8 luglio 1676
Era mercoledì, giorno di mercato: ciò equivaleva a dire giorno di totale confusione. Galatea stringeva forte la mano della sua Ludovica per evitare che, in un momento di distrazione, potesse scivolarle via. La calca al banco del pesce era piuttosto feroce, ma non le mancava nient'altro: aveva le verdure, aveva la frutta, e con gli ultimi risparmi si era potuta permettere un piccolo salame di suino. Ottavio non guadagnava uno stipendio tale da consentire un tenore agiato e, per non dare nell'occhio, avevano deciso di comune accordo che avrebbero tirato a campare con quello; non accettavano soldi da Ferraris e non gradivano quando lui acquistava a proprie spese qualche prelibatezza costosa. Tuttavia, il miele era stato un pensiero gentile e l'avevano ringraziato per giorni: le focaccine a colazione erano diventate estremamente buone, con quell'aggiunta.
Ludovica borbottò l'ennesima lamentela per la noia, sbuffando forte. Galatea la ignorò, come tendeva a fare ogni volta in cui, se avesse parlato, non avrebbe potuto non dare ragione alla figlioletta; ma era questione di minuti e sarebbero state a casa a preparare il pranzo, per cui non giudicò opportuno dare adito ai suoi capricci. Mandarla a giocare con gli amici avrebbe significato perderla di vista, perché i monelli, al mercoledì, non si accontentavano di stare nel cortile, ma vagavano per le bancarelle allungando le mani sulla merce, così che spesso qualcuno di essi buscava tante sculacciate dai padroni e finiva a piangere dalla mamma, che gliene dava ancora di più. Non voleva che sua figlia assistesse o prendesse parte a simili marachelle; e siccome Giovannino, quel giorno, aveva seguito Ferraris al porto alla ricerca di Toni Pertica, non avrebbe potuto affidarla alla sua custodia.
«Mamma...» la chiamò a un tratto Ludovica, strattonandola delicatamente. Galatea si limitò a guardarla con aria incoraggiante, ma lei arcuò le labbra e bisbigliò: «Io ho fame...»
«Tesoro, ancora un attimo di pazienza e saremo a casa», la rincuorò con una carezza. In quel frangente una signora che spingeva alle sue spalle la superò con arroganza, usurpandole di fatto il posto. La marchesa, per nulla conciliante con i soprusi e già indispettita da tanti assilli, afferrò la donna per il braccio e la accusò: «Voi mi siete passata avanti, ridatemi il mio posto!»
«Come sarebbe a dire? Siete voi che mi avete superata!» quindi, girandosi avanti, chiamò: «Maria! Maria!»
Un'altra signora sua coetanea si sbracciò, chiedendole cosa ci facesse così in fondo. Galatea sbigottì e, alzando la voce, rispose per le rime: «Io mi ricordo di voi! Eravate appena davanti a me, quando mi sono accodata. Come avete fatto ad arrivare là?»
La gente cominciò a mormorare, chi contro una chi contro l'altra delle litiganti. I pescivendoli al banco, annusato il principio di lite, sbraitarono più forte esaltando la bontà del pescato; ma questo servì a poco. Galatea, infatti, risoluta a farsi rispettare, e come lei tante altre massaie, disputò con la donna che l'aveva superata finché quella Maria, sua complice, ebbe concluso l'acquisto del suo pesce. Allora le raggiunse, la fissò bene in viso e poi esclamò: «Ma Luigia! Non vedi con chi parli? Questa è quella sgualdrina che s'è fatta ingravidare apposta... E questa dev'essere la figlia del peccato!» concluse, indicando Ludovica con il dito. Luigia tacque per un istante, poi scoppiò a ridere sguaiatamente.
«Mia figlia non è la figlia del peccato!» strillò Galatea, nascondendo la bambina dietro di sé.
«Come no? E venite a far la predica a noialtre, che siamo madri buone e oneste? Che cosa insegnerete a vostra figlia, quando crescerà? Che cosa le direte del matrimonio, dei sacramenti, dell'onore? Povera piccola, è nata condannata!» le rinfacciarono entrambe le avversarie.
Non fece in tempo a replicare che un uomo, un fattorino, le passò accanto constatando: «Meglio metterla in monastero, una bambina così...»
«Ben detto, Giovanni! Ben detto!» reiterarono le due. «In monastero l'una e l'altra, per penitenza!»
Galatea si trovò quasi al punto di piangere. D'un tratto le passò la voglia di cucinare il pesce, perciò si mise bene in spalla il manico della borsa di stoffa carica di acquisti e si volse per andare a casa. Luigia, però, le afferrò il polso, trattenendola, e lei, per la sorpresa, perse la mano di Ludovica che, come temeva, fu inghiottita dalla ressa.
«Vivì!» la chiamò disperata, slanciandosi nella sua direzione, ma l'altra la trattenne.
«Ora scappate! Non vi piace che qualcuno vi risponda, eh? Vostro marito vi vizia!»
«Ma qual è, poi, vostro marito?» disse impertinente Maria. «Noi vediamo che sono due gli uomini che vi accompagnano.»
«Vero! E secondo me dormono tutti insieme!»
Galatea, alla fine, riuscì a divincolarsi e a correre via. Aveva un solo pensiero in mente: trovare la sua bambina e portarla al sicuro. Fortunatamente, Ludovica era riuscita a trovare riparo sotto la tenda di un banco di formaggi poco più avanti e la sua mamma la vide lì, con due grandi lacrime sulle guance e la bocca ancora più all'ingiù.
