Al supermercato
Robert si svegliò nel rumore della pioggia, un lento regolare ticchettio. Ogni tanto un tuono rimbombava. A parte quel rumore non c'era nulla. Aprì gli occhi lentamente. Sentiva un peso sul cuore, era stordito, spaventato. Puntò le mani a terra, tossì. Vide la gamba inerte del suo collega la scosse fortemente. Aveva la bocca impastata. – Javier! - uscì quasi un sussurro. Il ragazzo diede uno scatto, i suo occhi neri si aprirono . Gli tremavano le mani.
– Stai bene?- chiese Robert.
–Sì capo- aggiunse.
Robert scosse la testa:- niente gradi oggi – aggiunse con un sospiro. Poi si tirò verso la ragazza. Un rivolo di sangue gli usciva dalla bocca. Era pallida , immobile. La toccò. Le sue mani si ritrassero. Era come se fosse di porcellana, come se fosse finta, un manichino. Ma non era possibile! Non serviva un medico legale per sapere che non doveva essere morta da molto. E poi perché era morta? Non aveva ferite visibili.
–Oddio, oddio- Javier rinculò. Il primo morto non si scorda mai. Questo Robert lo sapeva bene. Fece un bel respiro e si alzò. I vetri erano in frantumi. Si tolse alcuni frammenti che si erano conficcati nella sua gamba.
–Va tutto bene Javier, adesso cerchiamo se ci sono persone ferite da aiutare, ok? - lo incoraggiò Robert. In qualche modo non gli dispiaceva essere lì con lui invece che con un collega più anziano. Avere quel ragazzo lì, lo obbligava a non crollare. Si spinse contro la cassa e si alzò. Le sue gambe erano rigide, i muscoli contratti, quasi avesse fatto una maratona, ma aveva corso poco più di 100 metri in un parcheggio. Quando si rizzò in piedi completamente quasi gli mancarono le forze, afferrò la cassa e inspirò profondamente. Tutti i neon del supermercato erano franati a terra. Il pensiero di quanta gente fosse lì sotto lo amareggiò. Aveva sbagliato? Erano giù al sicuro in auto? Non lo sapeva più. I tubi, le corsie: era tutto stato scaraventato a terra, tutto nel posto sbagliato. Il soffitto era innaturalmente spoglio, come quello di un capannone vuoto.
Ciò che subito non aveva notato, ma che ora lo colpiva di più era il buio. Nel parcheggio nemmeno un lampione era acceso, c'erano automobili che fumavano e radi bagliori che la pioggia stava man mano spegnendo. E nel supermercato le uniche luci che funzionavano era qualche neon di emergenza che si accendeva e spegneva ad intermittenza sopra le porte metalliche spalancate dal vento.
–Perché è buio? - chiese Javier alzandosi a sua volta.
–Forse è il temporale- aggiunse Robert con poca convinzione. Fece uno o due piegamenti sulle ginocchia. Gli fecero male , ma piano piano il dolore sciamò , come se i suoi arti si sciogliessero. Javier stava studiando il suo braccio destro: un vetro conficcato per metà. Ogni volta che lo toccava tremava.
–Dici che dovrei toglierlo?- chiese indeciso. Si vedeva che lottava per non piangere. Robert fissò il suo viso pallido alle luce intermittenti. Doveva essere completamente sotto shock se non urlava dal male . Meglio fare in fretta. Prese con entrambe le mani il frammento e lo estrasse. Javier urlò di dolore contraendo il braccio.
–È passato- aggiunse Robert gettando a terra il pezzo di vetro e dando a Javier una pacca sulla spalla. –Vieni- gli fece cenno di seguirlo lungo una corsia. C'erano molti prodotti a terra, alcune persone cominciavano a muoversi, altre invece rimanevano inerti a terra. Robert riconobbe la signora che aveva aiutato prima era rannicchiata contro una corsia, il viso in una posizione innaturale, le mani raccolte sul petto.
