~Capitolo 1~
Le cose più assurde, quelle che ti sconvolgono la vita, arrivano quando meno te lo aspetti; in giornate che sembrano normali o quasi belle. Quella mattina, per esempio, era iniziata come tutte le altre per Stephanie: un giro per i negozi di New York insieme alla sua amica Jessica e un cappuccino da Starbucks. Tutto le era sembrato perfetto come al solito, fino al ritorno a casa. Suo padre l'aveva accolta col sorriso sulle labbra e, stringendola a sé, le aveva confidato di avere una bellissima sorpresa per lei.
Si era lasciata contagiare dal suo raro entusiasmo e aveva preteso di sapere in cosa consisteva la sorpresa, tuttavia ora se ne pentiva amaramente e avrebbe preferito non aver mai messo piede in casa.
Il suo adorato padre, l'uomo che le aveva sempre dato tutto ciò che si potesse desiderare materialmente, le stava togliendo la cosa più importante e preziosa che possedeva; la sua libertà.
La sorpresa consisteva nello sposare un suo nuovo socio in affari. Suo padre era un magnate dell'industria automobilistica e stava per fondere la sua impresa con un certo Ryan Ashbey, un magnate del petrolio proveniente dal Wyoming. Ashbey possedeva anche un grande ranch e fu proprio il padre di lui a trovare il petrolio nelle sue terre, una cosa molto rara.
Il partito perfetto per suo padre insomma, ma non per lei.
Lei sognava il classico grande amore, quello infantile, quello da ragazzina dodicenne e dal classico "e vissero tutti felice e contenti", non un matrimonio combinato stile sedicesimo secolo.
«Sii ragionevole Stephanie, questa è una grande opportunità per te» le ripeté per l'ennesima volta suo padre, cercando di convincerla e calmarla.
«Per me o per te?» lo accusò, smettendo di camminare su e giù per la stanza per lanciargli uno sguardo indignato. Era la prima volta che osava tanto. Dopo la morte di sua madre, suo padre era diventato improvvisamente freddo e senza riguardo verso di lei, arrivando anche ad usare le mani delle volte, ma mai e poi mai si sarebbe aspettata una cosa come quella. Certo, era un uomo egoista e lo sapevano tutti, ma fino a quel momento aveva creduto di essere in una posizione sicura essendo sua figlia, invece era la prima vittima sacrificale.
«Cosa stai insinuando?» Suo padre la guardò furente, posando sul tavolo il bicchiere di brandy che si era servito poco prima.
Certo, lei era quella che doveva sposarsi contro la propria volontà e lui faceva la parte dell'offeso.
«Andiamo, papà, quale modo migliore di guadagnarsi la sua azienda se non il matrimonio con tua figlia?» Una risata amara le scappò dalle labbra. In fondo non gli era mai interessato nulla dei suoi desideri, perché ora se ne stupiva tanto? «Peccato che i miei sentimenti e ciò che io pensi non contino, vero?» guardò suo padre con odio e per la prima quell'uomo che aveva tanto stimato ed amato da bambina non trovò le parole per dibattere. Il grande Erick Blackman chinò il viso, senza riuscire a guardare la propria figlia in faccia.
Almeno ha la decenza di vergognarsene, pensò amaramente.
Dopo qualche istante di silenzio, rialzò il capo con la solita espressione arrogante. «Ormai è già deciso Stephanie, ho dato la mia parola e non posso tirarmi indietro» setenziò l'uomo, facendola solo infuriare di più.
«La tua, non la mia! Hai chiesto cosa ne pensassi? No, ovviamente no, a te non è mai importato nulla di me!» Finalmente aveva pronunciato le parole che si era tenuta dentro per anni, non aveva mai avuto il coraggio di rivolgersi così a lui ma in quel momento era troppo sconvolta per preoccuparsene.
S'infilò una mano tra i capelli, trattenendo un urlo di frustrazione. Ormai era sull'orlo delle lacrime. Perché proprio a lei? Le sembrava di vivere un orrendo incubo e pregò che qualcuno la svegliasse.
«Non mi è mai importato di te? Mi sembra di non averti mai fatto mancare nulla» si difese con convinzione suo padre, credendo davvero che i soldi potessero compensare tutto l'affetto che non aveva mai ricevuto.
«È vero, nulla, tranne un padre presente.» Diede le spalle a quell'uomo che non stimava più così tanto e salì velocemente le scale, cercando di lasciarsi alle spalle la discussione e la notizia di un matrimonio inatteso e non voluto. Almeno da lei.
