Verso l'ospedale

Jerome montò in macchina e attese che Robert sistemasse la sua carrozzina nel porta bagagli. Rimase fisso a guardare la sfera finché il mezzo non prese vita sotto di lui. La sera cominciava a farsi largo attorno a loro. Procedevano lentamente nell'oscurità. Molti lampioni erano saltati. I fari illuminavano a malapena a pochi metri davanti a loro. Le strade erano coperte di detriti e vetri e Robert doveva procedere praticamente a passo d'uomo.

- Devo confessare che sono stupito- aggiunse Robert dato il silenzio che perdurava.

-Per il fatto che mia moglie nonostante tutto abbia voluto salvarmi la vita? - fece lui con un mezzo sorrisetto abbassando lo sguardo.

-No, affatto. Per quanto complicato sia il vostro rapporto, lei rimane il padre dei suoi figli. Piuttosto sono stupito che lei le lasci campo- aggiunse.

-Perché mai? È brava. Lo è sempre stata. Se sta cercando di farmi dire che io sono stato più utile alla fisica di mia moglie non ci riuscirà. Nessuno le ha mai dato nulla perché era mia moglie. Semmai ha dovuto conquistarsi ogni posto con le unghie. Sa quante donne c'erano al CERN quando mia moglie è entrata? - chiese Jerome.

Robert scosse la testa. - Quattro, lei inclusa. Sa quante sono oggi? - aggiunse.

-Immagino molte di più. - aggiunse Robert.

-Più di cinquanta, inclusa la sua amata e bellissima Rachel. Nessuno immaginava che le donne potessero insegnare fisica e poi tornare a casa e allattare. Eravamo tutti miopi. Tutti ... Sa cosa le dico, hanno portato una ventata di aria fresca. Oggi sappiamo che se vogliamo eccellere dobbiamo darci da fare o loro ci sorpasseranno. Per quanto adori gareggiare con mia moglie, non lo farei se sapessi che uno dei due può davvero prevalere sull'altro. Toglierebbe tutto il divertimento, non le pare? - rise Jerome.

Robert annuì distratto. -Mi sembra preoccupato, tenente- aggiunse Jerome.

-Si, lo sono. È per quella bambina. Jasmine...- sorrise sovrappensiero. - L'ho lasciata sola durante la tempesta e non me lo perdono. E se le fosse capitato qualcosa all'ospedale? - confessò Robert.

-Lei non è padre, ma pensa come un padre- sospirò Jerome.

-Cosa intende dire? - fece Robert pensieroso.

-Se le cose non dovessero andare come... ehm speriamo tutti che vadano. Sarebbe triste non avere una famiglia attorno nel momento in cui questo mondo dovesse finire. Tutti meritano un abbraccio, agente- aggiunse Jerome sospirando.

- Sua moglie non ha promesso di raggiungerla prima del 23 aprile? - fece Robert confuso.

-Si, è così, ma io non stavo affatto parlando di me. Guardi sembra che l'ospedale sia tutto intero dopo tutto- disse Jerome. Poi il respiro gli morì in gola. La sagoma dell'ospedale completamente al buio risultava molto spettrale, come se fosse abbondonato: metà dell'ala est era crollata e l'intero cortile era coperto di rami

-Quasi tutto intero- aggiunse in un sussurro.

Robert entrò nel cancello accelerando, senza fiato. Le ruote slittarono, a fatica tenne il volante. Raggiunse faticosamente l'ingresso. Lasciò la macchina accesa e si precipitò nella struttura. Non si sentiva nemmeno un solo rumore. I vetri erano scoppiati e l'aria fredda penetrava dalle finestre. Avrebbe voluto urlare il nome di quella bambina, ma per qualche motivo non aveva fiato. Scese al piano sotterraneo, immaginando che avessero cercato rifugio lì. Procedeva nel buio, tenendosi alla ringhiera, tastando coi piedi i gradini. Era una situazione alienante, come se il mondo fosse stato risucchiato. Arrivato al livello più basso individuò una torcia che lanciava segnali altalenanti nel buio. Riuscì ad illuminare la stanza.

Molte persone erano a terra, ancora prive di sensi. Inclusi diversi infermieri. Si fermò davanti ad un malato. Dal colore del volto era chiaro che non era più lì. La macchina a cui era attaccato dava un lungo sibilo senza mai interruzione. Si gettò in fondo al corridoio spalancando una porta dietro l'altra. Si sentiva talmente in colpa per non aver portato Jasmine con lui. Lo attirarono un gruppo di bambini in un angolo. Sembravano come addormentati. Quando vide il suo viso rannicchiato nell'ombra, gli occhi girati all'indietro ebbe un sussulto. Corse senza fiato e la prese tra le braccia. La strinse a sè. Sentì il suo cuoricino battere a cento allora e si concesse un profondo respiro. Era viva. La tenne in braccio e la riportò al piano superiore verso la luce. I suoi occhi si erano ormai abituati all'oscurità e procedeva più velocemente. Jerome aveva aperto la portiera e si guardava attorno stupito. Robert aprì la portiera posteriore e accoccolò Jasmine sul sedile. Quindi si concesse un profondo respiro.

-Sono svenuti tutti giù, sua moglie aveva ragione- aggiunse Robert dopo un attimo. Jerome prese il polso della bambina e non disse altro.

-Lei sarebbe morto- disse invece Robert come parlasse tra sé e sé.

-Lo so. Lo sospettavo. Ora dovrà ascoltarmi. Vuole un consiglio? - disse Jerome inaspettatamente.