– Credi che abbia sofferto? - aggiunse Javier.
–Non credo che abbia avuto molto tempo, come tutti noi. Spero di aver fatto la cosa giusta Javier- aggiunse Robert.
–Nel parcheggio le auto sono tutte nere- aggiunse Javier come per scusarlo. Robert si voltò perplesso. –Anche se c'è poca luce la vernice riflette, ma le macchine sono tutte bruciate, senti questo odore! - spiegò Javier.
–Hai ragione- rifletté a voce alta. Quanto impiegava la pioggia a spegnere un auto? Nella sua testa frullavano tutte domande e nessuna risposta, comunque meglio lì che in quel parcheggio, si convinse.
–Sei un buon osservatore, Javier- si complimentò poi.
–Mio zio ha un concessionario- si giustificò arrossendo leggermente. Robert gli sorrise. In fondo alla corsia sentirono un lamento.
–E' una bambina- disse indicandola Robert. Si avvicinarono. Era nascosta sotto uno scatolone. La bocca piena di cioccolato il volto rigato dalle lacrime.
– Ehi, piccola, come ti chiami?- chiese Robert chinandosi.
–Dov'è tua madre?- aggiunse. La bambina scosse la testa. Non sembrava originaria di Ginevra, aveva il volto scuro e gli occhi neri come quelli di Javier. Robert allungò la mano. La bambina non si mosse.
–Vieni, ti va se cerchiamo altro cioccolato? - aggiunse Robert sorridendole. La bimba gli mostrò la tavoletta che aveva già in mano. Almeno lo capiva.
– Me ne dai un morso? - chiese poi Robert. La bimba scosse la testa, ma non si mosse. Poi Javier gli indicò nel buio una mano dietro la spalla della bambina.
–Signora, signora mi sente?- Robert entrò anche lui in quell'angusto spazio. Quando toccò quella mano chiuse gli occhi. La bambina non smetteva di fissarlo. Robert allungò la mano verso di lei. La bambina si voltò indietro.
-Ti va se andiamo a cercare un dottore per la mamma?- chiese poi. La bimba lo guardò più decisa. Annuì con la testa e prese la sua mano. Come faceva a spiegarle che non c'era nessun dottore? Come faceva a spiegarle che sua mamma non avrebbe più aperto gli occhi? Javier aiutò la bimba ad uscire, aveva un orologino colorato al polso con sopra la faccia di Dora l'esploratrice.
–Bello il tuo orologio- disse Javier cercando di portarla lontana dalla madre e di distrarla. La bimba si allungò verso di lui come a farglielo vedere. L'orologio era spento. Rotto.
–Tu hai l'orologio Robert? - chiese Javier.
-Sì, certo- disse uscendo. Per quella donna non c'era nulla che potessero fare. Robert si guardò il polso.
–Si è rotto, non ci voleva, era di mio padre questo orologio, era analogico, non come quelli finti che vendono oggi- sbuffò. Javier nascose il suo dietro la schiena imbarazzato.
–Sono tutti spenti... è strano- aggiunse.
–Anche quello della bambina- indicò il suo braccino orgoglioso.
– Rachel, la mia compagna, certamente ti saprebbe rispondere, ma io sinceramente non ti so spiegare il perché. Ci sarà un motivo- alzò le spalle Robert.
–Signora, aspetti, la aiuto- Javier scattò verso una signora che stava tentando di alzarsi. La bambina li seguiva passo dopo passo. Forse si era sbagliato: dopo tutto Javier ci sapeva fare con le persone! Robert passò nell'altra corsia. Si avvicinò ad un uomo col cappello sulla cinquantina. Cos'era successo lì dentro?
–È ancora vivo, dobbiamo chiamare i soccorsi- aggiunse.
