~Capitolo 10~
«Tieniti stretta alle redini, non voglio che tu ti faccia male» si raccomandò Ryan, allontanandosi da lei per montare in sella al proprio cavallo mentre Stephanie annuiva mesta.
Alzò lo sguardo verso il cielo limpido e chiuse gli occhi per godersi la fresca brezza che le faceva ondeggiare i lunghi capelli color cioccolato. Era una splendida domenica mattina, anche se un po' fredda.
Si era svegliata stranamente felice, come non capitava da anni, quindi era scesa in cucina immaginando di ritrovare tutti a chiacchierare animatamente e divertirsi, invece l'aveva trovata deserta e aveva represso una fitta di dispiacere all'assenza di Ryan. Si era preparata frettolosamente un toast e poi era uscita fuori, trovando Tyler impegnato nella lucidatura delle selle. Lo aveva salutato calorosamente, ricevendo in cambio un saluto imbarazzato che l'aveva intenerita. Guardando le selle che lui stava lucidando le era venuta un'improvvisa voglia di cavalcare, così si era messa a cercare Ryan per il ranch e l'aveva trovato nella stalla intento a dar da mangiare alle mucche. Si era concessa qualche minuto per osservarlo; quel giorno aveva indossato un'altra delle sue camicie a quadri, questa volta di color smeraldo e blu, i muscoli delle braccia flettevano e si contraevano sotto lo sforzo a cui erano momentaneamente sottoposti. Era la prima volta che guardava un uomo così da vicino o si perdeva ad ammirarne il fisico, ma con Ryan era tutto una prima volta per lei. Le faceva provare cose che nessun altro le aveva mai fatto provare. Si era risvegliata da quelle considerazioni inopportune e aveva attirato la sua attenzione chiamandolo, lui si era voltato di scatto incatenandola con i suoi profondi occhi verdi. Le c'era voluta molta fatica per articolare parola e chiedergli il permesso di cavalcare uno dei suoi puledri. All'inizio si era dimostrato un po' reticente poi aveva accettato, ma soltanto se lui l'avesse accompagnata.
E ora era in sella a Storm, la giumenta preferita di Ryan. Aveva il manto di un bellissimo colore nero ed era molto mansueta.
«Stephanie? Non vuoi più cavalcare?» tornò al presente e fissò il suo affascinante marito, lui era più avanti di lei e l'aspettava con sguardo interrogativo.
«Arrivo!» spronò il cavallo al trotto e si affiancò a Ryan, osservandolo di nascosto.
Era bellissimo, non riusciva a dimenticare la stupenda serata passata insieme e aveva iniziato a credere che forse in quel ranch sarebbe stata di nuovo felice. E, soprattutto, credeva che se le cose col suo bellissimo marito fossero continuate ad andare in quel modo, si sarebbe presto innamorata di lui e non sapeva se questo sarebbe stato un bene o un male. Il motivo per cui aveva a tutti i costi preferito sposare lei anziché conoscere un’altra donna nel modo classico le era ancora sconosciuto, ma di sicuro Ryan non era uno di quei maniaci che iniziano a volere costantemente una persona anche solo vedendola per strada, giusto? Anche perché loro non si erano mai visti prima.
«Qualcosa non va?»
La domanda di Ryan la portò di nuovo alla realtà, di sicuro non era bello rimanere in silenzio a rimuginare su eventi a cui, almeno per il momento, non poteva dar spiegazione. Soprattutto quando aveva chiesto di poter cavalcare e non se ne stava godendo nemmeno un secondo, facendo anche perdere tempo a Ryan.
«Sì, scusa, mi ero persa tra i ricordi» mentì cercando di sorridergli, ma evidentemente non ci riuscì perché lui iniziò a fissarla intensamente, come a volerle leggerle la mente.
Rimasero così per qualche minuto; lei lo fissava mordendosi il labbro nervosa e lui rimaneva immobile, scrutandole il viso mentre i cavalli procedevano lentamente, ignari dei reciproci pensieri.
Imbarazzata, si mosse nervosa sulla sella e spronò il cavallo ad andare più veloce, così da superare Ryan, non voleva allontanarsi da lui ma quegli occhi verdi la suggestionavano e le facevano provare uno strano calore, come se ogni volta che la guardava fosse improvvisamente tornata a casa.
«Stephanie?»
Non si rese conto che l'uomo l'aveva raggiunta e sussultò leggermente, si decise a guardarlo in viso e ancora una volta si chiese se un uomo così bello potesse esistere davvero. Aveva lo Statson calato sulle spalle e i capelli erano mossi dal vento, lui guardava la natura circostante, pensieroso e distante, poi dopo un po' ricominciò a parlare.
«Più avanti c'è un ruscello, ti va bene se ci fermiamo lì?», le chiese, rivolgendole un piccolo sorriso. Quel gesto le fece provare una strana sensazione di vuoto, come se si fosse persa. Negli ultimi giorni le aveva sorriso spesso e lei ormai iniziava la giornata sperando di riceverne anche solo uno.
«Certo, sei tu l'esperto del posto, no? Mi affido a te» rispose ridacchiando, in quel momento lo avrebbe seguito dappertutto.
