Cavapozzo


Titolo: Cavapozzo

Autore: @Frostales

Elementi segreti: Foresta, omicidio, cittadina


«Non dovrei essere qui.» Marina strinse forte il manico della borsa. Gli occhi scuri correvano in tutte le direzioni pur di evitare quelli dell'uomo seduto davanti a lei. Prese fiato per parlare ma dalle sue labbra non uscì nulla.

«Nessuno la obbliga, signorina. La porta è aperta, può andare via quando vuole» il poliziotto cercò di rassicurarla con un sorriso.

«E mi lascerebbe andare così? Non proverebbe a fermarmi?»

«È entrata di qui di sua volontà, è libera di andare allo stesso modo. Sono un poliziotto, non un carceriere, e lei non è stata arrestata.» le fece presente, la mano che tamburellava un motivetto familiare sulla superficie del tavolo posto tra loro. «Tuttavia non nego che preferirei sentire quello che ha da dire.»

«È complicato.» la donna incassò la testa tra le spalle, esalò un lungo respiro e solo allora intercettò lo sguardo dell'uomo. Aveva occhi azzurri così chiari da sembrare surreali, eppure il suo volto era amichevole. «Però vorrei riferire quello che ho visto.»

Annuendo il poliziotto recuperò un taccuino e una penna dal cassetto della scrivania e li pose con cura davanti a sé. «Si senta libera di parlare. Marina, giusto?»

Lei annuì e prese a mordicchiarsi le labbra. Per lunghi minuti regnò il silenzio. Davanti a lei il poliziotto riprese a battere il suo motivetto sull'angolo della scrivania.

«Ho saputo che state cercando dei testimoni per l'omicidio di Valentina Castanini.» gli occhi scuri di lei trovarono quelli azzurri e li accalappiarono con forza magnetica. «Io so qualcosa. Qualcosa che deve essere visto.»

« Cos'ha scoperto?» il poliziotto si sporse verso di lei così in fretta che il badge identificativo grattò contro il legno. «La prego, mi dica!»

«Venga con me.» lei si strinse la borsa al petto e spinse indietro la sedia, le gambe di metallo che grattavano il lucido pavimento della stanzetta. «Mi segua se vuole sapere.»

Afferrando il cappotto Marina raggiunse la porta. Come promesso lui non cercò di fermarla e la donna raggiunse l'ingresso della stazione di polizia senza che nessuno la degnasse di uno sguardo. L'aria fredda la colpì come un pugno quando varcò la porta a vetri e i rumori della città la travolsero impietosi.

La strada su cui sorgeva la stazione di polizia era molto trafficata, forse anche troppo. Era l'arteria principale di Cavapozzo, attraversata giorno e notte da grossi tir e pendolari che superavano la cittadina per raggiungere la zona industriale subito oltre la foresta. La puzza di smog era soffocante e Marina nascose il volto dietro la sciarpa prima di incamminarsi.

Non aveva percorso cento metri che un forte scalpiccio la costrinse a voltarsi. L'agente la raggiunse trafelato, la giacca infilata solo per metà e il fiato che si condensava in nuvolette davanti al volto.

«Faccia strada» la incitò, non appena riuscì a trovare il buco della manica e chiudere la cerniera fin sotto al naso. Con un cenno secco del capo lei gli indicò la direzione e si rimise in movimento.

Alla loro sinistra i palazzi bassi e tozzi sfilavano piano mentre il silenzio tra loro si faceva sempre più pesante. Marina avanzava a passo sicuro nonstante le scarpe col tacco le impedissero di muoversi in fretta, costringendo l'uomo a rallentare per non ritrovarsi a precederla. Alla fine fu lui a parlare per primo.

«Non c'è nulla che può dirmi intanto?»

«Se per lei va bene, potremmo iniziare dandoci del tu. Abbiamo davanti una lunga passeggiata, agente Michele Curfetti.»

«Come sa- scusa, come sai il mio nome?»

«L'ho letto sul badge.» lei gli scoccò un rapido sorriso, poi svoltò in una stradina secondaria.

Allora Michele comprese che aveva preso una scorciatoia per raggiungere il parco cittadino.

Lasciandosi alle spalle la confusione della strada i due sbucarono su un sentiero ricoperto di mattoni chiuso da un cancelletto arrugginito. Quando Marina lo aprì quello cigolò e si inclinò sui cardini, ma non appena furono passati tornò a chiudersi con un tonfo.

«Le fondamenta?» Michele aggrottò la fronte, iniziando a sospettare quale fosse la loro meta.

«Lì dove tutto è iniziato» la voce di Marina suonò quasi lugubre tra gli alberi spogli intorno a loro e un brivido involontario scosse il poliziotto da testa a piedi.