–Il cellulare non va- riportò Javier. –E' fritto, come l'orologio-
-Vado a cercare la volante, forse la radio ha ripreso a funzionare- aggiunse. –Tu raduna le persone lontano da oggetti pericolosi, cerca qualcuno che ti aiuti a sgomberare una corsia. – aggiunse correndo verso l'uscita. Javier annuì. Robert si fermò sulla porta. Improvvisamente sentì la sua mano stringersi. Guardò verso terra. Si inginocchiò per avere la faccia della bambina davanti agli occhi.
- Tesoro devi stare dentro, non è sicuro qui. Ti prego, torno subito- insistette. Eppure la bambina non toglieva lo sguardo dal parcheggio.
– Papà era in macchina con Giglio- disse all'improvviso la bambina indicando il parcheggio.
–Ok, vuoi che lo cerchiamo? - chiese molto preoccupato. La bimba annuì contenta. Robert la prese in braccio. –Chi è Giglio?- aggiunse Robert scavalcando una carcassa di un spartitraffico.
-Un coniglio- aggiunse. – Però non mangia le carote perché è di pezza- aggiunse la bimba.
– La mamma dice che i conigli veri sporcano e che non possono stare a letto con me, ma Giglio è bravo, lui non sporca mai- aggiunse poi.
-Bene – sorrise Robert. –Quanti anni hai tesoro?- chiese contento che gli parlasse.
-Quattro- fece con le dita. Che tragedia pensò Robert. Che speranza aveva di ritrovare l'auto di suo padre in quel parcheggio? Cosa le avrebbe detto poi?
– Come ti chiami?- chiese soltanto
-Yasmin- disse la bimba strofinandosi gli occhi.
– E' un bellissimo nome. Yasmin, di che colore era l'auto di tuo padre? La vedi? - aggiunse Robert fermandosi incerto sulla direzione da prendere.
–Era rossa. Queste sono tutte nere. Chi ha spento il sole?- chiese con un innocenza che gli strappò l'anima.
–Non lo so, Yasmin- In quel parcheggio c'era una terribile puzza di benzina bruciata, molti pali a terra che avevano divelto auto. Robert faceva fatica a respirare.
–La mamma dice che se si prende la cioccolata bisogna dare i soldi alla cassiera, se no ti portano in prigione. Tu mi porterai in prigione? - chiese ritirando fuori la cioccolata dalla tasca.
–Per stavolta chiuderemo un occhio- sorrise Robert. Attraversò le corsie di uscita e si diresse deciso verso la sua auto, ferma in mezzo alla strada nella corsia che si dirigeva verso nord. Quando vi fu davanti rimase immobile, sconcertato. Il cofano dell'auto era aperto, spalancato. La portiera che aveva lasciata aperta era ancora lì. L'auto aveva perso il suo colore completamente. Nessuna traccia delle strisce arancioni sui fianchi. Le scritte erano completamente sbiadite o scomparse. Non era nemmeno sicuro che fosse la sua auto. Appoggiò a terra la bambina.
E ora ? Come faceva a chiamare aiuto? Sarebbero morti anche loro se fossero rimasti lì. Bruciati vivi? Non avrebbero trovato nessun Giglio coniglio in quel parcheggio. Le gambe gli franarono a terra. La bimba lo guardava senza capire. La pioggia ricominciò a cadere. Quanta gente era rimasta in quelle auto? Quanta gente non era riuscito a salvare? Strinse Yasmin a sé. La bimba si coprì la testa col cappuccio. Il gesto lo fece sorridere. Era così piena di vita quella bambina. Non poteva crollare. Non ancora. Si alzò in piedi. Risalì sul marciapiede. Vide dall'altra parte della strada un officina. –Vieni Yasmin- la prese per mano e attraversarono quel fiume di auto annerite. Il portone dell'officina sembrava avesse retto il colpo. Diede un calcio alla porta laterale ed entrarono.
-C'è qualcuno?- gridò Robert.
–E' buio qui- aggiunse Yasmin.