«Oh, tranquilla, non ti farò mai pentire di esserti affidata a me» sorrise maliziosamente e la superò, spronando il cavallo al galoppo.
Era sua impressione o c'era un'allusione nella sua frase? Un'allusione poco velata e spinta, tra l'altro. Forse era solo una sua impressione, almeno lo sperava. Rimase imbambolata per qualche secondo, poi si decise a raggiungerlo, non voleva perdersi in un luogo che non conosceva. Dopo qualche minuto di cavalcata, in cui entrambi rimasero in silenzio, raggiunsero il ruscello di cui aveva parlato prima Ryan e lei rimase stupita dalla bellezza del luogo. Anche se l'inverno era sempre più vicino e gli alberi quasi tutti spogli, c'era qualcosa di magico in quel luogo; l'acqua del ruscello era limpidissima e si potevano vedere i sassi depositati sul fondale, gli alberi altissimi sembravano regnare su ogni altra cosa.
«Ti piace?», Ryan smontò da cavallo e si avvicinò a lei, aiutandola.
«È davvero bellissimo, Central Park non è nulla paragonato a questo», ed era vero, «da piccola mi ci facevo sempre portare, a Central Park, intendo. Ho sempre adorato la natura, ma non mi era mai concesso di andare più lontano da New York, e io credevo che quel posto fosse il mio bosco fatato, lo so che può sembrare stupido, ma quando si è bambini tutto ti sembra magico ed io avevo disperatamente bisogno di credere che quel luogo fosse incantato».
Si allontanò da lui e si sedette di fronte al ruscello, giocando con fili d'erba, lui la raggiunse sedendole accanto.
«Raccontami altro della tua infanzia», Stephanie s'irrigidì, cosa poteva raccontargli? I bei ricordi erano pochi e non voleva raccontargli di suo padre, non ancora almeno.
«Ti racconterò della mia infanzia solo se tu mi parlerai della tua, va bene?», chiese e lui annuì dopo qualche secondo. «Bene, io ho già raccontato prima, ora tocca a te.»
Lui sospirò rumorosamente. «Cosa vuoi sapere?»
Stephanie si sentì un po' in colpa, il bel viso di Ryan era contratto in un'espressione tesa, come se nascondesse segreti oscuri.
«Non saprei, parlami dei tuoi genitori», era da un po' che voleva sapere dei suoi suoceri, se così poteva chiamarli, nessuno dei fratelli Ashbey parlava di loro e nemmeno Tiffany. Ma guardando Ryan capì che era la domanda che aveva temuto di ricevere, lui si era improvvisamente incupito.
«Loro sono morti», pronunciò quella frase con un groppo in gola, anche dopo tutti quegli anni il dolore ed il senso di colpa erano troppo forti.
«Mi dispiace, non avrei dovuto chiedere», Stephanie era profondamente addolorata, conosceva il dolore causato dalla perdita di un genitore ed in qualche modo aveva già sospettato che i genitori di Ryan non ci fossero più.
«È stata tutta colpa mia», Stephanie sgranò gli occhi, confusa e sorpresa, fissò Ryan ma lui aveva lo sguardo perso nel vuoto.
«Colpa tua? Nessuno ha la colpa della morte dei propri genitori», lui annuì debolmente col capo, come se cercasse di convincere anche se stesso, era sicura che ci fosse di più ma non voleva chiederglielo, non ora almeno.
Ryan si alzò, pulendosi i jeans e si avviò verso il cavallo. «Andiamo Stephanie.»
«Di già? Ma se siamo appena arrivati», non voleva andarsene, quel posto era bellissimo e poi allontanarsi dal ranch, scoprire tutti quei campi meravigliosi le faceva dimenticare tutto.
«Senti che l'aria è più fredda ora?», le chiese lui, salendo in sella al cavallo ed aspettando la sua risposta.
«Si, quindi?», sbatté le palpebre confusa, cosa c'entrava l'aria più gelida?
Lui sospirò, come quando tenti di spiegare qualcosa ad un bambino e questo continui a chiederti "perché" ad ogni frase. “Sta per nevicare, probabilmente domani sarà tutto imbiancato.”
«Davvero?», Stephanie dimenticò l'iniziale irritazione e balzò in piedi, camminando a grandi passi verso il cavallo e salì velocemente in sella.
«Stasera ceneremo di nuovo da soli, Tiffany e Zac hanno accompagnato Rachel ad un compleanno, mentre Jack mi ha avvertito che avrebbe lavorato fino a tardi e Tyler invece è andato ad una festa. Tyler ad una festa, ci credi?», chiese lui ridacchiando.
«No, per la verità non ce lo vedo a una festa», era sinceramente stupita, non che credesse che Tyler non avesse nessun tipo di vita sociale, era bello, dolce e sensibile, ma molto riservato quindi le era difficile immaginarlo ad una festa, in mezzo a una dozzina di adolescenti con gli ormoni a mille.
«Dobbiamo ringraziare Tanya, lo ha convinto lei. Anche se penso che l'abbia fatto più per lei che per il mio solitario fratellino», le fece un occhiolino e sorrise maliziosamente.