Le fondamenta erano il monumento più famoso di Cavapozzo oltre ai quattro campanili. Si trattava di ciò che era rimasto della prima casa che aveva dato origine al villaggio poi divenuto la cittadina in cui si trovavano.

Camminarono per una decina di minuti, superando un parco giochi a quell'ora vuoto e svariati sentieri che si perdevano tra gli alberi. Passeggiare tra quelle viuzze in estate era quasi magico. In quel momento, al contrario, bastò il gracchiare di una cornacchia per far trasalire il povero agente.

Davanti a loro, al centro di uno scavo nel terreno, apparvero finalmente le fondamenta della vecchia casupola, sopravvissute ai secoli insieme alla cornice della porta e a un misero pezzo di muro. Intorno allo scavo era stato costruito un piccolo recinto al quale, a intervalli regolari, erano appesi dei cartelli che raccontavano la storia di Cavapozzo.

«Una mano, agente?»

Richiamato dalla voce di Marina lui si voltò di scatto e vide che la donna, nonostante le scarpe scomode, aveva scavalcato la recinzione e stava scendendo verso il fondo della conca. Michele esitò.

«Oh, per piacere, non guardarmi così! Ti assicuro che è necessario per capire!» Marina gli sorrise e lui non riuscì a non ricambiare. Tese la mano per aiutarla e quando si toccarono scoprì che le dita di lei erano gelide.

Con attenzione i due scesero fino alle pietre macchiate dagli anni che costituivano le famose fondamenta.

«Non le avevo mai viste così da vicino.» ammise Michele, notando il muschio che si arrampicava lento ma inesorabile sulla costruzione.

«Le guide dicono sempre che è più interessante vederla da lontano, nel suo insieme. È per questo che nessuno se n'è mai accorto.» spiegò Marina, traballando sui tacchi fino a raggiungere l'angolo delle fondamenta.

«Accorto di cosa?»

«Dimmi, Michele, cosa sai delle fondamenta?»

«Quello che sanno tutti.» lui scrollò le spalle. «Secoli fa c'era una casa nel bosco. Una sola casetta che sorgeva vicino a un pozzo. Gli abitanti vivevano di quello che potevano coltivare e allevare da sé. Poi uno dei vassalli del feudatario della zona scoprì la cava di pietra sulle colline vicine e diede ordine di costruire una mulattiera in mezzo ai boschi. Durante i lavori trovarono la casa, e visto che il terreno era ottimo molti cavapietre decisero di stabilirsi qui a loro volta, per essere più vicini.»

Marina annuì compiaciuta, per poi aggiungere: «Negli anni abbatterono una grossa porzione della foresta, il pozzo si prosciugò e il grosso del centro abitato si spostò più a sud. Poi arrivò il decreto che impedì di procedere oltre con la deforestazione, creando quindi la divisione tra la ZAI e la città.»

«Ed eccoci qui» una risatina scappò dalle labbra di Michele, ancora impegnato a capire quale fosse la connessione tra le fondamenta e l'omicidio sul quale stava indagando. Certo, il corpo della donna era stato rinvenuto nella foresta, eppure gli sembrava un collegamento assai debole.

«In verità» Martina ignorò del tutto il suo commento, «nei secoli trascorsi dalla nascita di Cavapozzo si sono verificati altri eventi che un occhio attento potrebbe notare. E parte tutto da qui.»

Con un cenno la donna indicò un punto preciso sulle fondamenta. Michele dovette avvicinarsi parecchio, fin quasi a sfiorare col naso la pietra, per notare la presenza di un'incisione. Sembrava un cerchio, proprio sull'angolo della casa, metà su un lato della pietra e metà sull'altro.

«Esaminando gli altri angoli, tutti orientati con precisione verso un punto cardinale, è possibile trovare un simbolo identico su ognuno di essi.» così dicendo, Marina prese a frugare nella borsa e gli tese un foglio. «Ammetto di essere venuta qui in piena notte per poterne fare un calco, so di aver commesso una piccola infrazione, ma era fondamentale per poterlo sottoporre a un mio amico studioso, il quale ha riconosciuto il simbolo come un marchio di stregoneria.»

A quel punto Michele cominciò a capire perché la donna lo aveva trascinato fin lì. Fu costretto ad ammettere che se non lo avesse visto coi suoi occhi l'avrebbe di certo presa per pazza.

«Cosa stai insinuando?» cercò di capire. «Vuoi dirmi che c'è qualcosa di maligno qui? Tra il baracchino dello street food e le altalene per i bambini?»

Lei gli voltò le spalle con un volteggiare dei capelli neri. «Non voglio insinuare proprio nulla. Voglio mostrarti quello che ho scoperto e poi sarai tu a trarre le tue conclusioni.»