-Non ti preoccupare- le disse. Le tre auto nel capanno erano danneggiate, ma rispetto alle auto fuori erano in ottimo stato. Improvvisamente sentì la sagoma della pistola pesargli sul fianco. Si portò vicino alla porta dell'ufficio. La spalancò. Vide un uomo e una donna, a terra, i volte tumefatti di sangue, coperti dagli strumenti del loro stesso lavoro. Spinse indietro Yasmin mettendole una mano davanti agli occhi.
–Aspettami fuori Yasmin- disse. Yasmin fece un passo indietro. Lui sorpassò i cadaveri. Sentì il polso ad ognuno. Freddi, immobili. Vide un quadro con le chiavi delle auto, si precipitò. Gli tremavano le mani. Non piaceva nemmeno a lui quel posto. Le afferrò tutte rigirandole in mano per cercare di capire quale apparteneva ad ogni auto. Studiò fuori dall'ufficio le marche selle tre auto. Il SUV era senz'altro la prima scelta. Decise di prenderle comunque tutte piuttosto che dover tornare in quell'ufficio. Stava per uscire quando guardò sopra alla propria testa. C'era un orologio digitale. Segnava le ore 2.15 . Piena notte? Non poteva essersi fermato a quell'ora.
Erano circa le 18.30 quando avevano lasciato l'auto. Forse era fermo da giorni. Uscì da quel piccolo ufficio e raggiunse Yasmin sulla porta , lo guardava con gli occhi lucidi.
–Adesso guardiamo se riusciamo a far partire un'auto- pigiò sulla chiave del SUV, ma non si aprì. Provò direttamente con la chiave. Il SUV stavolta brillò e si aprì. Aiutò la bambina a salire dietro. Poi si avviò verso il sedile anteriore , ma la portiera era incrinata. Montò dal sedile del passeggero a fianco e si calò sul sedile del guidatore. La bimba si guardava intorno colpita.
–La macchina del papà è più piccola di questa- annunciò. Quella bambina era troppo piccola per la cintura, ma non sapeva come altro fare. Robert mise in moto. Avviò l'auto. Protestò un po', ma poi si mise in moto.
–Reggiti forte- Disse infilandosi in un'apertura laterale del capannone che era stata divelta dal vento. Calpestarono il portellone e uscirono dal garage. La bimba gridava di felicità. Passò sopra al marciapiede e poi riuscì in qualche modo a tagliare per il campo dirigendosi verso il parcheggio. Presero la rampa di ingresso che era deserta. Spianò il mezzo. Era a metano. Aveva abbastanza carburante. Si sentì fortunato. Si arrestò davanti all'ingresso. Scese dall'auto. Javier era davanti all'ingresso a discutere con un paio di uomini.
-Ecco il mio collega- annunciò . I due uomini annuirono, ma le loro facce si spensero quando videro quella di Robert. –Niente radio, tutte le auto qui fuori sono bruciate, ho trovato questa. L'unica speranza per portare questa gente in ospedale è avvertirli, ma senza cellulari non è possibile- riportò Robert.
-Tutto il traffico è bloccato da auto bruciate, come pensa che possano arrivare qui delle ambulanze?- protestò l'uomo.
-Io sono medico- annunciò l'altro uomo. –Mi chiamo Josef-
–Per fortuna, Josef, le sono grato per tutto l'aiuto che potrà darci. Come siamo messi là dentro?- chiese Robert stringendogli la mano.
-Ci sono venti morti almeno e dieci persone ferite gravemente , altre poco gravemente , ma non so se sono in grado di camminare, non con questa pioggia- disse alzando gli occhi verso il cielo.
-In tutto parliamo di un centinaio di persone, non ho altro che una cassetta per il pronto soccorso e non so quanto tempo impiegherebbe un'ambulanza per arrivare qui – scosse la testa.
–La mia clinica è a dieci chilometri da qui verso nord. Se riesce ad arrivarci, agente, potrebbe caricare il SUV di medicinali di emergenza e qualcuno degli infermieri. Se sono in grado, insomma. – faceva fatica a deglutire.