«Inutile Stephanie, domani lui verrà a cena e vi conoscerete» le urlò dietro mentre lei entrava velocemente nella sua camera, sbattendo con forza la porta, come a tentar di coprire quella nuova e terrificante notizia.
Si stese sul letto e pianse tutte le sue lacrime, non voleva sposare un uomo che non conosceva, suo padre le aveva ricordato che ormai aveva ventisei anni e lui non era più convinto che si sarebbe sposata. Come se a ventisei anni si fosse vecchi! Lui non aveva pensato ai suoi desideri, non l'aveva nemmeno resa partecipe dei suoi piani, si era limitato a dirle che tra una settimana avrebbe sposato Ryan Ashbey e poi sarebbe volata con lui a Buffalo, nel Wyoming, e lì sarebbe rimasta per sempre.
Non sapeva nemmeno com'era fatto quell'uomo, solo che aveva trentadue anni e possedeva una distesa immensa di terreno, e molti molti animali oltre che ad un patrimonio da far invidia persino a suo padre. Un'opportunità troppo ghiotta per lasciarsela scappare e suo padre aveva sempre colto la palla al balzo. Non era mai stata una ragazza superficiale, quindi non erano gli animali o la possibilità di sporcarsi di fango che la preoccupavano, ma il suo promesso sposo; se non le fosse piaciuto? Di solito i magnati del petrolio, almeno quelli che aveva incontrato lei, erano panzuti, con lo sguardo viscido e credevano che tutto il mondo fosse il loro parco giochi; tutto era loro concesso.
Tremò al solo pensiero.
La sera seguente lo avrebbe conosciuto e se non le fosse piaciuto lo avrebbe rifiutato, sarebbe anche andata via di casa se fosse stato necessario. Avrebbe rinunciato al suo nome o qualcosa del genere, tutto pur di evitare quel matrimonio. Si alzò dal letto e andò in bagno per prepararsi alla notte. Si sciacquò il viso e indossò dei pantaloncini, una maglietta di cotone, e ritornò in stanza, raggomitolandosi in fretta sotto le calde lenzuola, cercando di non pensare a cosa l'attendesse l'indomani o il prossimo futuro. Scivolando pian piano in un sonno senza sogni né incubi.
* * *
Un bussare insistente alla porta la strappò dal sonno.
Aprì lentamente gli occhi, mettendo a fuoco la sua stanza e si mise a sedere, stropicciandosi le palpebre e sbadigliando portandosi una mano alla bocca.
«Stephanie!» La voce squillante e severa di suo padre risuonò in tutta l'enorme casa vuota, già pronto a rovinarle la giornata, seguita dai violenti e fastidiosi colpi alla porta che l'avevano svegliata poco prima.
«Sì, sono sveglia!» rispose infastidita e, sbuffando, cercò con lo sguardo la sua vestaglia per coprirsi. Una volta individuata, si alzò velocemente e la raccolse dalla poltrona accanto al grande camino che occupava metà della camera, se la infilò e aprì la porta.
«Finalmente, Stephanie. Hai idea di che ore siano?» la rimproverò il padre, corrugando le sopracciglia nella solita espressione dura che le rivolgeva sempre.
No, in realtà non sapeva che ore fossero e nemmeno gliene importava molto in quel momento.
«Sono le dieci, Stephanie, e tu eri ancora a letto a poltrire. Quando sarai la moglie di Ashbey non potrai alzarti agli orari che vorrai tu.»
Eh, no! Questo era decisamente troppo! Non si era mai svegliata ad un orario così tardo, tranne la domenica, e ora veniva anche a farle la ramanzina? Era veramente il colmo, con quale diritto si permetteva di rovinarle il futuro e poi di sgridarla come se avesse avuto dieci anni?
Presa da un raptus di nervosismo, gli chiuse la porta in faccia. Suo padre non ci mise molto a riprendersi dalla sorpresa di quel gesto, e tornò a colpire la porta con i pugni, richiamandola con tono ancora più severo.
Raggiunse il bagno, ignorando i richiami del genitore, e aprì il getto d'acqua calda della doccia, si spogliò lentamente ed entrò nella cabina, lasciando che l'acqua calda la risvegliasse e calmasse almeno un po'.
Uscì dalla sua stanza solo un'ora più tardi, si era presa tutto il tempo per prepararsi, una scusa in più per ritardare il faccia a faccia col genitore. Per fortuna, però, suo padre era già uscito e questo la sollevò, almeno per il momento non avrebbe visto la sua irritante e autoritaria faccia. Si diresse in cucina, dove trovò Margaret, la cuoca.
«Giorno Maggie!» la salutò calorosamente, stampandole un bacio sulla guancia.
