9 luglio 1676 pt. 3
Enrico non sanguinava, ma dalla sua espressione si capiva che aveva battuto la testa ed era rimasto intontito. Le due donne accorsero proprio da lui: una respinse Giovannino, l'altra si chinò su Enrico e lo chiamò più volte per assicurarsi che fosse in sé.
«Sei un malcapitato, un delinquente! Tu e la tua amica!» strillava quella delle due che era rimasta in piedi. Ludovica, in preda al panico, corse da Giovannino e lo abbracciò stretto, incurante del sangue che le colò sulla fronte. Il ragazzino, lungi dall'essere pentito, non spostava gli occhi dallo sconfitto; nemmeno ascoltava il rimprovero, poiché gli sembrava ingiustificato. Era lui l'eroe, non di certo Enrico.
L'altra, però, era evidentemente sua madre e, quando fu certa che il figlio stesse bene, riversò tutta la propria furia su Giovannino e Ludovica, inveendo contro di loro con parole ancora più dure. E mentre urlava senza tregua, mentre minacciava e schiaffeggiava il più grande dei due, un uomo le si avvicinò con discrezione e, arrivatole alle spalle, constatò: «Se tenete a vostro figlio, perché non l'avete cresciuto con i dovuti modi?»
Quella si voltò già pronta a rincarare la dose di insulti sull'incauto che aveva voluto intromettersi, ma si trovò faccia a faccia con Ferraris, che passeggiava con tanto di spadino alla cintura. Perse d'un colpo tutta la boria che aveva accumulato e si sgonfiò con un lungo soffio, dando l'impressione di essersi davvero rimpicciolita. Ferraris la superava di una buona spanna in altezza e la guardava con l'espressione di chi sa di avere ragione e perciò non ammette repliche. L'amica, invece, pensò bene di dare man forte alla comare: «Siete voi, signore, che avete cresciuto questo ragazzo come una bestia!»
Ferraris, con aria beata, le riservò uno sguardo di compatimento, poi assunse i modi austeri di un giudice e con voce severa chiuse la questione: «Qualora non ve ne foste accorte, sono stato dietro di voi per tutto il corso della rissa; ho visto ciò che avete visto voi e so come si sono svolti i fatti e, lasciatemelo dire, il mascalzone giace lì per terra, dove è giusto che stia. La bambina era indifesa e l'hanno aggredita senza motivo; mio figlio è intervenuto a proteggerla.»
«Voi volete rovinare la nostra reputazione con le bugie!» fece l'altra. «Non dovete permettervi, solo perché siete un nobile, di mettere in dubbio la nostra bontà.»
Ferraris, ancora una volta, non si scompose: «"Vedremo se avrà ancora il coraggio di andare in giro, la sgualdrina": l'avete detto voi, vero? E voi le avete risposto: "Se non capisce, alla prima occasione le cambio la faccia". Non sono parole adatte a una signora, non trovate? E ho ripetuto la cosa più innocente che avete detto: non voglio abbassarmi al vostro stato di grettezza».
Enrico, con la testa pesante, si era messo seduto; sua madre, dopo l'ultima stoccata di Ferraris, si era rivolta verso di lui per aiutarlo; la sua amica e complice, rossa di stizza, borbottava tra sé. Ferraris, che aveva raggiunto Giovannino e gli aveva messo una mano sulla spalla, sospinse avanti il ragazzino con una raccomandazione: «Ora viene la parte più difficile, figliolo».
Giovannino, pieno di orgoglio sprezzante, si avvicinò con riluttanza allo sconfitto, si guardò indietro per essere certo di avere il sostegno del padre e, ottenuto un cenno di incoraggiamento, tese la mano a Enrico. L'altro lo guardò con aria confusa, ma dopo un momento di esitazione si accinse a prendergliela; sua madre, però, abbassò con arroganza il braccio di Giovannino e sibilò: «Non ci serve la vostra carità».
Il ragazzino, offeso terribilmente, tornò indietro a capo chino; Ferraris, che aveva già richiamato la piccola Ludovica, gli rimise la mano sulla spalla e lo condusse via con sé lungo la strada di casa, dicendogli: «Questa è la vera villania, figliolo; non è nascere paggetto».
