Mors Medii


Titolo: Mors Medii

Autore: _ila_cali_

Elementi segreti: Foresta, Omicidio, Cittadina


Ce l'aveva fatta, dopo un'eternità il Conte Morax Serghei Žnidaršič aveva ottenuto la sua libertà. Questo aveva chiesto al Sommo come ricompensa per il servigio svolto; la gloria, la gratificazione e la possibilità di traversare il mondo corporeo, non riuscivano più ad appagarlo e lui non era certo uno che si accontentava.

La libertà equivaleva all'esilio e il Conte lo sapeva bene. La causa di quella richiesta era dovuta alla sua natura frivola e ingestibile che aveva sempre impedito la sua scalata al potere. Lui non era fatto peressere guidato e la sua natura non era abbastanza costante da poter guidare un gruppo.

Al termine dei sette giorni aveva eretto Lapĭs-Diaboli e non si era scomodato a tornare tra le file dei suoi simili. Un messaggero del Sommo poi, l'aveva cercato, trovandolo a girovagare nella foresta che circondava la cittadina eretta. Allora, aveva espresso il suo volere, rinnegando il suo casato e la sua natura, e di conseguenza rifiutando un qualunque beneficio di cui avrebbe potuto giovare per diritto di nascita. A lui non importava niente di tutto ciò; era uno spirito libero.

Questo aveva fatto per quei giorni, girovagato come uno spirito, un randagio senza padrone. Aveva provato noia, certo, ma ne aveva gioito, riposando le sue membra millenaria. Non si era nemmeno nutrito, ritirandosi nella quiete della foresta innevata e beandosi di quella tranquillità, disteso su di un ramo di una grossa quercia nata in mezzo alle acque di un lago.

La sua meritata libertà, composta da ozio e tedio, venne interrotta dalla giunta in città di una rumorosa e irritante compagnia nomade. Quegli stolti avevano raggiunto la cittadina e vi si erano stabiliti nei paraggi, tra gli alberi di quella stessa foresta.

Morax inizialmente ne rimase oltraggiato; la sua quiete era stata arrestata dallo scialbo vivere di quegli umani insignificanti. Esausto, decise di fare una visita al campo e terrorizzare quegli stolti, facendoli fuggire via, ma un languore, un desiderio di conoscenza si risvegliò in lui.

Percependo quel sentore di rosa canina, ibiscus e incenso tra l'umidità frizzante della neve, come un insetto attratto dal sole, lì, tra quelle tende tutte uguali, trovò senza sorprendersene ciò che stava cercando. Ogni singolo circo, con cui aveva avuto l'occasione di imbattersi, ne aveva una. Accusate e definite ciarlatane, meretrici e menzognere, quelle donne tutto erano tranne quello.

Gli umani non riuscivano mai ad accontentarsi di ciò che gli veniva rivelato: loro stolti e ignoranti pretendevano e cercavano risposte, ma poi, quando ne ricevevano, non le apprezzavano mai. Stupidi e superficiali denigravano il lavoro di quelle creature pure e superiori.

La diversità non era vista di buon occhio in quell'epoca nel piano corporeo, ma Morax le conosceva bene quelle creature. Quelle bocche di fata parlavano e ammaliavano con le loro parole come delle vere meretrici, ma non toccavo o sfioravano i corpi di chi chiedeva e desiderava, se non quelli dei morti. Creature eccezionali e incomprese, fragili, ma allo stesso tempo dotate di un potere che nessun vero umano poteva minimamente sognare.

Quel sentore asfissiante nell'aria poteva significare solo che si trattasse di una creatura molto forte e allo stesso tempo pericolosa. Il Conte doveva fare attenzione e non mostrarsi ostile, altrimenti, quella fame non sarebbe stata saziata. E anche se le risposte fossero state amare e acide, lui ne desiderava ardentemente il sapore sulla lingua. Desiderava provare e soffrire di quelle atroci parole soffiate da quelle labbra velenose.

E così, Morax richiamato da quella brutta malattia definita curiosità tra gli umani, si accinse a varcare quel tendaggio.

Rimase esterrefatto quando si ritrovò davanti agli occhi non quella creatura femminile e pericolosa che aveva immaginato, ma bensì, una piccola e innocente giovane che di donna non aveva ancora nemmeno le forme sviluppate. Con la sua minuta presenza e quel energia tracimante, riusciva a riempire quel spazio angusto che le era stato dedicato, senza calcolare l'enorme potenziale che celava quel minuscolo corpo.

