10 luglio 1676 pt. 3
Attesero Ottavio per tutta la durata della sua pausa per il pranzo; alla fine, non vedendolo arrivare, consumarono un pasto veloce e si fermarono a chiacchierare. Ludovica poi, stanca dai giochi della mattina, chiese e ottenne di poter riposare un po' a letto; Giovannino, invece, si appisolò su una sedia. Galatea, a quel punto, domandò a Ferraris se volesse accompagnarla per alcune compere più tardi, ma lui negò senza addurre spiegazioni. Quindi, come se si fosse pentito di aver risposto in modo troppo secco, si offrì di andare da solo.
«Tu, intanto, pensa alla tua Melancolia», concluse, raggiungendola e baciandola sulla fronte. Quel pensiero, che aveva cercato di tenere lontano il più a lungo possibile, la rattristò ancora di più. Gli prese la mano, se la posò sulla guancia e, con sguardo estremamente languido, chiese: «Non vuoi aiutarmi?»
«Devi essere tu a prendere l'iniziativa. Hai tutte le doti che ti servono per riprendere il controllo della tua testa, perciò non devi temere. E poi sarà Ottavio a darti tutto il sostegno di cui hai bisogno. Parla un po' con lui, scommetto che avrete un sacco di cose da dirvi.»
Galatea storse il naso: non era la risposta che si aspettava di ricevere. L'idea di confidarsi con il marito, dopo le paure che Melancolia le aveva inculcato, non la faceva sentire a suo agio; e benché capisse che proprio questo non era altro che l'ennesimo asso nella manica della nemica, tuttavia era difficile rigettare ipotesi che, in superficie, parevano ben fondate.
«Se lui non volesse ascoltarmi? Se pensasse che sono tutte scuse?»
Fu Ferraris, ora, a fare una smorfia di incredulità piuttosto buffa. «Provaci e non arrenderti; non credere che sia facile. Mettiti nei suoi panni: non è facile nemmeno per lui, anzi, si sente così impotente di fronte a te...»
«Impotente? È così che si sente?» ripeté sarcastica. Ferraris mantenne un'espressione serissima, la fissò per un attimo, quindi insistette: «Lo stai giudicando per ciò che ti ha detto Melancolia; ma tu stessa hai ammesso che sia lei a volervi dividere, e perché? Perché insieme siete invincibili. Le difficoltà ci sono, certo! Ma potrete contrastarle quando farete fronte comune.»
Sbuffò di stizza, sorrise e scosse la testa: «Perché mi ostino a parlare come un soldato con te? Magari non ti è familiare il mio linguaggio...»
Galatea si impettì, sinceramente interessata, e lo pregò di continuare, al che lui riprese: «Gli alleati combattono fianco a fianco; se si dividono rimangono entrambi sconfitti. L'obiettivo è comune: perché non mettere insieme anche le forze, perché non unificare le strategie? Se il mio esercito ha un'ottima cavalleria, mentre i tuoi fanti marciano compatti come un solo corpo, perché non sfruttare le nostre potenzialità per trionfare?»
«Ultimamente mi è parso che i nostri obiettivi fossero completamente opposti», obiettò lei, impuntandosi.
«Vi siete mai parlati in modo franco e sincero?»
Di fronte al suo silenzio colpevole, Ferraris continuò a incalzarla: «Se il tuo alleato manda a monte il piano d'attacco perché s'inventa sul momento un altro schema, tu gli devi parlare il prima possibile: da un lato lui potrebbe aver ragione, dall'altro, qualora avesse torto, lo puoi fermare subito, prima che faccia danni. Tu hai parlato a Ottavio quando t'è parso che uscisse dalla rotta?»
«No, io non...»
«E se fossi tu a essere rimasta indietro sul piano? Il tuo alleato non ti abbandonerà, perché la tua perdita gli costerebbe più di una sconfitta insieme a te, a prescindere da come vada la battaglia.»