«La piccola ha detto di essersi persa e piangeva, perciò l'ho fatta entrare», spiegò una signora oltre il banco. Galatea la ringraziò e, per sdebitarsi della cortesia, acquistò altro formaggio, spendendo ciò che sarebbe dovuto andare per il pesce. Stava per allontanarsi, quando quella la richiamò e, sottovoce, le disse: «Non badate a quelle due; nessuno dà loro retta perché sono due vere megere e, se possono, rubano senza vergogna. Lasciate che parlino, ma non prendetevela».
Invece se la prese eccome. Non la offendeva tanto ciò che avevano detto: la sua storia aveva sempre fatto parlare, ma era necessaria a spiegare come un uomo dotto e raffinato come Ottavio fosse finito in quel paesino. Lei, l'aveva sempre saputo, era in grado di dissimulare le proprie origini, recitava bene la parte della paesana e, benché anche i suoi modi fossero ingentiliti dalla buona educazione, non faticava ad adattarsi ai panni che indossava.
La offendeva che avessero definito Ludovica come "figlia del peccato", che l'avessero fatto in sua presenza; e al banco del formaggio, vedendo la bambina che la guardava spaesata e tradita, non si era sentita la forza di spiegarle subito cosa significassero quelle brutte parole. L'aveva portata a casa in silenzio, mollemente mano nella mano. Aveva salito le scale un passo dietro di lei, portando la borsa, ma preoccupata per lei, piccola e indifesa. Se fosse capitato ancora? Se gli amici avessero cominciato a prenderla in giro per ciò che si diceva di lei? Come aveva potuto non meditare su quell'aspetto cruciale?
«Mamma?» singhiozzò Ludovica non appena la porta di casa fu chiusa con tanto di chiavistello.
«Sì?» rispose, la voce rotta piegata forzosamente a un tono dolce e rassicurante.
«Tu mi vuoi bene?»
La abbracciò così forte da temere di farle male, ma l'abbraccio che ricevette in cambio non fu meno vigoroso. «Tesoro,» le disse piano, «hai sentito anche tu cos'ha detto la signora del formaggio: quelle due donne sono cattive, non le devi ascoltare. Certo che ti voglio bene, e te ne vuole anche il tuo papà.»
«Perché solo la figlia del peccato, mamma?» incalzò, sempre più turbata.
«Non lo sei, è una bugia. Dimmi: è vero che ti chiami Caterina? O che la tua mamma si chiama Teresa e il tuo papà Tommaso? No, ma queste persone non devono sapere chi siamo davvero. È un gioco, un brutto gioco, sì. Caterina è la figlia del peccato, non Ludovica: e Caterina non esiste, è finta. Ma loro non lo devono sapere...»
La bambina sospirò, un poco più tranquilla; poi, quando le lacrime cessarono e si fu ben asciugata le guance con il dorso delle mani, Ludovica ammiccò con furbizia e disse: «Li stiamo prendendo in giro?»
«Esatto! È uno scherzo, questo. Come se fossimo a teatro: ti ricordi che te l'avevo detto, quando siamo venuti qui? Immagina le facce di quelle donne cattive quando diremo chi siamo davvero, Vivì!»
«Non parleranno mai più! Dovranno stare zitte per sempre!» gongolò la piccola, passata anche la minima traccia di tristezza. Era tanto allegra che si mise a ballare e aiutò la mamma a riporre ogni cosa con leggeri passi di danza.
Galatea avrebbe voluto fare altrettanto, ma i suoi piedi erano appesantiti come da catene che la ancoravano al pavimento; non tutto ciò che quelle donne avevano detto era così falso come avrebbe voluto. C'erano due uomini nella sua vita, c'erano due uomini nel suo letto; e non era finzione o menzogna. E per quanto lei si sforzasse, non riusciva a maturare sentimenti negativi a riguardo: una parte di lei, infatti, godeva della vicinanza di Ottavio, l'altra di quella di Ferraris. Erano sensazioni diverse, ma sempre più forti, quasi che si alimentassero a vicenda: quanto più cresceva una, tanto cresceva subito anche l'altra. E quando i due uomini entrarono insieme in casa, pronti a pranzare con del pesce che in realtà non ci sarebbe stato, avrebbe voluto poter baciare entrambi contemporaneamente; quindi, per non sbilanciarsi, non baciò nessuno. Raccontò con accenti gai del bisticcio della mattina, aiutata da Vivì, e non fece caso, volutamente, alle tenerezze degli uomini seduti uno per lato accanto a lei. Le piaceva, in fondo, essere corteggiata e farsi corteggiare: in questo, dunque, il piano di Ferraris funzionava. C'era però quell'intrusa molesta che di tanto in tanto tornava ad alzare la voce, soprattutto quando Ottavio conquistava per sé qualche attenzione in più da parte della moglie. Allora la figura si sollevava in rivolta, smaniando, senza sapere che, proprio con questa strategia, stava consegnando la propria vittima nelle mani di chi l'avrebbe salvata dalla sua schiavitù.
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Angolo Autrice
Chi sarà, secondo voi, il salvatore di Galatea e perché?
APRO UFFICIALMENTE IL DIBATTITO
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