Pieno giugno 1676 pt. 2
Con tutto ciò, fu una nottata scomodissima: dormire sul pavimento parve a tutti e tre un'opzione di gran lunga preferibile, anche se nessuno ardì riconoscerlo. Il clima non era certo dei migliori all'interno della casetta, perciò Ottavio fu ben felice di andarsene molto presto per recarsi alla stamperia; fu ancora più felice perché, insieme a lui, anche Ferraris dovette uscire: aveva infatti in programma una visita al maestro Robertone Rossi per certi affari, sosteneva lui, di politica. Intendeva dire politica di bottega, perché una volta incontratosi con lo stampatore, presente Ottavio, gli fece alcune domande circa i fornitori, gli spostamenti dei dipendenti e i contatti con persone esterne al settore. Cose che, perlopiù, Ottavio aveva già scoperto informandosi durante la pausa pranzo, ma cui la conferma del padrone dava un aspetto nuovo e inquietante: si scoprì, infatti, che il commercio dei libri passava per la Marca stellata e che al primo sciogliersi della neve sui valichi montani cominciava un andirivieni di piccoli convogli diretti alle fiere oltreconfine. La strada non passava vicino al palazzo Malancisi, a detta di Robertone, ed era anzi un allungamento inutile e dispendioso per chi si dirigesse ai valichi.
Dopo qualche indagine spacciata per chiacchiera, Ferraris demorse, o almeno stabilì una tregua: diede appuntamento a Ottavio per pranzare insieme in una locanda, quindi lo salutò diretto a San Giulio per protrarvi le ricerche. Si ritrovarono all'una di pomeriggio: Ferraris comunicò ben poche novità e tutte di poco o nessun conto.
«Bisogna tener d'occhio la corporazione; avete già partecipato a qualche assemblea?» concluse, prima di mordere un pezzo di pane nero con dell'insaccato. Ottavio, sconsolato, scosse il capo: «Io stento a definirle assemblee... Magari a Parigi, a Lione o a Venezia se ne può parlare, ma qui sono incontri di bevute in cui si parla di tutto meno che del mestiere. C'è un'aria di complicità che mi ha spaventato: pensate che certi torcolieri di Trestalli hanno chiaramente ammesso di aver bastonato il maestro in una vietta scura e di averla fatta franca in barba a quello sprovveduto...»
Ferraris lo incoraggiò: «Proprio quello che ci serve sapere! Più pettegolezzi raccoglieremo, prima capiremo chi potesse avere modo e interesse di ricattarvi».
«L'ho pensato anch'io», ribatté, «ma in presenza di un estraneo non si raccontano fatti troppo scomodi.»
«Chiedete di qualche odioso personaggio che se n'è andato di recente, magari troverete un suo acerrimo nemico che vi racconterà le cose peggiori...»
«Avete già un nome?»
«Nomi no, nessuno. Sono astuti, questi stampatori, e non si infamano tra loro. Tuttavia, il punto debole è sempre scoperto, basta trovarlo. Quel tipo, Bastiano, che lavora dal Rossi, mi sembra sufficientemente ingenuo...»
Ottavio annuì e addentò una fetta di farinata di ceci spalmata di formaggio, quindi aggiunse: «Anche Nicolò, il compositore, è un po' strano. Arriva da Trestalli, mi hanno detto; ha fatto là l'apprendistato e il maestro Rossi l'ha preso con sé per pietà, perché in fondo è una testa calda, ma è suo nipote...»
Ferraris mugolò in assenso, masticando ancora un morso di pane. Quindi abbandonò un avanzo sul tavolo, prese un sorso di vino rosso e rialzò lo sguardo sul marchese. Tese le labbra, umettandole con la punta della lingua, e si accomodò contro lo schienale.
«Di vostra moglie cosa mi dite?» domandò con voce roca.
Ottavio si spazientì subito e non si preoccupò di nasconderlo; inghiottì l'ultimo boccone di farinata e si passò il dorso della mano contro il mento, un'abitudine presa per confondersi nell'ambiente basso delle locande. Poi, parlando lentamente, disse: «Non ho nulla da riferirvi riguardo a lei».
