corpo contro quello caldo e duro di lui, l'uomo imprecò contro le sue labbra e senza pensarci due volte la prese in braccio, salendo velocemente le scale e aprendo la porta di quella che doveva essere la loro camera, ma che non avevano mai condiviso. Chiuse la porta con un calcio, fece scendere Stephanie dalle sue braccia e le tolse il cappotto, baciandole il mento e scendendo lentamente verso il collo mentre le alzava il maglione sui fianchi per toglierlo. Lei si allontanò di qualche centimetro da lui e si tolse velocemente il maglione, quel gesto lo fece rimanere deliziosamente sorpreso. Poco dopo i loro vestiti furono sparsi sul pavimento, Ryan non dimenticò che per lei era la prima volta, si concentrò nel darle piacere e il suono dei suoi gemiti gli fece quasi perdere il controllo, e quando lei lo implorò entrò in lei lentamente, fermandosi quando la sentì irrigidirsi sotto di lui. La vide mordersi il labbro dal dolore e restò immobile dentro di lei, incapace di muoversi per il terrore di aumentare il suo male, anche se rimanere fermi iniziava a diventare una vera sfida, poi lei iniziò a muoversi sotto di lui e gli sorrise. La baciò delicatamente e iniziò spingere, muovendosi insieme a lei, a un ritmo sempre più frenetico.
Stephanie era completamente persa nelle nuove sensazioni che Ryan le stava facendo provare, il dolore iniziale si era fatto meno intenso fino a scomparire, cedendo il posto a sensazioni che aveva solo letto nei romanzi. Poi smise di pensare e venne travolta dal piacere, seguita da lui.
Ryan si stese al suo fianco e la prese tra le braccia, accarezzandole la schiena, lei si strinse contro il suo petto e prima di cedere al sonno capì che ormai non sarebbe più riuscita a vivere senza di lui.
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