«Giorno tesoro, ti sei svegliata tardi stamane e spero tu abbia fame.» L'anziana donna sorrise con fare materno e Stephanie pensò che le sarebbe mancata terribilmente una volta andata via. Se sarebbe andata via...
Maggie era stata come una seconda figura materna, l'aveva cresciuta e si era presa cura di lei, regalandole sempre quegli abbracci e quei baci che credeva non avrebbe più ricevuto da sua madre.
«Ovvio Maggie, non mangio da ieri sera ed ora potrei divorare il cesto di frutta finta» rispose sarcastica, puntando con lo sguardo il cesto in questione. La cuoca ridacchiò e poco dopo le servì i suoi adorati pancake ai mirtilli e un bicchiere di succo ai frutti rossi.
«Pancake ai mirtilli! Che tu sia lodata, Meg.» La ragazza s'illuminò, guardando affamata e felice una delle sue colazioni preferite. La donna sapeva sempre come tirarla su di morale, come se avesse una sorta di potere mistico o forse la conosceva fin troppo bene.
«Sono i tuoi preferiti e ho pensato ti avrebbero tirato su dopo la rivelazione di ieri.» Maggie prese posto accanto a lei e le accarezzò un braccio.
«Quindi lo hai saputo» mormorò abbassando il capo.
«Tesoro, ieri sera avete urlato come pazzi, anche i vicini vi hanno sentito probabilmente.» L'anziana donna fece un piccolo sorriso, un tentativo vano di consolarla. Ma non c'era nulla che avrebbe potuto confortarla in quel momento, nemmeno gli adorati pancake ai mirtilli.
Stephanie annuì e iniziò a mangiare lentamente.
«Non fare così, pulcino mio, vedrai che andrà tutto bene e se quell'uomo osa solo sfiorarti con un dito ci penseremo io e il mio mestolo ad insegnargli le buone maniere!» esclamò convinta Maggie, impugnando l'oggetto in questione.
La ragazza rise, sentendosi un po' più leggera. «Ora mi sento più tranquilla, grazie» abbracciò a lungo quella donna che aveva sostituito sia la figura materna che quella paterna, sempre assente e scostante, che non avrebbe mai dimenticato. Se doveva qualcosa a qualcuno, allora quella persona era lei e non certo suo padre...
«Figurati pulcino, ed ora mangia, forza» la minacciò col famoso mestolo e lei riprese a mangiare, ringraziandola silenziosamente.
Finita la colazione, prese le chiavi dell'auto e uscì di casa per andare a lavoro. Avrebbe tanto voluto che l'impiego di fotografa per un rivista di moda locale fosse permanente, invece lei sostituiva il vero fotografo quando si assentava, e tutto solo grazie alla sua amica che vi lavorava. Adorava scattare foto, per questo avrebbe preferito trovare un posto fisso. La paga era buona e le avrebbe anche permesso di andare a vivere da sola se non fosse stata solo una semplice sostituta, chiamata una volta ogni tanto.
Salì in macchina e mise in moto.
«Speriamo non ci sia traffico» si disse per riempire il gelido silenzio dell'abitacolo e cercare di sciogliere quel buco nero che sentiva al cuore dal giorno prima. Sospirò e si allontanò dalla villa di suo padre per immergersi nell'impossibile traffico dell'empire state. New York era sempre troppo trafficata e di sicuro ci avrebbe impiegato un bel po' per arrivare a destinazione, si rilassò contro il comodo sedile della sua auto ed in quel momento si rese conto che anche il suo lavoro le sarebbe mancato molto, tranne Sharon, il suo odioso capo.
Ogni volta che la incrociava non perdeva tempo per ridicolizzarla, a volte anche davanti ai colleghi, per il suo look comodo e non da bambola rifatta come lei.
Cosa c'era di male se preferiva andare a lavoro in jeans e maglietta? Lei era solo la fotografa, adorava la moda, ma odiava portare i tacchi dodici se doveva restare una giornata intera dietro l'obbiettivo e non davanti. Ovviamente, una mente frivola e vuota come quella di Sharon non avrebbe mai compreso un simile ragionamento, per questo motivo era meglio ignorare ogni cosa che usciva da quelle labbra gonfiate.
Dopo quello che le sembrò un secolo, raggiunse il parcheggio dell'edificio dove lavorava e lasciò lì l'auto, scese dall'abitacolo e raggiunse velocemente l'ascensore. Guardò l'orario sullo schermo del cellulare mentre entrava in quella specie di monta carico gigante e trattenne un'imprecazione, era già mezzogiorno e mezza, Sharon le avrebbe fatto la pelle e una sfuriata che non avrebbe mai dimenticato.