Con fatica la donna prese ad arrampicarsi di nuovo lungo il pendio e lui non mancò di raggiungerla, superarla con un paio di rapide falcate e aiutarla a risalire.

«Aspettami qui, per favore.» le chiese, per poi tornare a esaminare tutti gli angoli delle fondamenta.

Trovò il simbolo inciso con cura su tutti e quattro gli angoli, come aveva detto lei. Un paio erano più rovinati ma si leggevano ancora tutti alla perfezione. Dopo averli confrontati con il foglio, certo che non ci fosse possibilità di errore, tornò a raggiungerla.

«Pronto per il prossimo passo?» chiese Marina, la quale aveva ingannato l'attesa acconciando i capelli in una morbida treccia.

«Il prossimo?»

«Spero tu abbia una macchina a disposizione, agente.»

Marina non faceva altro che sorridergli. Era un sorriso pacato, piacevole, che sapeva di casa, di pace e tranquillità, eppure gli occhi di lei non smettevano mai di saettare da una parte all'altra. Cercava di mostrarsi rilassata, ma Michele aveva anni di esperienza alle spalle e aveva già visto quei segni. Sguardo nervoso, spalle contratte, mani in continuo movimento. La donna che aveva davanti stava facendo del suo meglio per nascondere la sua paura e fu proprio quello che lo convinse a dire sì. Tornarono alla stazione di polizia e la fece salire sulla volante..

Lei gli diede indicazioni e in poco tempo si trovarono davanti al più basso dei quattro campanili che svettavano tra le casette di Cavapozzo. Poi proseguirono verso il secondo, il terzo e anche il quarto, scovando all'angolo di ognuno di essi lo stesso simbolo che aveva marchiato le fondamenta.

Terminato il loro giro, Michele prese l'iniziativa e parcheggiò davanti a un fast food dove, solo con un vassoio di cibo davanti, trovò il coraggio di affrontare con Marina la conversazione chelo stava aspettando.

«Quindi la città è una sorta di strano centro spirituale dove si incrociano queste linee di magia che fanno... cosa?» trovò il coraggio di chiedere, uno sbaffo di maionese che gli macchiava la barba non fatta da giorni.

Marina gli passò un tovagliolo. «Ora che lo hai visto con i tuoi occhi, forse sarai più disposto a credermi. Anche io facevo fatica a crederci all'inizio.» stretta nel suo cappotto la donna rabbrividì. «Stavo facendo una passeggiata per il bosco. Lo so che non è saggio andare da soli ma non avevo nessuno che mi accompagnasse. Era ancora giorno, le tre del pomeriggio, e di colpo ho sentito delle urla. Sul momento ho pensato si trattasse di un animale, finché non ho sentito anche le urla di una donna.»

Michele inalò con forza. «Valentina Castanini!»

Marina annuì. «Io ho visto cosa l'ha uccisa. L'ho visto coi miei occhi e finché non ho scoperto dei simboli ero certa di essere impazzita. Quell'essere non era umano.»

Parlava sporgendosi sul tavolo, le dita bianche per la forza con cui si teneva aggrappata alla superficie, ma nonostante la sua disperazione, nonostante quello che avevano visto insieme, Michele storse il naso.

La donna si ritrasse di colpo. «Non mi credi. Dopo tutto quello che ti ho mostrato ancora non mi credi.»

«Ecco...» Michele si costrinse a scegliere le parole con cura. «Ci sono molti elementi del caso che avrebbero senso. Un omicidio così efferato non si vedeva da decenni-»

«Da cento anni.» la serietà con cui parlò lei lo fece esitare.

«Come lo sai?»

«Secondo lo studioso che ho consultato, quel simbolo fa riferimento a un evento che ricorre puntuale ogni cento anni.»

«Oh, sì. Certo. Beh, è così, tuttavia ci sono tanti modi in cui una vittima potrebbe essere smembrata con violenza e se il trauma di aver assistito a questa scena avesse agito sulla tua mente creando un falso ricordo allora questo spiegherebbe tutto.» concluse Michele, preparandosi alla scenata che era certo sarebbe arrivata.

Marina invece si limitò ad assottigliare le labbra, l'espressione ora gelida. «Avete trovato anche i segni sugli alberi?»

«Non c'era nessun segno sugli alberi.»

«Perché non sapevate dove guardare. Io ero lì, agente, l'ho visto coi miei occhi e se non mi credi allora sono anche disposta a tornare lì e indicarteli uno per uno.» un tremito le scosse la voce. «Ho visto quella cosa scappare sugli alberi una volta finito. Si aggrappava con- portatemi lì. Ve lo dimostrerò.»