Lei, piccola e insignificante, aveva sussultato nel rendersi conto della giunta dello straniero. L'uomo, dai lineamenti giovani e l'aria affascinate, sagace e curioso la osservava, studiando ogni suo minimo particolare senza soffermarsi su ciò che li circondava.

Ne rimase adulata per quelle attenzioni, ma dovette riconoscere che quel comportamento era strano; di tutti i clienti che riceveva da ormai ben due anni, tutti, uomini e donne nessun escluso, si erano sempre soffermati sugli amuleti pendenti che costellavano il soffitto, rendendo ancora più ristretta l'area, e su tutte quelle peculiari strumentazioni macabre e astruse che utilizzava per compiere il suo mestiere, mai su di lei.

«Oh signore! Mi avete spaventata!» sospirò la giovane, portando una mano al corpetto di velluto, sul piccolo cuore pulsante in tumulto.

La creatura femminile, troppo giovane, non aveva ancora la capacità di percepire e riconoscere la vera natura del Conte; lo scalpitio prorompente che proveniva da quel petto ancora acerbo lo confermava. Quella reazione face gongolare per un non nulla l'essere maligno, il quale gioiva eccitato nell'udire quei piccoli sospiri più accentuati di quelli che le labbra rosee della giovane avevano fino a poco prima spirato.

«Chiedo venia, Madam...», si scusò Morax, sospendendo la frase in bramosa attesa. Continuava a scrutarla, attendendo che quelle labbra già dischiuse si muovessero nuovamente per quietare la sua curiosità.

«Reychael, signore, potete nominarmi come Madam Raychael» rispose lei, inchinandosi in una piccola reverenza; nel mentre, delicata e incurante dello sguardo attento del giovane, carezzava la sua lunga gonna nera per sistemare quelle pieghe tediose che si erano venute a formare durante le ore passate seduta a dare risposte ai suoi clienti.

«Vi concedo il privilegio di appellarmi semplicemente come Morax, mia cara Reychael» rispose subitamente lui, prendendosi senza remore in primis quel privilegio appena concesso alla giovane. «Non sono un amante del galateo e dell'etichetta; le regole e la disciplina riescono incredibilmente a indispormi...» tentò di giustificarsi, con la verità celata della sua natura, difronte al finto oltraggio della giovane.

Lei, celere nascose quel suo sorrisetto ammiccante, con la mano mancina, che le era nato spontaneo per l'impertinenza dell'uomo.

«Me ne duole, Lord, ma l'etichetta me lo vieta», si scusò a sua volta, spostando lo sguardo imbarazzata. Un rossore accese le guance candide della giovane; non di certo dovuto al freddo inverno che imperversava all'esterno, convenne Morax.

Con un sorriso tirato, ma abbastanza realistico, con passi ben ponderati avanzò verso la tavola che stanziava al centro della tenda. Senza chiedere alcun permesso scostò la poltroncina in stile impero e si accomodò elegante su quel comodo trono. Portò le mani sui braccioli e a suo agio aderì la schiena al tessuto dell'imbottitura. Sollevò il mento e scrutò dall'alto in basso la giovane.

«E l'etichetta vi permette di rivelare il vostro vero nome, Reychael?» chiese lui piccato dalla soddisfazione negatagli per la risposta mancata. A lui piaceva giocare, ma unicamente nel caso in cui fosse lui stesso a dettare le regole.

Regale ostentava tutta la sua superiorità dovuta al suo lignaggio importante. Anche se esiliato il titolo di Conte non poteva essere ritirato e in quanto tale, doveva mantenere un certo rigore comportamentale, ma non perché gli fosse imposto dal suo grado, ma bensì dalla sua natura superiore e vanitosa. Lui, un narcisista e adulatore nato, adorava sentirsi riconosciuta la sua importanza ed eleganza.

Reychael nuovamente dovette riconoscere l'impertinenza dell'uomo, ma quella conversazione la divertiva talmente dal desiderare che non terminasse subitamente; quindi, seguì l'esempio dell'uomo si accomodò anche lei sull'alta poltroncina. Ne era sicura, di persone così affascinati in ben due anni non ne aveva mai incontrate e lei con il suo mestiere ne aveva conosciute delle più disparate. E poi, ne era certa, quell'uomo doveva essere altolocato e benestante: il suo modo di sedere, il suo lessico,la sua figura curata lo dimostravano, eclissando e scusando quella sua impertinenza che lo rendeva così affascinante agli occhi della giovane. Lei giovanissima e inesperta, si sentiva lusingata nel ricevere tutte quelle attenzioni.