Una volta a casa, Galatea provvide un bagno caldo per tutti e due, approfittando di una tinozza sufficientemente grande che aveva rimediato da un vicino di casa che l'avrebbe usata come legno da ardere quell'inverno. Ottavio entrò mentre Giovannino si stava asciugando con un panno bianco e notò immediatamente la ferita al labbro e gli ematomi; solo la vista di Ludovica che mordicchiava una focaccetta, tranquilla e serena, lo rassicurò un poco. Gli venne raccontato l'accaduto e, al termine, il marchese considerò: «La faccenda ci sta sfuggendo di mano...»
Ferraris annuì e disse: «Purtroppo non siamo mai immuni all'invidia della gente»
«Non è invidia, la loro», lo interruppe Galatea. «Sono semplicemente persone cattive, godono nel parlar male degli altri. Se così non fosse, ci sarebbe...»
Discordia. Ma si trattenne dal dirlo perché i due uomini non avrebbero potuto comprendere appieno le sue parole. Era un particolare che l'aveva subito messa in guardia, quello dell'assenza dell'esserino immondo dalle spalle delle donne del paese. Era come se, per loro, il pettegolezzo fosse fine a se stesso: non traevano alcun vantaggio dallo spargere zizzania tutt'intorno, diversamente da quanto accadeva a corte, dove far cadere qualcuno nel biasimo generale aveva per scopo l'ingraziarsi un potente. Lì, invece, Discordia non aveva pane per i propri denti: non c'erano posizioni di prestigio, non c'erano riconoscimenti. L'unica cosa che si poteva trarre dal chiacchiericcio era quel brivido di segretezza mescolato a un pizzico di cattiveria gratuita.
Né Ottavio né Ferraris insistettero perché completasse la frase in sospeso. Abbassarono gli occhi e storsero le bocche; Galatea, guardandoli, provò di nuovo quell'istintivo bisogno di averli entrambi vicini, di baciarli. Avrebbe allungato le mani verso le loro per stringerle forte e rinfrancarli nelle difficoltà, ma Giovannino, che sedeva accanto a lei, mormorò sottovoce: «Io faccio del mio meglio per non far sentire a Vivì le brutte cose che si dicono in giro su di noi...»
«Certo, Giovanni, so bene che tu ti stai sforzando; sei molto maturo per la tua età», rispose Ottavio sorridendogli, poi si rivolse a Ferraris: «Avremmo fatto meglio a non farla venire qui».
«È tardi per rammaricarsi di questo», constatò con tanto senso pratico. «Ora ci preme risolvere la questione di Toni Pertica e dell'Oca storta. Avete ottenuto la revisione?»
«Sì, ma non l'avrò prima di un paio di giorni: potremmo andare a Trestalli lunedì o martedì, non prima. Di meglio non ho potuto fare e ho rischiato che Robertone se ne risentisse.»
Ferraris sospirò: «Poco tempo, troppo poco, ma accontentiamoci. Mal che vada, sarà una festa patronale che Vallebruna non dimenticherà facilmente. Teniamoci pronti ad avvisare il duca e impegniamoci a scovare il minimo indizio che possa permetterci di sbattere in galera quel Toni e anche Cecco Stracci, che non me la racconta giusta».
«Se dovesse esserci spazio per Bastiano, nelle prigioni ducali, farò in modo che ci finisca.»
«Non ne fate una questione personale. Sapete quante persone scomode dovrete incontrare nella vita?»
Ottavio gli scoccò un'occhiata di sufficienza, poi ammise: «In effetti, ne ho già incontrate tante».
Galatea abbassò a propria volta gli occhi per evitare di vederli duellare: era una circostanza che, oltre a preoccuparla, la eccitava, perché entrambi erano uomini forti, testardi e intelligenti, anche se con caratteri diametralmente opposti. Le similitudini, tra loro, erano ciò che li faceva scontrare; e tra quelle similitudini rientrava anche l'amore che provavano per lei.