-Mi sembra un'ottima idea, Josef- Robert gli mise una mano sulla spalla.
–Lei come si chiama? - Si rivolse all'altro uomo.
-Francis, sono pompiere in pensione, se posso aiutarla in qualche modo lo faccio volentieri- si offrì con un sincero sorriso. -Tenga ci sono due macchine nell'hangar a 100 metri da qui. Può provare a vedere se una parte e seguirmi?- chiese . L'uomo annuì. Javier prese la terza chiave.
-Vi accompagno all'hangar- aggiunse invitandoli a salire.
Aspettò che salissero poi prese Joseph da parte. – Come sono morti?- chiese.
–Infarto , la maggior parte. –
-Per la paura?- chiese stupito Robert.
–Non credo, non tutti erano anziani- sospirò Joseph.
-Tutte le ferite e i traumi che vedo nei vivi , sa a cosa sono riconducibili di solito?- chiese Joseph. Robert scosse la testa.
–A chi è stato colpito da un fulmine, lei non ha i muscoli intorpiditi agente?- gli chiese il medico.
-Molto- confessò Robert.
- Quell'onda, lei pensa che possa essere come un fulmine?- continuò Robert. Voleva capire.
-Una scarica elettrica di dimensioni colossali, sì, a quel voltaggio è come se il cuore fosse stato defibrillato- aggiunse.
–Quali sono altri sintomi?- chiese timoroso Robert accecato da un lampo in lontananza vide la bambina agitarsi sul sedile posteriore.
-Perdita di sensibilità, bruciature sulla pelle, perdita di memoria a breve termine, stato confusionale, fame chimica - Joseph indicò la bambina con la cioccolata in mano. Robert invece si stava guardando le braccia.
-Non è solo il nostro cuore che ha subito il danno, una scarica del genere equivale ad un elettro shock- aggiunse Joseph scuotendo la testa. –Solitamente ci vogliono ore per tornare coscienti-
-Quante ore ? – chiese Robert tornando a squadrarlo .
-Almeno 2 o 3 ore , dipende da quanto era grossa la scossa che abbiamo subito- ipotizzò Joseph. Robert guardò uno dei morti.
– Si sta chiedendo perché sono già in rigor mortis, vero?- annuì Joseph seguendo il suo sguardo. -Dipende anche dalle condizioni atmosferiche , ma io credo che siano passate più di tre ore. – aggiunse il medico.
–L'orologio analogico nell'officina segnava le 2.15 – sussurrò Robert.
-Andate là a prendere le auto, controlli se si è mosso... se lei ha ragione sono passate almeno 8 ore. – aggiunse.
-Scusi, Joseph , lei mi sta dicendo che tutte le persone, tutti gli uomini, qui , non possono ricordare nulla dal momento dell'onda ad adesso. E' come un buco?- rispose sorpreso.
-Un buco nel tempo, se vuole definirlo così. Un buco nella vita di tutti. Questo è il danno a breve termine. I danni cerebrali a medio e lungo termine dell'elettroshock sono molteplici, agente. Stia attento: ogni persona reagisce in modo diverso, alcuni sembrano stare bene poi crollano, fisicamente o psichicamente. Se non ci avesse portati qui dentro non ci sarebbero venti morti, ma molti di più, questo edificio è di cemento armato, ha attenuato di molto la scarica elettrica- aggiunse. Robert annuì:- starò attento- Poi lo salutò e montò in auto.
-Cosa ha detto? - fece Javier vedendo il suo volto.
– E' più grave di quanto pensassi, diamoci da fare- aggiunse mettendo in moto. Yasmin stava offrendo al pompiere un po' di cioccolato.
-In che caserma lavorava?- chiese Robert.