Galatea fremette, seccata dalle sue osservazioni perfettamente ragionevoli. Sul momento, balenò un pensiero tra i tanti: che fosse destino che le capitassero solo uomini saccenti, uomini convinti di poterla dominare dentro e fuori dal letto? Ma si arrestò nel bel mezzo di quel pensiero e attese. Era lei, era la Melancolia, che tentava di riportarla nelle proprie mani dopo che le era sfuggita. E allora realizzò quanto le parole di Ferraris fossero non solo ragionevoli, ma anche centrate sulla sua situazione.
«Ti scrivo una lista di ciò che mi serve», disse all'improvviso, cogliendolo impreparato. «Soprattutto pesce, lo mangeremo stasera; e un cesto nuovo, l'altro si è rotto. E questo, questo e quest'altro...»
Ferraris, senza aver proprio afferrato il senso di quanto lei stava facendo, non oppose obiezioni e uscì pochi minuti dopo con un foglietto pieno di note e la raccomandazione di fare una bella passeggiata. Aveva bisogno di meditare un po' da sola.
Di ritorno in stamperia, Ottavio cercò di non pensare a nulla. Camminò spedito sul sentiero che aveva percorso all'andata senza concedersi soste e, quando arrivò alla meta, dovette prendersi un momento per bere un po' d'acqua fresca.
«Siete rosso, dottore...» osservò Nicolò alzando fulmineo gli occhi dalla forma che stava componendo. Ottavio prese l'ultimo sorso dalla coppa e si schiarì la voce, poi si passò il braccio sulla fronte per asciugare il sudore. «Già, fa molto caldo oggi...» constatò ad occhi bassi, preferendo evitare di guardarlo. In quel mentre entrò anche Bastiano; mormorava la melodia di una canzone da taverna che Ottavio aveva udito pochi giorni prima dalle bocche di tre giovani ubriachi. Istintivamente gli diede le spalle, quasi volesse nascondersi da lui. Bastiano, che in fondo non era un tipo stupido, se ne accorse e si sentì ancor più del solito invitato a dargli fastidio. Gli si appressò da dietro, così da prenderlo di sorpresa e, quando fu pronto, lo colpì con una gomitata tra le scapole, facendolo incespicare in avanti.
«Sei impazzito?!» ringhiò, poi prese un respiro e si rimise all'opera: stava inumidendo i fogli che avrebbero messo al torchio, passaggio obbligato e delicato, da svolgere con attenzione. Bastiano avrebbe dovuto miscelare l'inchiostro nella vaschetta, invece incrociò le braccia e stette a guardare il collega.
«Siete strano oggi, dottore», disse, prendendosi il mento tra indice e pollice. Gli girò attorno scrutandolo da capo a piedi. «Avete un che di diverso, signore, ma non capisco cosa...»
Ottavio si diede una scrollata ai vestiti, mostrandosi oltremodo scocciato. Bastiano, però, non demorse: «Siete tranquillo, riposato... Non è che...» e, lasciando in sospeso la frase, fece un gesto molto eloquente con la mano. L'altro sbarrò gli occhi, sbuffò e si allontanò, diretto al torchio, con il primo foglio tra le dita.
«Oh, sì! Finalmente. Scommetto che nemmeno ricordavate com'era fatta...»
«Bastiano...» lo interruppe, ammansendo la voce e moderando l'atteggiamento di insofferenza. «Hai capito benissimo; ora, se non ti costa troppa fatica, stai zitto e lasciami in pace.»
«Be', raccontateci qualche cosa! Soprattutto al povero Nicolò, qui, che non la vede neanche pagando...»
Ottavio, osservando con quanta rapidità Bastiano cambiasse bersaglio per le sue frecciatine sessuali, concluse che si trattasse di un uomo frustrato dalla mancanza di una moglie che soddisfacesse puntualmente i suoi impulsi. Era una persona semplice, per nulla istruita, assolutamente non religiosa, con poche remore morali: il suo obiettivo, probabilmente, era distogliere l'attenzione degli altri dalla propria situazione prendendo di mira chi gli stava vicino e gli sembrava vivere in una condizione peggiore della sua. In quanto uomo ammogliato ma all'asciutto, per lungo tempo era stato lui la vittima favorita; ora che, almeno in apparenza, la sua sorte era migliorata, si era trovato fuori dalla portata del suo lancio. Nicolò, giovane e scapolo con una minima indipendenza economica, sarebbe stato il nuovo zimbello della stamperia.