In quel momento, Ottavio si volse a guardarla e i loro sguardi si incrociarono. Ristettero a guardarsi con un'intensità che avevano dimenticato, con una profondità inusuale negli ultimi mesi. Il marchese fu sul punto di chiamarla, di dire ad alta voce il suo nome; e l'avrebbe detto con un tono fremente di desiderio rispondente all'ardore del suo corpo di fronte alla donna che amava. Perciò non osò parlare, preferendo adottare quella strategia di comunicazione non verbale che Ferraris gli aveva accennato. Le sorrise con gli occhi, quindi si rilassò, si lasciò cadere contro lo schienale della sedia assecondando l'effetto benefico della presenza di Galatea sulla sua anima.
Galatea non perse nessuno dei segnali di benessere di suo marito, trovandoli oltremodo allettanti; ma accanto a lui c'era Ferraris e la figura misteriosa rialzò la voce, esortandola a dedicargli un'occhiata. Ed ecco, in quel momento la figura aggiunse parole che non aveva mai proferito prima, in attesa, ovvio, di una situazione ambigua come quella: «Guarda l'uomo con cui hai tradito tuo marito. Sei davvero la sgualdrina che dicono tu sia; e tua figlia, piccola innocente, ne paga lo scotto».
Si morse il labbro, le sue mani si contorsero all'improvviso.
«Stai bene, Tea?» domandò Ottavio, allarmandosi. Ferraris scattò in avanti, fin troppo premuroso, e il marchese gli lanciò un altro dei suoi sguardi minacciosi. Non bastando questo, però, affinché il gentiluomo si facesse da parte, si rese necessaria una leggera gomitata tra le costole. Galatea, che prendeva lunghi respiri ad occhi chiusi, non si accorse del loro bisticcio, altrimenti avrebbe visto Discordia sulla spalla del marito. L'intermezzo, infatti, fu così breve, opposto a un timore più cogente, che ogni gelosia sparì a un battito di ciglia; Ottavio si alzò in piedi, aggirò il tavolo, cinse la moglie tra le braccia e le fece animo: «Andrà tutto bene, Tea».
Ma Galatea sapeva che una tale promessa non sarebbe durata di fronte alla realtà dei fatti. Avrebbe dovuto dirglielo, prima o poi, e non voleva immaginare come avrebbe reagito; ad aggravare la situazione, Ferraris sarebbe rimasto lì a tentarla, a offrirle momenti di piacevole oblio. Tuttavia, la presenza di Ottavio era rassicurante e lei era certo di amarlo come non l'aveva mai amato prima.
"Tu l'hai tradito, l'hai tradito. Sei una sgualdrina!"
«Sono una sgualdrina...» le sfuggì dalle labbra in un sussurro affranto; Ottavio la udì, ma incassò il colpo e fece finta di nulla, riservandosi di meditarci sopra più tardi.
«Non lo sei, Tea. Smettila di pensarlo.»
Ferraris, nel frattempo, era diventato pallido come un morto. Non era qualcosa che gli capitava di frequente e Giovannino percepì a pelle la sua improvvisa paura e, non sapendo come interpretarla, credette fosse meglio starsene zitto piuttosto che sollevare la questione. Nelle lezioni di galateo che il padre gli aveva fatto seguire aveva appreso che è di cattivo gusto mettere in evidenza il disagio altrui: quella nozione lo salvò dal far fare una figuraccia al genitore e dal castigo conseguente.
«Non lo sei», le ripeteva Ottavio e Galatea, quasi a tranquillizzare più lui che se stessa, si volse e lo baciò sulle labbra, poi disse soltanto: «Grazie. Ora vorrei stare un po' da sola...»
Ferraris, stupendo ancora una volta per la prontezza nella reazione, fu in piedi in un attimo e si diresse spedito alla porta, chiamando Giovannino per andare a San Giulio come avevano programmato: avrebbero avuto da camminare tanto e il tempo a disposizione era misurato. Ottavio sarebbe tornato al lavoro a malincuore, sapendo di lasciare moglie e figlia tutte sole in un momento di grande angoscia per loro. Galatea, regalandogli un altro timido bacio, lo incoraggiò a fidarsi; quando furono sulla soglia di casa si separarono con un sospiro.
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