7 luglio 1676
Erano passati tre giorni di completo stallo: l'unica novità significativa era che Ferraris, tornando al porto, aveva scoperto che Toni Pertica avrebbe ripreso il mare il 16 luglio, dopo la festa patronale di Vallebruna, poiché aspettavano merci dai mercati circostanti, merci che tardavano ad arrivare. Questo diede una boccata d'aria alle ricerche e Ottavio, che fremeva dalla voglia di mettere Bastiano con le spalle al muro, si convinse che fosse necessario dilatare i tempi. Se i due fossero stati davvero in contatto, un interesse sospetto nei loro confronti avrebbe potuto mandare in fumo ogni tentativo di delineare in modo più chiaro la situazione.
Ferraris, da parte sua, abbracciò con entusiasmo l'altra missione che gli era affidata; dopotutto, i momenti di intimità con Galatea non gli mancavano né gli dispiacevano. Lei, però, a seguito di una prima, incipiente apertura, aveva preso a rifiutarlo. Non lo faceva in maniera manifesta per timore di risvegliare la gelosia di Ottavio, ma aveva assunto un comportamento molto misurato e, quando percepiva qualche attenzione di troppo, trovava qualsiasi scusa per uscire o per procurarsi la compagnia di una terza persona: una volta si era trattato di Ludovica, un'altra volta era andata ad attingere acqua per incontrarsi con la signora Calabracchi, un'altra ancora si era chiusa in camera con il pretesto di un mal di testa particolarmente fastidioso. Solo una volta, proprio la mattina del 7 luglio, aveva reagito con più spirito del solito, replicando con un sonoro schiaffo a una carezza impudica. Ferraris, in ogni caso, non si dava per vinto e sorrideva delle sue reazioni; soprattutto, non lasciava intendere a Ottavio le difficoltà che stava incontrando, consapevole che gli avrebbero dato una gran soddisfazione. Al contrario era capitato, talvolta, mentre erano soli, che si facesse scappare volutamente qualche allusione e stesse poi a guardare come avrebbe risposto il marito geloso: il più delle volte arrossiva e taceva, abbassava gli occhi, chiudeva i pugni. Il patto era piuttosto chiaro in merito a cosa si potesse o meno fare; Ferraris, semplicemente, era disposto a disobbedire e Ottavio lo immaginava, perciò non abbassava mai la guardia.
Entrambi si rendevano conto di quanto fosse anomala la loro condizione, ma sarebbero stati d'accordo nel dire che l'unico neo, l'unica pecca, fosse che Galatea ne era all'oscuro. Il marchese, da un lato, avvertiva disagio al pensiero di aver ceduto, anche se in parte, alle pretese dello spasimante, mentre lo spasimante avrebbe voluto ottenere di più; ma la consapevolezza di Galatea avrebbe cambiato tutto, avrebbe in un certo senso ratificato l'accordo.
«La stiamo trattando come un oggetto», sbottò all'improvviso Ottavio. Era mezzogiorno e sedevano al tavolo di un'osteria; avevano preferito incontrarsi lì quel giorno, forse perché erano entrambi premuti dalla necessità di parlare dell'affare. Ferraris, schiarendosi la voce, piegò la bocca in una smorfia di disappunto colpevole. «Lo credo anch'io», ammise.
«Ma non possiamo dirglielo. Ci ucciderebbe...» continuò il marchese, rigirandosi il bicchiere di terracotta tra le dita.
«Però io noto dei miglioramenti; ora vi guarda in modo diverso, vi si è pure seduta in braccio in più occasioni e non per forza in frangenti disperati come quello di due o tre sere fa... Vi cerca, lo vedete?»
«Certo che lo vedo, ma il problema resta lì. Come faccio a farla parlare, se lei tace?»
Ed era qui che Ferraris sapeva di dover dare la propria opera: era necessaria la rottura per far sgorgare tutto di fuori, ma il marchese non avrebbe mai accettato una simile mossa. Era inevitabile che il patto venisse disatteso; solo lui ne avrebbe pagato le amare conseguenze, a discapito di quello che si potesse pensare.
«Allora, non dite nulla?» lo incalzò Ottavio, trovandolo piuttosto silenzioso. Insospettito, si sporse sul tavolo e lo fissò dritto in viso: «A che cosa pensate? Devo pensar male di voi?»
Ferraris arcuò le sopracciglia e rispose ambiguo: «Sto facendo del mio meglio».
«In quale direzione, se posso saperlo?»
«In quella che immaginate, signore», ammiccò come a prenderlo in giro. Ottavio inspirò forte e scosse la testa, quindi aggiunse: «Non so cosa mi trattenga dal battervi qui, davanti a tutti».
«Vi trattiene la vostra intelligenza», disse con un sorriso sornione. «La stessa che vi dice di fidarvi di me oltre le apparenze.»
Ottavio ringhiò e prese un sorso di vino. «Fino a che punto vi siete spinto?»
«Non credo sia opportuno dirvelo.»
«E invece è proprio opportuno, eccome se lo è!»