«Fatti gli affari tuoi!» tuonò questi, svelando tutto il proprio disappunto. Bastiano rise e per tutto il pomeriggio si divertì a rigirare le solite allusioni contro il pivellino della bottega.
«Melancolia!»
L'eco si diffuse nell'oscurità senza riportare nessuna risposta. Galatea si guardò attorno, ma non vide nulla. Era immersa nel buio della propria mente da quando aveva chiuso gli occhi, ritrovandosi nella consueta atmosfera da incubo.
«Melancolia!» ripeté e il rimbombo la riempì come la navata di una chiesa deserta. Il suo cuore, al silenzio che seguì, tremò di spavento, ma gli incoraggiamenti di Ferraris non furono vani. Aspettò con pazienza che l'avversaria, smascherata, si palesasse. Le parve di aver aspettato un tempo infinito quando, all'improvviso, la voce maligna si insinuò nella sua testa.
«E così quel damerino da palazzo ti ha rivelato chi io sia...»
Galatea cercò di nuovo di scorgerla, ma desistette, non volendosi distrarre da ciò che era più importante: farla confessare e respingerla in un angolo della mente dove potesse rimanere inoffensiva.
«Sì, ora so chi sei. Non mi fai più paura.»
La voce tacque per un istante, dandole l'impressione di non aver nulla da replicare. Poi, con tono crescente, riprese: «Non ti sbarazzerai così di me. Ricordati che ho io il pugnale, io ti posso pungolare e posso annientare il tuo orgoglio in un battito di ciglia. Tu non hai armi da usare contro di me né modi per ricattarmi. Ora ti senti pervadere di forza, ma quanto durerà? Ottavio ormai ti ha abbandonato; Alessandro lo farà presto, non appena si sarà stancato di te. Lo sai, no?, che le sue avventure non durano mai abbastanza a lungo da poter parlare di amore. Non contenta di essere uno strumento di piacere per tuo marito, ecco che lo sei diventata per qualcun altro che tra poco ti spezzerà il cuore. Di nuovo».
Galatea scosse energicamente la testa: «Non ci cascherò un'altra volta», tagliò corto, ma la voce cominciava a mancarle. Quella, interpretandolo come il primo segno di cedimento, insistette: «Sai che andrà proprio così. E tu resterai con un marito che ti preme, dei bambini che ti assillano e un sogno d'amore che hai potuto solo sfiorare prima che si dileguasse. Si prepara per te una vita di delusioni, Galatea».
La vide: era davanti a lei, le braccia lungo i fianchi, con gli artigli all'estremità delle dita, lunghi e affilati. Incurante dei rischi, decise di andarle incontro; come aveva già detto, non le faceva più paura. Per quanto camminasse, però, l'altra rimaneva alla medesima distanza, senza progressi, perciò, quando ne ebbe preso atto, si fermò e le lanciò la sfida: «Se credi di avere tutto questo potere su di me, perché temi ancora di mostrarmi il tuo volto? Non ne hai uno? O pensi che facendo la misteriosa mi terrai a bada più facilmente? Hai visto: il tuo nome l'ho scoperto da sola. Non lasciare che io conosca la tua faccia per conto mio, perché potrebbe essere peggio per te».
La figura sussultò, riflettendo se accettare o meno. Galatea, ancora una volta, dovette attendere un tempo indefinito prima di vedersi esaudita. Eccola che si avvicinava a passo sicuro; in poche falcate colmò lo spazio che le divideva, avanzando a testa alta e ben ritta, benché il suo aspetto si rivelasse sempre più meschino.