L'ascensore si fermò, col suo solito "bip" d'avviso, e le porte si aprirono lentamente, quasi temessero anche loro le grida acute del capo. Facendosi coraggio, Stephanie si avviò in fretta verso la sala dei servizi fotografici.
«Stephanie!» La ragazza sobbalzò al richiamo e si voltò velocemente per scontrarsi una volta per tutte con la vipera, ma invece di Sharon fu la sua amica Jessica a correrle incontro e si chiese come mai non avesse riconosciuto la sua voce.
«Jess! Mi hai fatto prendere un colpo!» la riprese, portandosi una mano al petto cercando di riprendere aria.
«Scusa Steph, ma sei in ritardo e per tua fortuna Sharon non è ancora arrivata.» Jessica si avviò verso la sala dei servizi, seguita da lei e aprì la porta, facendole cenno di entrare per prima.
«La prima positiva di oggi, una soddisfazione prima di stasera» mormorò amareggiata, avvicinandosi al tendone bianco vicino alla parete per inziare a posizionare il cavalletto e il resto dell'attrezzatura.
«Le modelle?» chiese all'amica.
«Le ho già vestite. Prima di cosa parlavi?» Jessica la fissò curiosa e preoccupata, portandosi una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio.
«Di cosa stavo parlando?» ripeté lei con sguardo interrogativo, senza riuscire a comprendere a cosa l'amica si riferisse.
«Hai detto che l'assenza di Sharon era una soddisfazione prima di stasera» le ricordò la rossa, facendola sospirare tristemente, cosa che la fece solo preoccupare di più. Stephanie aveva l'aria stranamente rassegnata e il suo sguardo tradiva un profondo tormento, come se qualcosa la stesse logorando dentro.
«Ti racconto tutto dopo, okay? Fai entrare la prima modella.» Jessica annuì e fece come richiesto.
***
«Allora? Cosa succede di così terribile stasera?» chiese la rossa mentre Stephanie stava riponendo la sua attrezzatura nella valigetta. Il servizio fotografico non era durato molto, per fortuna, anche se si sentiva ugualmente spossata e distrutta.
«Andiamo a prendere un caffè, meglio se stai seduta» l'avvertì, prendendo la valigetta ed avviandosi verso l'uscita, seguita da Jessica che se ne stava silenziosa a rimuginare sulle varie cause possibili di quel comportamento.
«Così mi preoccupi» aggiunse la rossa dopo un po', affrettandosi a raggiungere l'amica che stava già chiamando l'ascensore.
«Fai bene.»
Le porte metalliche si aprirono e le due ragazze entrarono immediatamente, contente di lasciare quell'orribile posto. Anche se non per sempre, purtroppo.
«Steph... che succede?»
La ragazza si stava allarmando, che cosa le doveva raccontare di così brutto? Aveva per caso commesso un omicidio? No, impossibile, Stephanie non avrebbe ammazzato nemmeno un ragnetto. Aveva una malattia terminale? Pregò tutti gli dèi che conosceva affinché così non fosse.
Finalmente fuori dall'edificio grigio e triste, si avviarono verso il caffè che si trovava di fronte, quello dove ogni giorno si fermavano per la pausa pranzo o per la colazione.
Presero posto al loro solito tavolo esterno e subito una ragazza minuta e bassina si avvicinò per prendere l'ordinazione.
«Due bicchieri d'acqua e un caffè, per favore.»
Stephanie sapeva benissimo che si sarebbe voluto ben più di un bicchiere d'acqua o un caffè per far digerire quella notizia all'amica, ma dal momento che avevano poco tempo, sarebbe stato impossibile per loro eccedere in qualcosa di più forte.
«Ora spiega tutto!» esclamò Jessica una volta che la cameriera si fu allontanata.
La rossa si mordicchiava il labbro inferiore con agitazione contagiando anche lei, tanto che dovette darsi un pizzicotto sulla coscia per calmarsi.
«Mi sposo...» rivelò senza usare troppi giri di parole, con la voce priva di qualsiasi emozione che non fosse l'odio o la repulsione.
L'amica rimase a fissarla sconcertata per qualche secondo, fissando intensamente il suo viso, tanto di capire se l'amica la stesse prendendo in giro oppure fosse tutto vero. Gli occhi spenti di Stephanie dovettero convincerla dell'assoluta autenticità di ciò che aveva appena sentito perché vide la rossa sobbalzare sulla sedia come se qualcuno le avesse appena punto il sedere con uno spillo e afferrare il bicchiere d'acqua che la cameriera aveva portato prima di gridare uno sconcertato: «Che cosa?!»
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