–Ho lavorato per più di vent'anni al CERN- confessò Francis. Robert lo studiò curioso nello specchietto retrovisore. Stimò che avesse all'incirca mezzo secolo , la fronte stempiata e i capelli bianchi e le rughe non riuscivano del tutto a nascondere la forza che doveva aver avuto da giovane.
–Deve averne viste delle belle!- sorrise Robert all'idea.
–Oh sì, quegli scienziati non si annoiano di certo, ma in realtà è raro che succedano grossi problemi. Mai visto niente del genere- aggiunse sospirando.
-Credo che nessuno abbia mai visto niente del genere. E' sicuro di sentirsela di guidare?- chiese Robert. Francis annuì . Quella bambina gli ricordava sua nipote, anche se fisicamente erano molto diverse. Si chiese dove fossero in questo momento. Lui non ne aveva nessuna idea. Doveva essere un giorno normale, un noioso e normalissimo giorno in cui lui viveva la sua noiosa e normalissima vita , nella sua casetta tanto amata. Da quando sua moglie era morta di cancro , tre anni prima, c'erano stati moltissimi giorni noiosi e soli. Tutti tranne quelli che passava con sua nipote Adeline.
–Sono un pompiere, agente, e tale mi considererò fino alla fine dei miei giorni. Le assicuro che posso guidare. E che posso fare anche molto altro, tutto quello di cui c'è bisogno. - annuì Francis sicuro.
–Perfetto, eccoci- aggiunse Robert accostando di fianco all'hangar. Javier scese per primo. Seguito a ruota da Francis. Robert non si mosse e la bimba tirò giù il finestrino per buttare la carta a terra. Robert alzò gli occhi al cielo, ma si morse la lingua per non dire nulla. Non voleva pensare male dei suoi genitori , visto la fine che avevano fatto. Si disse tra sé e sé che un giorno non avrebbe trascurato nulla nell'insegnare ai suoi figli come stare al mondo, nemmeno una carta buttata a terra. Sempre se avesse avuto dei figli. Sempre se lui e Rachel fossero vissuti abbastanza. Rachel: aveva scacciato quel pensiero per tutto il tempo da quando si era svegliato. Ora non riuscì più a nasconderlo. Passarono diversi minuti poi Javier tornò Indietro.
– Una delle due macchine è andata, l'altra il signor Francis è riuscito ad avviarla- disse soltanto.
-Ok, vai con lui e seguitemi- aggiunse Robert. Javier annuì e coprendo la testa con la giacca di servizio tornò verso il capanno. Robert aspettò di vedere i fari dell'auto uscire quindi si diresse in retro marcia verso la strada.
–Dove andiamo?- chiese Yasmin.
–A cercare dei dottori, Yasmin- aggiunse Robert.
–Voglio un'altra cioccolata- annunciò la bambina. Alla faccia della fame chimica pensò Robert. –Adesso ho bisogno che ti siedi sul sedile e te ne stai buona, buona- aggiunse ingranando la marcia. La bimba si girò di lato facendogli il muso. Il suo comportamento lo fece imbestialire. I bambini non erano una passeggiata, chissà come se ne era dimenticato, nel tempo. Accelerò nella corsia. Era contromano ma le altre auto erano ferme. Ogni incrocio si fermava per capire se rispondeva alle indicazioni del medico. Ad un certo punto si bloccò , la strada era piena di auto anche in quella direzione. Scartò in una laterale , Francis lo seguì senza problemi. Era ancora in forma quell'uomo.
Quando arrivò in procinto della clinica quasi la mancò. Non era abituato a vedere un luogo come quello completamente al buio. Arrivarono nel parcheggio, era pieno di auto nello stesso stato di quelle del supermercato, continuò fino ad arrivare all'edificio principale e parcheggiò l'auto su un fianco della struttura vicino all'uscita.