«Nel senso che tutto tace, tutto è quieto?»
«L'acqua quieta distrugge i ponti.»
«Appunto. Non va affatto bene che, dopo tutti questi mesi, siate ancora in questa situazione.»
Il marchese, a quel punto, irrigidì le braccia e distese le dita sul tavolo: «Quanto vi ho raccontato aveva il solo scopo di informarvi sulle sue condizioni di salute dopo... dopo l'accaduto, affinché non foste così disgraziato da offenderla».
Ferraris non si risentì per il suo tono duro; anzi, parve rabbonito e bendisposto nei suoi confronti.
«Vostra moglie è una donna forte, ma non c'è bisogno che ve lo venga a dire io», constatò. «Tuttavia, voglio raccomandarvi una cosa in amicizia: non crediate che possa superarla da sola; e nemmeno voi potrete se...»
«Voi non sapete cosa voglia dire», tagliò corto Ottavio, la voce tremante così come le sue dita poggiate sul tavolo. «Quindi fate un favore: state zitto e badate solo a cercare chi vuole portarmi via i miei bambini. E ora,» concluse dopo un respiro stizzoso, «devo tornare al mio lavoro.»
Non si videro più fino a tarda sera, quando la stamperia fermò il torchio. Cenarono in silenzio sotto lo sguardo attento e intimidito dei ragazzi e di Galatea; avevano entrambi certe facce, certi occhi da mettere paura. E il fatto che la zuppa del giorno prima, riscaldata, fosse ancora più buona, poco contava. Giovannino, cenando con Ludovica e sua madre prima del ritorno dei due uomini, l'aveva già riempita di complimenti e di baci.
La notte non fece che inasprire le reciproche posizioni: fu proprio nel momento in cui si coricava che Galatea, relegata sul lato sinistro, si accorse di un dettaglio inatteso, tanto inaspettato che dovette battere le palpebre due o tre volte per capire che non si trattava di un'ombra proiettata dalla candela accesa.
«Ottavio, vieni qui», bisbigliò senza usare un tono particolare. Lui non si preoccupò, e, coricatosi a propria volta, si girò sul fianco per guardarla. Lei lo osservò meglio e sì, sulla sua spalla c'era proprio lei, Discordia. Erano anni, ormai, che non la vedeva più o, se la scorgeva, non le dava crucci: la maggior parte delle volte si trattava di piccoli bisticci e l'esserino spregevole non arrivava mai a dimensioni importanti; quella sera era diverso. Discordia era grande come un merlo e pizzicava l'orecchio di Ottavio con le unghie, aizzandolo contro Ferraris ogni secondo. La sua vista la colpiva perché era veramente raro, per suo marito, nutrire sentimenti visceralmente negativi.
«Ti senti bene?» domandò sottovoce, mentre Ferraris prendeva il proprio posto all'altro lato del materasso. Non c'era nessuna Discordia sulle sue spalle, nemmeno di dimensioni microscopiche. La Discordia di Ottavio, invece, si aggrappò al suo orecchio e bisbigliò qualcosa, dopodiché il marchese si sollevò sul gomito e: «Giratevi dall'altra parte». L'altro sbuffò, ma obbedì.
«Sono esausto, Tea... Ho le ossa rotte, non mi reggo in piedi...» borbottò Ottavio, mettendo il braccio sotto la testa.
«Capisco, certo... Però... insomma...» tergiversò, abbassando ancora di più la voce. «Non ti stai comportando male con lui?»
Ottavio grugnì sommessamente un dissenso, corrugò la fronte e infine sussurrò: «Mi comporto come devo». E chiuse il discorso, mortificandola senza volerlo.