Ma quell'aria regale che affascinava tanto Reychael non era altro che una mera facciata, sotto quelle vesti albergava immortalità, degenerazione e male puro che intrinsechi alimentavano quel guscio di carne e ossa.

«Oh... quello è un segreto signore e vi posso assicurare che non centri molto con l'etichetta, ma sospetto che voi siate già a conoscenza della motivazione» insinuò lei, portando lo sguardo alle ombresulle pareti della tenda, create dalle fiammelle delle candele poggiate ai lati del tavolo.

«E invece devo disilludervi, non sono così colto come credete in quest'arte» ammise fintamente,accennando con il capo alla tavola già imbandita e ordinata. «Vi chiedo quindi di illuminarmi, se possibile. Perché mai celare il nome di una così eterea creatura come voi?» domandò continuando ad adularla. Lui credeva, anzi, ne era convinto, con le lusinghe si poteva conquistare il mondo e forse, con un po' di fortuna anche una Medium.

«Voi mi lusingate, Lord, ma spero comprendiate. Mi è vietato dalla legge dell'occulto rivelare il mio nome. In questa tenda, per i miei clienti, sono semplicemente Madam Reychael, al servizio dell'occulto in cambio di denaro» rispose la giovane, osservando i lineamenti affilati dell'uomo e la pelle candida che contrastava con la folta chioma scura e disordinata. Si chiese quali fossero le sue origini e da dove provenisse; l'accento marcato non era certamente del luogo.

«Sapete, Madam, mi offendete considerandomi alla stregua di un vostro cliente» confesso Morax, arricciando di poco il labro superiore in una smorfia di disappunto e passando sul mento sbarbato le dita affusolate.

Reychael ridacchiò, trovando quel volto ora ancor più affascinante. Era più grande di lei, ne era certa, ma quell'espressione accigliata lo rassomigliava ad un bambino capriccioso.

«E cosa siete se non un cliente? Siete entrato di vostra spontanea volontà, guidato dalla curiosità e dalla conoscenza. Quindi ora contradditemi se quello che dico non è il vero» insinuò la fanciulla un po' velenosa, adagiando le mani sul ventre per trattenere le risate che, forti spingevano contro il bustino. Rideva lei, riusciva a divertirla e Morax se ne compiaceva, stava riuscendo nel suo intento, intrattenendola e distraendola solo con le parole.

«Bene, e ditemi, sapete anche il perché della mia giunta?»

«Cosa potrebbe mai volere un giovane uomo colto e celibe come voi da una sventurata fanciulla di basso ceto, se non conoscere il vostro futuro?» rispose ovvia. Non si doveva essere muniti di un forte acume per comprendere che gli unici coraggiosi ad addentrarsi in quella tenda potevano essere solo dei curiosi in cerca di risposte, e per quanto Reychael ammirasse l'uomo e potesse fantasticare su quell'incontro, degno di un romanzo, sapeva che quel Lord poteva essere lì solo per la stessa ragione degli altri, non di certo per lei.

Morax sorrise, questa volta per davvero. La fanciulla non era semplicemente stata al gioco, no, lei grazie all'inesperienza l'aveva creduto ed era caduta definitivamente nella sua trappola.

«Per quanto desideri negare, devo ammetterlo, voi avete ragione. Ditemi in che modo mi informerete del mio futuro?»

«Sapete, io provengo dalla lontana Romania e discendo da una lunga stirpe di gitani. La mia famiglia, le donne della mia famiglia posseggono un dono, noi possiamo leggere le mani.» rivelò lei avvicinandosi al tavolo e poggiando appena le mani sulla superficie.

«E ditemi, tutti questi oggetti promiscui che ci circondano in cosa li adoperate?» domandò Morax. Come un teatrante mentiva, continuando a condurre quel gioco.

«Oh... ci sono molti modi diversi per leggere il futuro, ma vi assicuro che la mia dote, la chiromanzia è sottovalutata. Permettetemi di mostrarmi il suo potenziale.»

«Bene!» proruppe lui entusiasta. C'era riuscito, non era stato cacciato e in poco tempo aveva raggiunto il suo scopo. «Leggete i miei palmi ve ne prego, la curiosità mi dilania» aggiunse protendendo i palmi verso la fanciulla. Con difficoltà trattenne un sorriso sornione; di li a poco sisarebbe nutrito.