L'oscurità le permise di celare i tratti del proprio volto fino a che non fu di fronte a lei: in quel momento Galatea si sentì mancare. Quasi si trovasse davanti a uno specchio, ma uno specchio deformante, si rivide di fronte a sé: Melancolia le rassomigliava in tutto, anzi, era lei stessa, ma con grandi, enormi differenze. Il corpo nudo era deperito, le spalle erano leggermente incurvate in avanti, le costole in rilievo sotto una pelle smunta, i seni cadenti e aridi, i fianchi e le cosce flaccidi. Nel viso, la sua gemella mostrava un incarnato pallido segnato da profonde occhiaie attorno a occhi rossi di pianto, labbra livide e denti anneriti. I capelli, invece che essere d'un bel colore castano vivace, erano secchi e spettinati e opachi. Più di tutto, però, la impressionarono le profonde ferite che costellavano l'esile corpicino già malridotto. Le venne istintivo di accarezzarle la guancia e la sentì ancora solcata dal sale di tante lacrime; un singhiozzo la fece trasalire.
«Chi ti ha conciato così?» domandò con un filo di voce.
«È tutto opera mia», rispose, con un malsano ghigno d'orgoglio. Galatea storse la bocca e negò in preda allo sbigottimento. «Non è possibile...» disse a fatica, indietreggiando.
«Non lo è, non lo è affatto. Come credi che possa avere il controllo su di te se non mortificandoti?» ribatté e, alzato un braccio, la colpì alla spalla sinistra. Galatea avvertì una fitta lancinante, urlò, si portò una mano sulla ferita e solo in ultimo piegò la testa per guardarsi: la pelle era intatta, senza alcuna traccia dell'attacco subito. Rialzò gli occhi e vide Melancolia sanguinare copiosamente dalla spalla sinistra, gemere e affliggersi. L'attacco era ricaduto su di lei, così come tutti i numerosi assalti precedenti: ogni volta in cui si era sentita sopraffatta dalla sua violenza verbale, Melancolia la feriva profondamente, ma tali ferite ricadevano su di lei in quanto riflesso del suo pensiero autolesionista. Fu allora che Galatea si rese pienamente conto del fatto che il malessere che si portava dentro da tanto tempo era qualcosa che lei stessa aveva creato: Melancolia era Galatea, la Galatea distrutta dal dolore che, invece di rialzarsi e superare il trauma, aveva deciso di rimuginarci su all'infinito, con l'unica conseguenza di ergere l'origine di ogni male sopra una spessa coltre di umiliazioni autoinflitte, così che, in un simile contesto, ciò che le era accaduto trovasse una sorta di legittimazione.
Melancolia si rialzò adirata più che mai: «Guarda come ti sei ridotta, Galatea. Sì, è opera tua, opera mia... Nostra. Tu sei quello che vedi di fronte a te: nessuno potrebbe amare qualcuno come me, non trovi? Ed è per questo che non sei amata, ma solo usata».
«Io sono molto amata», controbatté serrando i pugni. «E tu hai paura dell'amore che gli altri provano per me, temi che possano liberarmi dalla tua presenza.»
«Credi a questa bella favola, stupidina. Finora ho vinto io.» E il suono della sua voce, tremendamente familiare perché sua, fu l'ultima cosa che Galatea udì prima di riaprire gli occhi.
Ottavio prese un profondo respiro e suonò la campanella. Aveva continuato a ripetersi, passo dopo passo lungo la via, che non avrebbe dovuto rendere conto a nessuno delle proprie azioni; che non avrebbe dovuto essere nervoso, che non avrebbe dovuto cedere a vani pentimenti. Ciò che era stato era stato. E, in fondo, quanto era accaduto era davvero poca cosa, considerate le possibilità che gli si erano offerte; non aveva nulla per cui provare rimorso.
Ciononostante, quando Ferraris scese ad aprirgli la porta d'ingresso il suo volto, che si era affacciato con un sorriso amichevole, si incupì; le sopracciglia si aggrottarono e le parole di bentornato che era pronto a dirgli morirono sulle sue labbra appena socchiuse.
«Qualcosa non va? Non state bene?» domandò soltanto, e per giunta con aria abbastanza confusa. Ottavio non perse un momento, lo afferrò per il braccio e lo condusse fuori.
«Dove mi portate?» chiese ancora in un bisbiglio senza sapere cosa aspettarsi da un comportamento così insolito. L'altro non si preoccupò di rispondere, tirandosi dietro il compagno recalcitrante fino a un angolo appartato. Dietro quel riparo, una volta assicuratosi che nessuno fosse sufficientemente vicino da sentirli, gli mise le mani sulle spalle e rivelò in un soffio: «Sono andato al bordello oggi».