-Scarichi la mia sedia a rotelle. Prenda questa bambina con sé e torni al CERN. Anche se temo che la cupola non basterà per il 23 sono certo che sia comunque il posto più sicuro - aggiunse.

-Non deve far costruire una gabbia di Faraday qui? - chiese Robert pensieroso.

-È così. - ammise Jerome. - Allora l'aiuterò a farla costruire, poi prenderò Jasmine e andrò da Rachel- fece deciso Robert. Jerome allargò le braccia come per dire che era una sua decisione.

Jasmine cominciò a tossire. Robert si avvicinò a lei e le prese il volto tra le braccia. La bambina aprì lentamente gli occhi. Quando lo vide sorrise e lo abbracciò con le lacrime agli occhi.

-Sono tornato, Jasmine, adesso non ti lascio più, promesso- aggiunse Robert guadando fisso davanti a sé.

Jasmine indicò stupita il cielo fuori del finestrino. - Ci sono le stelle- aggiunse stupita. Robert annuì. Quanto tempo dera che non vedeva un cielo così sereno? Gli infermieri cominciavano a ripopolare la struttura. Una suora li guardava dall'ingresso sorridendo. Mezz'ora dopo, una volta appuratosi che Jasmine stesse bene, Robert scaricò la sedia a rotelle e aiutò Jerome a scendere. Il direttore non si fece attendere a lungo.

-Ben svegliato - fece Jerome ridendosela sotto i baffi. L'uomo aveva un colorito pessimo e gli occhi scavati. Scosse la testa guardandolo, poi spostò gli occhi sull'ospedale. Solo allora si accorse dell'ala mancante. Rimase fisso a guardarla con le mani nei capelli.

-Il 23 aprile sarà peggio- aggiunse Jerome. L'uomo lo guardò sconvolto. -Dov'è sua moglie? - chiese solo il medico.

- A cambiare la storia - fece Jerome schioccando le dita.

-Dovrebbe prendere antibiotici e antidolorifici con regolarità- gli ricordò il dottore.

- Ho smesso di combatterci molti anni fa. Quando non ce la farà, più verrà... Le ha promesso una gabbia di Faraday, ricorda? - alzò le spalle Jerome.

-Ha tutta la mia attenzione, ho perso più di dieci persone in questa tempesta- aggiunse inaspettatamente il medico.

-Lei è una persona intelligente- annuì colpito Jerome.

-Temo proprio di no o avrei dato ascolto prima a sua moglie- sospirò il medico.

-Le persone intelligenti sbagliano come tutti gli altri, solo che lo sanno riconoscere ... e imparano dai loro errori. Vede quelle bellissime stelle cadenti? Sono satelliti. La nostra atmosfera sta collassando e quando succederà ci saranno molte radiazioni qui fuori. Non come una bomba atomica, ma pesanti. Per allora dovremo essere al sicuro, sottoterra, in una gabbia di Faraday - spiegò Jerome.

-Quanto tempo abbiamo? - fece il medico spaventato.

- Cinque o sei giorni- annunciò Jerome.

-Non rimarrà molto dell'ospedale, vero? - chiese il medico allora.

-Credo non rimarrà molto del nostro mondo moderno. Finché il campo magnetico non si stabilizza, niente atmosfera, niente comunicazioni, niente energia elettrica se non per i generatori ancora carichi- sospirò Jerome

-Quindi niente macchinari? Tra Cinque giorni? - il medico lo guardò con terrore. Jerome annuì.

-E se qualcuno di queste persone sta male o peggiora? - aggiunse visto che il silenzio di Jerome perdurava. Jerome allargò le braccia.

-Al momento siamo nelle mani di Dio. Forse le sorelle possono fare più di noi scienziati- se la rise Jerome tra sé e sé.

-Lei crede? - fece stupito il medico.

- Ahimè no, pagherei per credere! In queste circostanze la fede è l'ultima risorsa che ci rimane per non cadere nella disperazione. Non per me, sia chiaro, più che altro per chi lascio su questa terra - sospirò Jerome.

-Sono bellissime però...- aggiunse solo il medico perso nel cielo.

-Si goda lo spettacolo, io vado a cercare cibo, la morte del mondo moderno mi fa venire fame- aggiunse Jerome rientrando a fatica nella struttura. Jasmine era con Robert nell'atrio. La suora aveva dato ai bambini un po' di cibo e acqua e lo stava distribuendo anche a molti altri malati.

-È tornato - disse la suora avvicinandosi a Robert.

-Se mi conoscesse meglio, non avrebbe avuto dubbi. Posso portarla con me? - chiese poi Robert alla suora.

-Normalmente le direi assolutamente no, ma data la situazione, se la bambina è felice di stare con lei penso che ognuno dovrebbe stare con le persone che ci fanno stare meglio- aggiunse la suora lanciando un'occhiata preoccupato alla notte fonda.

-Questi bambini non sanno nemmeno più se è giorno o notte- sospirò la suora.

-Credo che dovremo riposare tutti-rispose Robert. La suora annuì. Robert prese la bambina in braccio e la portò in macchina. Si mise seduto sul sedile posteriore e Jasmine si accoccolò addosso a lui.

-Il mio papà e la mia mamma sono nel cielo? - disse Jasmine senza preavviso. Robert non poté trattenere le lacrime, la strinse a sé.

-Sono sicuro che ti stanno salutando da lassù- aggiunse con un filo di voce.



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