7 luglio 1676 pt. 5

Qualcuno prese a bussare con insistenza alla porta. Fu Ferraris ad andare ad aprire e la signora Calabracchi non se lo aspettava.

«Oh!» esclamò; poi notò Ottavio e di nuovo: «Oh!» fece, portandosi la mano sul petto. Ferraris fu squisitamente gentile, invitandola a entrare, ma lei rifiutò: «Non intendevo disturbare. So che la signora a quest'ora è sola, di solito, e pensavo di venire a farle compagnia...»

«Voi non disturbate mai, signora Laura», rispose Galatea, ricacciando le preoccupazioni per mostrare un viso piano e rilassato. «Pensavo di scendere al pozzo per prendere dell'acqua; verreste con me?»

La sua voce suonò malinconica, ma i suoi modi furono ben studiati e parvero naturali; Laura Calabracchi pensò di aver interrotto una discussione e non si impensierì, cominciando a scendere le scale verso la porta che dava sul cortile interno. Una volta fuori, all'ombra delle mura degli edifici circostanti, le due donne raggiunsero il pozzo.

«Come mai i vostri uomini erano già a casa, oggi?» domandò Laura con voce acuta.

«Mio marito sta portando avanti la revisione di un romanzo e mio cognato si è offerto di aiutarlo», spiegò candidamente, girando la manovella che azionava la carrucola sospesa sulla bocca del pozzo. Il secchio prese a calare lentamente, senza scatti, e dopo un breve lasso di tempo si posò sulla superficie dell'acqua in cui pian piano si inabissò. Galatea, allora, cominciò a girare la manovella nel senso contrario, mettendoci più forza e fatica.

«Ma con che cosa si mantiene vostro cognato?» continuò Laura, poggiando le mani sul parapetto del pozzo. Galatea fece spallucce e rispose: «Nulla, in realtà. Questo è il bello di nascere primogenito di un padre ricco e nobile. Lui pensa solo a viaggiare e divertirsi, senza tanti grattacapi».

«E viene qui a controllare suo fratello perché lo trova un po' sprovveduto...»

Galatea si fermò a guardarla; il secchio traboccante pendeva all'altro capo della corda, ormai a metà della risalita. Il modo con cui la vicina aveva pronunciato le ultime parole l'aveva messa in allarme. Non sapeva cosa, di preciso, non le piacesse della sua affermazione, eppure un brivido le aveva percorso la schiena; e si fidava delle proprie reazioni istintive.

«Voglio dire, non mi pare che vostro marito sia molto incline alla vita pratica...» aggiunse l'altra quasi a scusarsi del tono di freddo giudizio. Il sorrisino imbarazzato servì da ciliegina sulla torta al maldestro tentativo di farsi perdonare e Galatea fece finta di cascarci.

«Oh, su questo avete ragione!» ammise con un risolino. «Mio marito ha la testa tra le nuvole, come tutti quelli che hanno studiato troppo e poi non sanno come si vive.»

Laura rise più sciolta e le posò una mano sulla spalla mentre lei riprendeva a girare la manovella. Il secchio venne alla luce ed entrambe si sporsero per afferrarne il manico e avvicinarlo al bordo; quindi travasarono il contenuto in due vasi di terracotta e tornarono, fianco a fianco, verso la porta.

«Comunque volevo dirvi le ultime nuove sulla Lucia», bisbigliò tra un passo e l'altro Laura Calabracchi. Galatea roteò gli occhi: ne aveva abbastanza dei pettegolezzi delle donne del paese, tutte angioletti di fronte con una lunga coda da diavolo nascosta dietro la schiena. Rimase ad ascoltarla per non risultare scortese.

«La nostra Lucia ha fame di uomini, ve lo dico io...» riprese. «Agnese l'altro giorno l'ha vista al porto a farsi corteggiare da un marinaio di quelli giovani e senza morale; gli faceva certe occhiate da donnaccia che l'Agnese non ha potuto restare a guardarli...»

E Galatea, da quell'indizio, intuì che era andata proprio al contrario e che Agnese, sempre pronta a vedere cosa facessero gli altri, non aspettava altro che godere dei fatti altrui.

«Immagino il suo disagio...» convenne per darle retta.

Laura annuì e: «Ieri invece l'ho vista io e non lontano da qui. Era insieme a un bell'uomo, credo un viaggiatore di passaggio. Li ho seguiti per un tratto, ma non apposta! Dovevo percorrere la loro medesima strada... E l'ho vista che se lo portava fin dentro l'androne di casa. Che cosa volete che abbiano fatto?»

«Spero solo non si metta nei guai, povera ragazza.»

«Non compatitela, eh!» saltò su lei, ritenendosi solo dopo. «Vedete, voi avete conosciuto vostro marito prima del matrimonio, ma siete stata giudiziosa e vi siete fatta sposare», disse per rimediare alla sbandata, quindi: «Quella sciagurata, lei no! Più uomini ha, più ne vuole ancora! E non temete per lei: qui muoiono solo le forestiere, quelle che seguono le navi... come quella dell'anno scorso, buon'anima... Buon'anima, sì! Ma chissà quante ne ha combinate prima...»