Ferraris sbalordì: la sorpresa fu tale da lasciarlo per un attimo senza parole, per cui l'unica cosa che riuscì a proferire fu un'esclamazione soffocata. Ottavio si aspettava qualcosa in più e sospirò abbattuto di fronte allo sconcerto dipinto sulla faccia dell'altro. Abbassò la testa e, ciondolando mollemente, si lasciò cadere spalle al muro contro la parete dietro di sé. Ferraris, nel frattempo, si era ripreso; la prima cosa che disse fu: «Voi in un bordello?» con un implicito accento di sarcasmo che gli colorò il viso. Poi aggiunse, più trafelato: «Come vi è venuto in mente di andare al bordello?!»
«Mi ha chiesto se avessi un'amante, ieri sera», ribatté Ottavio con astio. «Un'amante, capite? Io! L'ho accontentata, e in un certo senso ho accontentato anche me. E non mi aspetto una predica da voi; mi aspetto che mi aiutiate a non farglielo scoprire.»
«Così, se dovesse scoprirlo, dubiterà di entrambi. Ma perché l'avete fatto? Non siete il tipico frequentatore di bordelli, ve lo si legge in faccia che avete combinato una marachella; peggio di un bambino.»
Ottavio si spazientì e gli rinfacciò: «Sapete che cosa significhi totale astinenza per sei mesi? Sì, lo so che ho resistito più a lungo, in passato; ma questa volta è stato diverso. Ho vissuto accanto alla donna che amo e non ho potuto averla perché è chiaro che le avrei fatto del male! Ci sono andato per il suo bene, in fondo. Lei non vuole me, quindi, dopo tanto tempo, mi sono concesso uno sgarro.»
Ferraris, all'udire quel ragionamento, sbuffò divertito e pensò che, nella posizione in cui si trovava, non era certo la persona più adatta per fare la morale a nessuno; Ottavio, in un senso perverso ma comunemente accettato, si era preso il diritto di pagare con la stessa moneta il danno che aveva subito, benché a sua insaputa. Niente avrebbe potuto cambiare ciò che era accaduto. C'era una sola strada: affrontare il tutto con schiettezza e maturità maschile, senza inutili perbenismi.
«Perlomeno, ora state meglio? Vi è piaciuto? Vi confesso che da uomo vi capisco bene; l'importante è che vi abbia dato qualche beneficio...»
«Mi sento più leggero e lei è stata brava», ammise, tornando calmo. Ferraris annuì soddisfatto: «Poi mi racconterete...» e, dandogli una pacca sulla spalla, se lo portò vicino per sussurrargli all'orecchio: «Magari a corte potremmo organizzare qualche cosa di divertente, no?»
«Oh, via! Questa sarà l'unica volta che avrò mancato alla fedeltà coniugale...»
L'altro alzò un sopracciglio e: «Non intendevo coinvolgere donne estranee... Ne accennavo in una mia lettera, sono sicuro che comprendiate a cosa mi riferisco», ridacchiò impudente. Ottavio assunse un'espressione carica di livore e gli fece cenno di tornare difilato a casa; si avviarono insieme, fianco a fianco, complici silenziosi.
Quando furono sulla soglia di casa: «Sarà un segreto, Vostra Altezza», ribadì Ferraris, dando due colpetti all'uscio. Le sue parole suonarono ambigue, ma non ci fu tempo, per Ottavio, di chiedere chiarimenti. Galatea venne ad aprire e la sua aria festevole lo contagiò, facendolo ben sperare; allo stesso tempo, però, il sospetto cominciò a penetrare nel suo cuore.
***
Angolo Autrice
Ciao a tutti! Questo capitolo è frutto delle fatiche di oggi, tra mattina e pomeriggio. Non voglio perdere il ritmo di pubblicazione, quindi, finché riuscirò, lavorerò così. Se notate qualche aspetto che non va o non vi convince, non esitate a segnalarmelo!
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