*
La mattina seguente, Ferraris annunciò la propria partenza fissata per il giorno dopo; Discordia rimpicciolì notevolmente quando Ottavio udì la notizia e, arrivato alla stamperia, il provetto torcoliere tirò la barra con energia. Lavorò così di buona lena che la pausa pranzo gli parve anticipata sull'orario consueto; si ritrovò al tavolo di un'osteria dirimpetto la libreria con Bastiano, Nicolò e Francesco, quest'ultimo un fornitore di carta che voleva rifocillarsi prima di partire per Trestalli. Il clima era molto disteso e si bevve qualche pinta di birra senza accorgersene; all'arrivo di Diodato, il libraio, Nicolò era già un po' brillo. Diodato, socio in affari di Robertone, lo rispedì in bottega prima che l'alcol gli offuscasse la mente al punto da renderlo incapace di comporre un'altra forma tipografica, quindi anche Francesco riprese la strada per poter concludere l'affare nel pomeriggio ed essere di ritorno alla cartiera prima di notte.
Ottavio rimase dunque solo con Bastiano e, avanzando ancora una mezz'ora abbondante di pausa, ne approfittò per intavolare un interrogatorio.
«Bastiano,» cominciò, fingendo di gustare un sorso di birra, «so che è tanto tempo che lavori per Robertone, anche se non sei di queste parti...»
«Dite bene», confermò l'altro, «sono ormai sette anni, signore». Bastiano gli dava del voi perché sapeva di parlare con una persona istruita; tuttavia, non c'era soggezione nelle sue maniere, anzi, vi serpeggiava piuttosto un mal celato fremito di arroganza. A Ottavio interessava ben poco, poiché il suo scopo principale era raccogliere informazioni.
«Sette anni! Se ripenso a come vivevo sette anni fa...»
Bastiano ammiccò sghignazzando. «Le donne sono tutte guastafeste.»
«Già», convenne, raddrizzando il filo del discorso. «Ne hai fatte, di conoscenze, in un periodo così lungo...»
«Si può dire che conosca tutti i maestri stampatori della zona e tanta altra gente; se vi serve un favore, una raccomandazione, dite pure a me. Ci penserò io a piazzarvi nel posto giusto.»
«Perdona la domanda, ma la trovo una cosa curiosa: se hai queste possibilità, perché non ti sei spostato altrove a lavorare? Insomma, Vallebruna non è un mercato adatto al libro e la paga è per giunta misera...»
«Signore, purtroppo qualsiasi uomo un po' forzuto è in grado di fare questo mestiere, se il maestro non pretende un lavoro con i fiocchi e controfiocchi. Io sto bene qui perché c'è il porto e questo vuol dire che tanta gente viene e tanta gente va, c'è movimento e si sta sempre allegri.»
Ottavio annuì comprensivo, benché percepisse, come per un sesto senso, che le ragioni esposte erano solo in parte corrispondenti a verità, quasi celassero segreti più profondi. Questo istinto gli suscitò un brivido lungo le braccia e allora distolse lo sguardo per evitare che l'altro si accorgesse del suo improvviso disagio.
«Vostra moglie dev'essere una bella donna se vi ha fatto rinnegare la famiglia e la ricchezza», constatò Bastiano, per fare conversazione. Ottavio, però, non rispose, e quello continuò con le sue riflessioni: «Anch'io ho rischiato grosso, una volta, per via di una donna, ma ho risolto in un altro modo».
«Credo sia difficile sposarsi per chi fa un lavoro così impegnativo; dall'alba al tramonto in tipografia, stanchi morti ogni sera, paga da fame... Non mi stupisce che molti inservienti navighino in cattive acque.»
Bastiano gli diede ragione e soggiunse, per avvalorare la sua impressione: «Questo, poi, è periodo di magra, una vera e propria carestia di carta; non se ne butta neanche un foglio, neanche fossero d'oro. E pensare che sono fatti tritando le mutande di qualche pezzente di queste strade. Guardate quell'uomo laggiù: le sue mutande, tra meno di un mese, potrebbero passarci tra le mani come foglio da stampa. Dio ce ne scampi!»
«La stamperia farà tesoro di carta, quindi. Le scorte mi sembrano ben sostanziose...»