Galatea soprassedette ai continui scivoloni della vicina di casa: ogni rattoppo apriva una nuova falla nel suo discorso e la donna si trovava talmente impicciata tra pregiudizi e buona educazione da non riuscire a venirne a capo. Avrebbe volentieri inventato una scusa per salire rapidamente in casa, nonostante nemmeno là la aspettasse una situazione piacevole. Un pensiero, però, la spinse a rimanere, ad accettare le sue confidenze e ad approfondire quella questione dell'omicidio.

«Davvero non si sa chi fosse quella sventurata né da dove venisse?» sussurrò, sinceramente scossa al solo fare riferimento alla ragazza morta.

Laura negò categoricamente: «Non se ne sa nulla», e aggiunse: «Ma girò voce che venisse dalle montagne... Non saprei proprio dirvi chi abbia messo in giro questa diceria». Su questo sembrava essere sincera e Galatea decise di insistere: «E nessuno è venuto a cercarla?»

«Nessuno, nessuno. O forse... Mi ricordo che una volta Paolina mi disse di aver visto un uomo da quelle parti; le parti dove fu ritrovato il corpo, intendo. Era un marinaio e non credo fosse lì per lei, però andò proprio sulla spiaggetta dove la trovarono».

«Un marinaio, dite?» ripeté, quasi a convincersi di aver udito proprio ciò che voleva.

«Questa storia vi turba, cara Teresa?» domandò l'altra a quel punto, preoccupandosi. Galatea fece cenno di no e disse: «Non avevo mai sentito storie di questo genere prima d'ora... Forse sono solo in pensiero per Caterina, voi mi capite...»

«I soliti pensieri da mamme; certo che vi capisco. Ma dovete star quieta, non vi capiterà nulla perché non ve l'andate a cercare. Avete tutto quello che vi serve a casa vostra...»

E detto questo, Laura la salutò in fretta, ricordandole il rosario di quella sera. Galatea la ringraziò e si avviò verso le scale con un sapore amaro in bocca, un sapore che non si seppe spiegare.

Com'era solita, appena rientrata raccontò del marinaio a Ottavio e Ferraris, quindi, per scacciare i brutti pensieri, trasse dalla madia una focaccia e vi cosparse sopra un po' di miele. La addentò con piacere, gustandosi il contrasto tra il salato dell'impasto e la nota dolce del miele, poi sedette al tavolo contemplando il cielo azzurro al di là della finestra.

I due uomini erano diventati cupi all'udire la novità, ma ancora una volta la presenza di Galatea li distraeva. La sua indifferenza li indispettiva in senso positivo, attizzando nei loro animi un desiderio sempre maggiore. Ottavio, però, spaventato dalla reazione che lei aveva avuto al loro bacio, non osò ritentare un secondo approccio; Ferraris, invece, viveva come uno stimolo perverso il fatto che il marito della sua amata fosse presente e propendeva a pensare che assistere a un corteggiamento ai propri danni lo avrebbe riscosso dall'apatia: le cose, allora, si sarebbero fatte interessanti, oltreché rischiose.

Ferraris, dunque, si avvicinò alla sedia di Galatea e, dopo uno sguardo di sfida al marchese, sollevò la mano e le solleticò il collo lasciato scoperto dai capelli raccolti. Lei sorrise, gli occhi ancora persi nel cielo limpido, e gli afferrò il dito con cui la sfiorava; volse la testa, sicura di trovare Ottavio, e ristette a trovarsi faccia a faccia con Ferraris. Trasalì, si alzò in piedi, cercò smaniosamente suo marito e, quando lo ebbe trovato, sospirò sollevata. Ferraris, tuttavia, non si fece intimorire e posò l'altra mano sulla sua vita, dicendole: «Non siate in pena. Tutto si risolverà».

Ottavio, intanto, li aveva raggiunti per rivendicare la propria posizione; Ferraris, però, non si mosse, non diede a vedere di tenere in alcun conto la sua intromissione. Il marchese, per non lasciare spazio a dubbi, agì d'impulso frapponendosi tra i due e scansando l'importuno, non senza allungare il braccio attorno alle spalle di Galatea. Le baciò la fronte e sussurrò: «Se vuoi stare un po' tranquilla, conviene che andiamo in camera...»

Prima che lei potesse esprimersi, Ferraris arcuò il sopracciglio e attaccò subdolo: «Non credo che vi farà stare tranquilla, una volta in camera».

«Questo non vi riguarda, signore. Fatevi da parte», ribatté Ottavio, sempre più indisposto nei suoi confronti.

«Questo», lo scimmiottò Ferraris, «non vi gioverà a nulla.»

«Ma che cosa dite?!» sbottò il marchese. Si beccò un'occhiata davvero chiara, eloquente, cristallina: chiunque fosse stato al corrente del loro patto avrebbe letto senza difficoltà ciò che stava scritto nell'espressione di Ferraris. Perciò Ottavio comprese, mentre Galatea riferì sia l'osservazione sia l'espressione a se stessa e le ricevette come un segno di premura.

«Non ho granché voglia di stare in camera, ora», ammise infatti, abbassando gli occhi. Suo marito allentò la presa sulla sua spalla, si discostò un poco. Una voce, aspra e lontana, constatò: «Vedi, stupida ingenua? Lui non sarà disposto ad aspettare per sempre. Guarda, già ti sta lasciando andare. Sei sicura di voler lottare per lui?»

Galatea sospirò di nuovo, ancora più stanca, e si sentì colpevole.

«Tuttavia,» riprese la voce, «hai un'alternativa ed è proprio davanti a te.»

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