Reychael in un primo istante restò sorpresa dell'entusiasmo mostrato dall'uomo; il suo comportamento poteva affascinarla, ma il suo forte sesto senso continuava a metterla in allerta. Deglutì e protese le sue di mani, con tocco delicato raccolse solo la mancina dell'uomo. Con i polpastrelli sfiorò le tre linee e tentò di leggerle, attendendo quella solita e consueta sensazione che in un bruciore freddo l'avrebbe pervasa, conducendola in quello stato di trance fatto di visioni e dolore.

Il Conte a quel contatto provò una leggera scarica che corse per l'intero arto sinistro, andando a bruciare in una scossa il suo petto. Stupito desiderò tirarsi indietro, ma si trattene, voglioso e affamato.

Reychael attese per istanti, ma la sensazione non sopraggiunse. A disagio increspò la fronte e vagò con lo sguardo sul palmo, tormentandosi le labbra con i denti. Per una qualche ragione l'uomo di frontea sé non aveva scaturito in lei nessuna reazione.

«E ditemi Reychael, cosa vedete? Come si prospetta il mio futuro? La vostra espressione mi fa premunire un pessimo presagio. Sto per morire?» domandò il Conte con un sorriso sornione sulle labbra.

La fanciulla distratta dal suo tormento, non si rese conto della piega derisoria che aveva preso il tono dell'uomo.

«Io vedo...» esitò, deglutendo a disagio, «vedo un futuro roseo per voi. Sposato con una bella donna rispettabile e con una prole di ben due figli: un maschio e una femmina. Una vita longeva e in saluta.» terminò, spirando a mezza voce. Con impeto serrò il palmo dell'uomo.

«Sono molto stanca, devo chiedervi di abbandonare questa tenda e lasciarmi riposare. Non mi sento molto bene, scusate» rivelò, per poi celare il suo sguardo al Conte e prendere le distanze.

Il sorriso di Morax sfiorì, come la fame e la voglia di importunare la fanciulla. Un crescente fastidio nacque nel suo essere, andando a gravare su quel groviglio di depravazione e male. Il suo intelletto non aveva colto, anzi, non volva cogliere cosa fosse accaduto. Lei aveva mentito, privandolo del suo nutrimento.

Rabbioso sollevò lo sguardo sulla giovane pronto a proferir parola, ma un luccichio sul petto candido, stretto nel corpetto, lo distrasse. Tra le lunghe ciocche more, celato ad uno sguardo disattento, intravide per un solo istante un qualcosa: un amuleto proteggeva il potere di quella creatura. Morax quella sera non si sarebbe nutrito; il suo lavoro certosino era stato inutile.

«Voi siete protetta...» ammise arresosi, «Mi chiedo, chi mai possa avervi fatto un dono di così tanto valore. Sicuramente un qualcuno che tiene molto a voi.» proferì, allontanandosi dal tavolo e arretrando verso l'uscita, senza mai distogliere lo sguardo dalla giovane. Doveva fare molta attenzione: così denutrito non sarebbe stato in grado di proteggersi.

«Voi...» spirò lei, comprendendo e irrigidendosi sull'attenti. La sua mano sinistra si strinse all'amuleto. Quell'uomo, o meglio, quella creatura l'aveva ingannata. Le era stato ripetuto più volte di non fidarsi degli estranei, di quelli belli e saggi e delle loro gentilezze.

«Andrò via.» Tentò di tranquillizzarla Morax, «Ma ho bisogno di farvi un'ultima domanda. Avevate compreso fin da subito la mia natura?»

Quella domanda non fu dettata dalla curiosità, ma bensì dall'ego dell'essere; il sentirsi ingannato dalla giovane feriva il suo orgoglio. Non ebbe il bisogno di ricevere una vera risposta: lo stupore dipinto sul volto della giovane e gli occhini neri umidi di lacrime, furono una rivelazione più che adeguata. Lei si era sentita tradita e illusa e lui aveva fatto un ottimo lavoro. Senza indugiare oltre, Morax si dissipò in una nube grigia, lasciando la giovane nella sua commiserazione. Entrambi impararono una lezione quel giorno: mai fidarsi delle apparenze.