«Ah, cosa fareste voi uomini senza noi donne?», rise e spronò il cavallo al trotto.
«Senza alcune donne noi uomini staremmo anche meglio», borbottò lui.
Stephanie si voltò a quell'insolita risposta e ritrovò il suo viso incupito. Possibile che ogni cose che dicesse doveva essere sempre quella sbagliata?
Lui la superò e lei si limitò a seguirlo in silenzio.
Tornarono al ranch nel completo mutismo, Ryan era ancora cupo e lei si morse la lingua per evitare di dire altre sciocchezze. Odiava il silenzio e avrebbe urlato volentieri se questo potesse servire a fargli sparire quell'espressione da funerale.
Scese da cavallo e si avvicinò a lui, pensando a qualcosa di intelligente da dire, ma Ryan la precedette.
«Inizia a entrare in casa, io porto i cavalli nelle scuderie», prese i due puledri per le redini e si allontanò, senza aspettare la sua risposta.
Entrò in casa e appese il cappotto sull'attaccapanni all'entrata. Si chiese se una buona cena potesse tirarlo su di morale, in fondo gli uomini non si prendevano per la gola? Sicura della sua nuova idea corse in cucina, doveva trovare qualcosa da cucinare prima che lui ritornasse dalle scuderie, aprì il frigo ma lo trovò vuoto.
«Fantastico.»
Proprio in quel momento la porta di casa si chiuse e Ryan entrò in cucina, gettando le chiavi sul tavolo.
«Cosa fai li impalata?», lui la fissò con un'espressione interrogativa e lei non sapeva se dire la verità oppure inventare una scusa, ma in quel caso avrebbe sicuramente detto qualche sua stupidaggine.
«Stavo cercando qualcosa da preparare per cena, così magari ti togli dal viso quell'espressione accigliata da rude montanaro.»
Lo aveva detto! Davanti a lui si sentiva come una ragazzina di sedici anni ad un'interrogazione a sorpresa.
«Io non ho un'espressione accigliata», borbottò Ryan, avvicinandosi a lei. «Però sono felice che la mia adorata mogliettina si preoccupi per me», continuò ad avvicinarsi, costringendola a indietreggiare fino a quando la sua schiena non si scontrò con il ripiano in marmo dell'isola.
«No... Io non...», iniziò a balbettare che non era per nulla preoccupata per lui, ma Ryan le mise un dito sulle labbra.
«Lascia che mostri alla mia mogliettina quanto apprezzi le sue attenzioni», sorrise maliziosamente prima di bloccarla col suo corpo contro l'isola, senza lasciarle nessuna via di fuga. Le mise una mano sui fianchi e avvicinò il viso a quello di lei, in pochi secondi unì le loro labbra e si spinse contro di lei, facendola gemere e arrendere contro di lui.
La testa di Stephanie girava come quando salì per la prima volta sulle montagne russe, sentiva il corpo di Ryan contro il proprio e quella sensazione le piaceva. Lui fece scivolare le mani sul suo sedere e la sollevo sul ripiano in marmo, senza staccare le loro labbra. Gli circondò i fianchi con le gambe, avvicinandolo a lei e stavolta fu lui a gemere, le infilò una mano sotto il pesante maglione lilla e iniziò ad accarezzarle con l'indice la pelle intorno a l'ombelico.
In risposta, Stephanie iniziò a sbottonargli la camicia, scoprendo la pelle abbronzata del petto, non vedeva l'ora di accarezzarla, baciarla, morde...
«Interrompiamo qualcosa?», i due si staccarono immediatamente, voltandosi verso la porta. Zac, Tiffany e Rachel erano lì che li fissavano, chi rossa per l'imbarazzo e chi sorridente e pieno di orgoglio.
«Zac! Che ci fai qui?», chiese Ryan, guardando male suo fratello, mentre Stephanie voleva scomparire dalla vergogna, scese dall'isola e iniziò a pensare ad una scusa per scappare in camera.
«Calmo fratellone, vi abbiamo portato la cena.»
Zac sollevò un sacchetto di plastica. «E poi devo darti una brutta notizia», disse improvvisamente serio, troppo serio per uno come Zac. Lei e Ryan si guardarono preoccupati
«Di che si tratta?», chiese mentre si sedeva su una della sedie che circondavano il tavolo da pranzo.
«Te lo dirò dopo aver mangiato. Tiffany prendi i piatti per favore.»
La donna corse subito a prendere i piatti mentre.
«Voglio saperlo ora», continuò Ryan. Il fratello sospirò e abbandonò il sacchetto di plastica sul tavolo.
«Zia Phanie? Ho fatto un disegno per te, vuoi vederlo?» Rachel si avvicinò a Stephanie, interrompendo il padre che stava per aprir bocca, porgendole orgogliosa il suo disegno, che ritraeva il suo volto.
«Grazie Rachie, è bellissimo», strinse forte Rachel tra le braccia e le schioccò un bacio sulla testolina bionda.
«Allora?», insistette ancora Ryan, sempre più nervoso per essere stato disturbato senza un apparente buon motivo.
«È tornata Christine», disse velocemente Zac.
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