Michele esitò. Ormai era certo che quella donna era la testimone che tanto avevano cercato. Avevano trovato le sue tracce nel bosco, ma non erano mai riusciti a identificarla.

Deciso ad andare in fondo alla faccenda tornò alla volante e, con lei seduta sul sedile posteriore, guidò fino al troppo familiare svincolo che portava tra i boschi, dove lasciò la macchina nel primo slargo disponibile. L'unico modo per raggiungere il luogo del delitto era seguire uno dei percorsi da trekking che lei affrontò stoicamente nonostante i tacchi.

Lo spiazzo tra gli alberi non fu difficile da trovare. Era ancora recintato dai nastri gialli della polizia e intorno a esso regnava un silenzio quasi irreale. In effetti, si rese conto Michele, non aveva sentito un solo suono da quando avevano lasciato la strada principale.

Al suo fianco avvertiva una strana sensazione, come se Marina stesse vibrando di un'energia a lui sconosciuta, eppure nonostante la paura che doveva avere in corpo fu lei a lasciarlo indietro.

«Ero lì.» fece, indicando una macchia di alberi e sottobosco abbastanza fitta da nascondere una persona. Proprio dove avevano trovato le tracce. «Mi sono sporta appena e ho visto cosa stava succedendo.» quindi passò sotto il nastro giallo e si portò al centro del perimetro delimitato. «L'ha aggredita qui. Le ha strappato un braccio a mani nude, agente, e lo ha gettato lontano.»

Ogni parola della donna corrispondeva a quello che avevano determinato le indagini. Il braccio era stato trovato dove lei aveva indicato, così come le gambe della vittima. Era stato proprio un bel macello.

«Poi la creatura si è mossa.» decisa, Marina avanzò fino a un albero dal tronco molto spesso e indicò verso la cima. «E lì ci sono i segni.»

«Dove?» Michele si avvicinò guardingo, assottigliando gli occhi. «Non vedo nulla.»

Spazientita, Marina lo afferrò per un braccio spostandolo fino al punto in cui era stata lei. Quindi tese il braccio da sopra la sua spalla e l'agente venne investito dal suo profumo con tanta forza che non fu facile concentrarsi.

«Lì, a circa due metri dal suolo.» prestando attenzione, dei segni di artigli erano ben visibili.

«Strano. Quale creatura potrebbe saltare fino a due metri con un solo balzo?» chiese lui, grattandosi la testa.

«Tu.»

Michele si voltò rapido, ma non abbastanza. Sentì il proiettile centrarlo in pieno petto prima che le sue orecchie registrassero lo sparo, vide il fumo levarsi dalla canna della pistola tra le mani di Marina e solo allora iniziò a sentire il dolore spandersi per tutto il suo essere.

Con un gemito che sul finale si trasformò in un ululato feroce il poliziotto prese a mutare. Era stato scoperto, non aveva senso continuare a fingere, e soprattutto quel proiettile faceva un male infernale.

«Argento» ringhiò, la voce che cambiava insieme a lui trasformandosi in un gorgoglio incomprensibile.

Le sue braccia e le sue gambe si allungarono, artigli lunghi e affilati presero il posto delle unghie e anche la forma della testa si allungò, le orecchie che crescevano fino ad assomigliare a quelle di un pipistrello. Il torso si gonfiò al punto di strappare la divisa e il naso rientrò nel teschio fino a trasformarsi in due fessure verticali. Davanti a lui, immobile con la pistola spianata, Marina attese che la trasformazione della creatura terminasse.

Solo allora gli piantò un altro proiettile in corpo, questa volta dritto in un occhio. Con un ultimo strillo selvaggio la creatura cadde a terra e rimase immobile.

Solo allora Marina si concesse di tirare un lungo respiro di sollievo. Estrasse il telefono dalla tasca e compose il numero con una certa difficoltà.

«Sì, sono io. Sì, avevi ragione, un maledetto Wendigo era arrivato fin qui in Italia.» mentre parlava si chinò sul corpo. La pelle stava già iniziando a polverizzarsi, presto non ne sarebbe rimasto più nulla. «Devi ringraziare il capo. La tecnologia fa davvero miracoli in questo secolo.» solo quando si lasciò alle spalle la visione grottesca si concesse una risata in risposta al suo interlocutore. «Certo che sarò lieta di collaborare di nuovo al mio prossimo risveglio. Cavapozzo è il mio territorio. Venite a cercarmi, sarò sempre alle fondamenta. Ci sentiamo tra cento anni.» e dopo aver gettato via il telefono si incamminò per il bosco.

Tutta presa a eliminare l'intruso, quell'anno non aveva ancora mangiato neanche un umano. Sorrise. Era ora di rimediare.

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