Quella piccola meretrice aveva tentato di mentirgli. Tutto per rendere quello che restava della sua miserabile vita priva di pensieri, così da illuderlo e salvarlo dal tormento dell'eternità. Ne era rimasto compiaciuto e allo stesso tempo indignato. E per quanto non l'avesse più incontrata, evitando e malsopportando la presenza dei circensi, la fanciulla si era insinuata per mesi nella mente del Conte, torturando i suoi pensieri e rendendo inquieti i suoi sogni. La notte quando il mondo dormiva e lui tentava di meditare in quella tranquillità su quella quercia, che era divenuta la sua casa, percepiva nell'aria il dolce sentore di rosa canina, ibiscus e incenso.

Quella stessa notte, quel odore inconfondibile e riconducibile solo a lei, vagò nuovamente nel freddo inverno, fino a raggiungere il formidabile olfatto del Conte. L'irritazione fece increspare il volto pallido e quel consueto dolore, che infettava il suo corpo ogni notte, tornò violento e scalpitante. Quella insignificante creatura doveva avergli fatto qualcosa, ne era certo.

«Marchel? Marchel dove siete?» sentì gridare. Nell'udire quella voce inconfondibile Morax dischiuse le palpebre e le puntò sicuro su quella sagoma scura che vagava ai margini del lago. In un impeto di rabbia si dissolse nell'aria, materializzandosi alle spalle dalla figura minuta.

«Ve ne prego, lasciatevi trovare da me. Ho bisogno di parlarvi!» strillò ancora, «Il medico mi ha visitata quest'oggi, e...»

«Cosa fate qui? Non vi è stato insegnato a non girovagare tra i boschi dopo il tramonto?» domandò imperioso il Conte, con il risentimento nel tono. Raychael strillò spaventata e in un tremito si voltò verso l'uomo che la sovrastava, osservandola sdegnato.

«Sono alla ricerca di funghi!» si giustificò lei con una mano sul cuore.

«Di funghi?» ripeté incredulo alle sue orecchie il Conte.

«Sì, esattamente, di funghi!» puntualizzò lei cercando di asciugare le lacrime che rigavano i suoi zigomi rotondi. La fanciulla piangeva, soffriva per una qualche ragione.

«E ditemi, quale fungo è così forte da resistere al freddo inverno della Siberia? Sono curioso, spero almeno che ne valga la pena e che il suo sapore ripaghi la fatica.»

«Io... credo sia meglio andare, devo ritirarmi. Avete ragione, è pericoloso girovagare dopo il tramonto» asserì Raychael pronta a fuggire.

«Aspettate!» strillò Morax afferrando la fanciulla per un braccio. Lei d'istinto scrollato quel contatto e fece un passo indietro, ma il Conte repentino circondò la sua vita sottile, stringendola a sé. Scrutò attentamente, ad un soffio da quelle labbra rosse per il freddo, l'umidità che aveva segnato quel piccolo volto. «Cosa vi turba così tanto mia dolce creatura?» domandò curioso.

«La vostra presenza, signore!» ammise lei disgustata, portando le mani sul petto dell'uomo nel tentativo vano di allontanare quella vicinanza forzata.

«E perché mai dovreste temere la mia presenza? Vi ho forse dato riprova di poter attentare alla vostra vita?» Strinse ancor più la vita della fanciulla. Non doveva sfuggirgli adesso che l'aveva in pugno, avrebbe potuto mettere a tacere per sempre quello scombussolamento che perpetuo torturava il suo essere.

«No, ma voi siete un demone, in quanto tale è meglio tenervi distante» rivelò Raychael, picchiando i pugni serrati sul petto del Conte.

Morax scoppiò in una fragorosa risata a quel tentativo insignificante e vano di ribellione. Il tumulto melodioso del cuore della Medium accompagnò quelle risate, beando l'udito del Conte. Quella melodia si abbatteva tenace tra i loro corpi e i lamenti della giovane, ma una stonatura fievole rovinava quell'opera.

«Non agitatevi, il vostro cuore è in tumulto!» disse il demone con un ghigno malefico dipinto sul volto. La fanciulla sussultò alla vista delle multiple zanne, si dimenò ancor più terrorizzata di poc'anzi. «Che cosa nascondete, Madam? La causa non sarà forse proprio il vostro cuore, o meglio quello che risuona nel vostro ventre?» insinuò Morax con lo sguardo spiritato e il ghigno raddoppiato.

«Come fate a esserne a conoscenza?» domandò stupita Raychael, arrendendosi a quell'abbraccio. «Quando vi ho incontrato per la prima volta...»

«Non eravate gravida...» terminò il Conte. «Mi avete forse preso per una giumenta?» stridette la fanciulla oltraggiata e offesa.