«Certo! Praticamente non ce n'è per altri, solo le stamperie se l'accaparrano: noi del Rossi, quelli dell'Ostrica, i Due Cavalli di San Giulio e quelli di Trestalli, il Fiordaliso e la Palla.»
«Niente a che fare con il porto, dunque.»
«Assolutamente! Se Francesco fosse qui vi riderebbe in faccia, con tutto il rispetto...»
A fine giornata, Ottavio mollava la barra con sollievo, ma la conversazione gli era rimasta così impressa nella memoria che si tratteneva a stento dal riprenderla; Robertone, richiamandoli, l'aveva interrotta sul più bello. Se non altro, aveva qualche certezza in più, anche se avrebbe voluto esplorare meglio quella rete di conoscenze cui Bastiano aveva solo fatto cenno: la rete, le persone erano al centro della sua inchiesta. Ma la fretta avrebbe guastato la strategia, perciò avrebbe proseguito il discorso quando ce ne fosse stato veramente lo spunto, così da non apparire sospetto.
Infilandosi la giacca, Ottavio salutò la squadra, salutò il capo e mise sottobraccio un pacco di fogli stampati di cui si richiedeva la correzione. Aveva appena messo il piede fuori dalla porta di servizio, quando Bastiano lo chiamò; si volse, la maniglia stretta, e gli chiese cosa volesse.
«Salutatemi vostra moglie, signore. E ricordatevi che tra tre settimane c'è la festa di San Bonaventura, patrono di Vallebruna: è una buona occasione per farci conoscere la vostra famiglia!»
«Ottima idea! Sicuramente.»
Non ne fece parola a Galatea, quando rincasò. Cenò con Ferraris e, con grande sollievo di tutti, il tenore del pasto fu piuttosto sereno e tranquillo: i bambini giocavano in un angolo, parlando sottovoce. Ludovica adorava Giovannino, lo guardava con occhi rapiti e ogni parola che lui diceva lei la ripeteva con il cinguettio di un uccellino. Galatea li teneva d'occhio sospirando di tanto in tanto, con l'orecchio attento a cogliere il contenuto dei dialoghi tra suo marito e il loro ospite. Aveva scritto una lettera, quel pomeriggio, da recapitare per vie traverse al monastero della Vergine stellata; aveva pianto nel farlo, aveva sudato ogni lettera, come se le sue lacrime fossero l'inchiostro. La lontananza la sfiancava: non poter avere i suoi bambini a portata d'abbraccio e di bacio, non poterli rincuorare della lunga assenza, non sentire le loro risate, non vedere i loro sorrisi erano l'ennesima, amara rinuncia.
Guardò Ottavio: lui non sembrava patire altro che la fatica del lavoro quotidiano. Anche lei faticava a mandare avanti l'economia domestica: compere, pulizie, cucina, operazioni prima di allora in gran parte a lei sconosciute. Le sue mani, un tempo così lisce, erano diventate secche; le sue unghie erano spesso annerite dalla polvere e dalla fuliggine e non c'erano profumi per attutire gli odori: unico lusso concesso erano le foglie di menta che si era procurata una mattina al lavatoio.
«Bambini, a nanna!» esclamò a un tratto Ferraris, alzandosi da tavola. Ottavio lo imitò, raggiunse Galatea e le prese la mano; lei tremò di sorpresa, si riscosse e si rese conto di essersi distratta per un buon quarto d'ora.
«Vieni, Tea, siamo tutti esausti. Riordineremo domattina appena svegli», le disse all'orecchio. Lei fu d'accordo, trasse un respiro e preparò i due giacigli. Ludovica arrivò gongolando, perché dormire per terra insieme a Giovannino la divertiva a dismisura e contribuiva ad alleggerirle la percezione di ciò che accadeva attorno a lei. Si coricò, chiamò l'amico e rise di gioia quando lui, prima di distendersi, le fece il solletico sulla pancia.
«Shhht! Bambini!» li redarguì bonariamente la mamma, per poi avviarsi verso la camera;li lasciava svegli alla luce del camino, certa che non avrebbero resistito a lungo prima di addormentarsi.
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