Ferraris deglutì: mentire era il suo mestiere, ma la verità era la dea per cui metteva a rischio la testa ogni giorno. Sospirò e, premettendo di essere sincero, riferì: «Se mi passa vicino, io la tocco e resto a vedere come reagisce. All'inizio si sottraeva; ora mi schiaffeggia.»
Ottavio rise soddisfatto e Ferraris si sentì in dovere di dargli una lezione: «Vi faccio notare,» disse, «che, per quanto uno schiaffo sia uno schiaffo, è comunque un modo che lei usa per restituirmi il favore. In poche parole, se prima mi evitava, ora non mi evita più. Ci vuole poco perché le cose cambino, sapete?»
Il marchese tornò cupo, i denti stretti. «E a parole?»
«Mi spiace per voi, ma a parole non dice niente. Non dice di sì... ma non dice nemmeno di no...»
«Non osate burlarvi di me», minacciò, puntando l'indice.
Ferraris si rilassò: «E chi si burla di voi?» disse ancora, modulando la voce in maniera odiosa. «Voi avete domandato, voi avete insistito. Fosse stato per me, io non ve l'avrei detto.»
Ottavio si irrigidì di fronte al modo insolente con cui l'altro gli parlava, ma doveva ammettere a se stesso di essere stato curioso oltre i limiti dell'innocenza e di essersi andato a cercare la grana.
«Non c'è un altro modo di raggiungere il medesimo risultato?» chiese poi sottovoce, come sopraffatto dalla frustrazione. «Io temo che questo aggravi il suo stato, temo che si possa sentire derisa da noi, o peggio usata a nostro piacimento, che è proprio ciò che non deve accadere. Possibile che l'unico modo sia porla tra noi in un contesto del tutto immorale, in un triangolo che ha ben poco senso di esistere nelle nostre vite?»
Ferraris sospirò di nuovo, condividendo quella frustrazione che affievoliva la voce dell'altro, poi sorrise mestamente. «Non indovinereste mai quanti matrimoni ho salvato mettendomici in mezzo; all'insaputa di tutti, me compreso. Vedete, ci sono meccanismi tanto reconditi nell'essere umano che nemmeno i migliori filosofi e i migliori alchimisti potrebbero portare alla luce. Ed è meglio che rimangano nelle tenebre, per come la penso io. Eppure questi meccanismi vanno alimentati perché tutto l'organismo funzioni. Non sempre è necessario, ma a volte lo è. Galatea deve parlare di ciò che è successo, deve far muovere uno di quei meccanismi nascosti che si è fermato. Anzi, vi dico una cosa: se non interveniamo subito mettendo in moto una rotellina piccola, potrebbe darsi che tutto l'apparato si blocchi definitivamente e le conseguenze sarebbero imprevedibili.»
Ottavio scosse la testa. «Noi siamo fatti di tre sostanze: carne, anima e spirito. Non ci sono meccanismi nell'essere umano.»
«Allora ve la spiego in un altro modo: ciò che è accaduto ha agito essenzialmente sulla carne di vostra moglie. Volete negarlo?»
«No, ma...»
«So già cosa volete dire. Vorreste dire che soprattutto ha influito sulla sua anima, rendendola malinconica. Ma la medicina ci insegna che è questione di fluidi che il corpo produce. Anima e corpo lavorano insieme: senza l'uno, l'altro muore. Ciò che ha ferito il corpo di Galatea ha avuto conseguenze sulla sua anima. Non lasciate che il danno si propaghi al suo spirito.»
«Nel matrimonio l'adulterio è un peccato mortale tanto quanto quello che è accaduto.»
«Perché usate tutte queste perifrasi? Liberatevi voi per primo di questo peso che vi opprime, dite bene quella parola.»
Ottavio si morse le labbra e a stento bisbigliò: «Tanto quanto l'aborto».
«Grazie al Cielo! Dunque,» riprese, «ognuno reagisce a modo suo, perché il Padre ci ha formati diversamente. Io, per esempio, credo di aver sempre affrontato le difficoltà a viso aperto, perché così sono fatto. Vostra moglie, invece, rifiuta l'accaduto e voi, per il suo bene, l'avete rifiutato a vostra volta, credendo magari di farle un favore duro ma necessario.»
Il marchese cominciò a rimuginare su queste ultime frasi, mentre si faceva largo in lui il timore di aver assecondato un demone maligno che si era impossessato della donna amata. Non aveva saputo affrontare la tragedia e ora, a distanza di diversi mesi, sua moglie stava ancora precipitando: era qualcosa che travalicava il semplice capriccio di evitare l'amplesso. E se per troppo tempo lui l'aveva interpretato così, aveva imparato a leggere negli atteggiamenti di Galatea un desiderio imbrigliato dalla paura.
«Questo pomeriggio lavorerò a casa», affermò risoluto. «Robertone mi ha commissionato la revisione di un manoscritto e so per esperienza che il baccano della stamperia non mi aiuta. Vorreste, per cortesia...?»
Ferraris accennò di sì con la testa e, sollevando il bicchiere, simulò un brindisi: «Li porto via io, i bambini...»
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