«Beh... non ne siete molto lontana se vi siete lasciata toccare al di fuori del matrimonio» constatò il demone, avvicinandosi pericolosamente al petto candidò in tumulto.

«Come vi permettete?» Uno schiocco riempì l'aria notturna, mentre sul volto del demone, distorto da quell'affronto, una macchia livida nasceva. Il Conte sconvolto, ma allo stesso tempo divertito dalla forza della giovane, riportò in asse la mascella in uno scricchiolio macabro e sorrise perfido.

Quella creatura aveva del potenziale. Morax la scelse.  Aveva trovato gradevole quella fanciulla dal volto ancora infantile e giovane, ma con una determinazione ammirevole. E poi, l'imbarazzo e lo sconcerto nel comprendere la natura del demone, quel peccato che aveva macchiato la sua purezza e la sua integrità; tutti fattori che avevano eccitato e risvegliato l'essere millenario. Erano secoli che il demone non provava niente del genere. Una creatura così apparentemente insignificante era riuscita ad attirarlo e a impensierirlo. E così, alla fine si decise, l'avrebbe aiutata; meritava un posto migliore.

«Mi è bastato toccarvi» ammise il Conte, depositando lo sguardo sul volto sconvolto della fanciulla. «Sarò anche un demone, ma la mia razza non ha bisogno di praticare la chiromanzia per percepire la vita, e nel vostro ventre ve ne è una molto forte; ne sono certo, il vostro Marchel ne è la causa» soffio velenoso, aumentando la presa sull'esile vita.

«Smettetela!» lo supplicò la giovane, mentre lacrime di disperazione venivano versate. Quel demone aveva ragione, la vita che cresceva nel suo ventre era il frutto di un amore giovane: quello tra lei e Marchel.

«Vi siete lasciata abbindolare e ora siete rimasta sola. Il vostro Marchel è fuggito, ma io vi comprendo, sapete? Se non erro vi è vietato generare prole all'infuori del matrimonio, o la sventura si abbatterà su ogni vostro conoscente per generazioni.»

«Smettetela! State mentendo!» Tentò lei di zittire il demone. Quella voce grave si insinuava nella sua mente, soffiando in caldi refoli sulla pelle. Stava cecando di soggiogarla. Marchel sarebbe tornato e si sarebbero sposati: lui non poteva abbandonarla.

«No, voi state mentendo a voi stessa. La legge dell'occulto è chiara come le lacrime che state versando. Ma come dono della vostra benevolenza mostratami il giorno del nostro primo incontro, voglio sollevarvi da questo peso, voglio donarvi la libertà. Il vostro nome e quello della vostra famiglia non verrà macchiato da questo peccato e voi e la vita che cresce, giorno dopo giorno, nel vostro ventre non patirete più il dolore, anzi solo un immenso piacere.»

Raychael era finita in trappola: si era fatta catturare dalla morte, stretta tra le braccia di quel demone piacente, e dalla vita, sfiorata dalle mani di Marchel. Ora le toccava arrendersi, ma a quale delle due? Quale avrebbe prodotto la sofferenza minore?

«Accettate questo aiuto e lasciatevi toccare da me» la pregò viscido Morax, regalandole un casto bacio sul collo. «Nessuno può salvarvi se non io, nemmeno il vostro Marchel.» soffiò in un refolo bollente.

E si lasciò toccare Raychael, guidata dalla disperazione si lasciò sfiorare. Ogni più piccola parte del suo giovane corpo fu baciata, leccata e toccata dal demone che ingordo dopo mesi saziò la sua fame: prima sfogando i suoi desideri carnali tra le carni giovani della fanciulla e poi, tra il sangue della stessa con cui si dissetò e nutrì.

Morax osservò l'ultima goccia di sangue, che pigra colò dalle falangi munite di artigli e la leccò, mettendo fine a quel pasto. Dopo averla uccisa, si sentiva sazio e appagato.

Rifocillato e più forte attraversò le acque del lago, abbandonando il giaciglio di neve che aveva cullato quell'unione. Tornò a distendersi su quel ramo.

Di quella creatura alle fine ne rimasero solo le vesti lacere e sporche di sangue e di umori, e i sospiri di piacere che non avrebbero mai abbandonato la mente del demone; il tutto a ricordare quell'atto di benevolenza e quel sentimento astruso che per mesi aveva provato il demone, tormentato da quella cosa, che infine si rivelò come fame e niente più.


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