-Su, Yasmin, vieni- la invitò a scendere. La bimba aveva ancora il muso. –Hanno sicuramente la cioccolata qui- mentì Robert. La bambina si illuminò all'istante. Aveva vinto. Era solo un capriccio? Non sembrava importarle molto. Entrarono, Javier lo seguiva dietro di lui a pochi passi. Rimasero entrambi a bocca aperta nell'atrio davanti a quell'orologio. Segnava che mancavano dieci minuti alle 3.00 di notte. Javier indicò l'orologio.
–Come ti ho detto è un gran casino- annuì Robert.
–Il medico aveva ragione, siamo rimasti tutti svenuti per quasi 8 ore, per questo i cadaveri erano già in rigor mortis. – sospirò Robert. Javier non riusciva a parlare.
–E' notte ora? Notte fonda?- aggiunse incredulo. Robert non gli rispose, non sapeva cosa altro dirgli ancora, entrò nell'atrio principale del pronto soccorso. La clinica era in subbuglio. C'erano persone dappertutto, nei corridoio, in ogni angolo. Un infermiera vide la bambina e si fermò. –Signore, la bambina è sua figlia?- chiese .
– No, sono un agente. Può dare un occhiata alla bambina se sta bene?- chiese .
–Certo, la porto su in pediatria – annuì l'infermiera.
–Yasmin, vai con questa signora- poi si rivolse alla bimba.
-No, non voglio, voglio stare con te- protestò lei.
-Io devo fare delle cose adesso. La gente ha bisogno di me, tu qui sei al sicuro, verrò presto, appena ho finito vengo a prenderti, ok?- aggiunse Robert.
L'infermiera lo guardò stranita, si avvicinò a Javier. – I genitori?- chiese.
– Sua madre è morta con l'onda, le abbiamo trovate abbracciate, il padre era in un parcheggio in un'auto e non sappiamo...- descrisse Javier cercando il termine giusto. C'era davvero speranza di trovare qualcuno vivo da quel rogo?
-Non serve che mi dica altro – lo interruppe l'infermiera.
–Si chiama Yasmin- aggiunse Robert verso l'infermiera che si era avvicinata con un bel sorriso.
– Vieni Yasmin, ti porto su dagli altri bambini- le disse prendedola per mano. La bimba la seguì perplessa . Era arrivata a quasi dieci passi quando tornò indietro stampo un bacio in faccia a Robert.
-Torno dopo a prenderti- le disse, Yasmin annuì e poi corse vicino alla donna. La donna le indicò la strada e le disse di chiamare l'ascensore. L'infermiera fece segno a Robert di avvicinarsi.
–Non faccia promesse che non ha intenzione di mantenere- aggiunse lapidaria prima di seguire la bambina in ascensore. Robert rimase pietrificato.
–Sembra si sia affezionata quella bambina- Javier parlò.
–Abbiamo altro a cui pensare ora, dobbiamo trovare il responsabile qui dentro e capire cosa è successo- annunciò Robert deciso fermandosi a metà del corridoio.
-Se vuole posso dirglielo io- una voce tagliente lo fece girare verso una barella. Robert si girò verso l'uomo in barella . Stimò avesse più di sessant'anni, il viso abbronzato e pieno di rughe, in quella vestaglia scolorita sembrava un vecchio qualunque . Aveva una flebo al braccio e un monitor che seguiva ogni battito del suo cuore. La faccia di Robert non poté che tradire la sua perplessità. Forse era solo un vecchio pazzo.
-Oh, andiamo, non mi guardi così, non sono stupido, so benissimo quello che sembro. Ok, Il mio cuore sembra aver deciso che non era ancora la mia ora, ho cercato di spiegarlo alla signorina, ma evidentemente non aveva molto altro da fare.- protestò l'uomo.
-Se la tengono in osservazione ci sarà un motivo, signor? - chiese Robert scettico.
-Ogni tanto salta un paio di battiti, ok, ma non sono fuso. Ho sperato che l'onda elettromagnetica mi uccidesse, questo lo confesso. – disse l'uomo abbassando il tono della voce.
-Onda elettromagnetica? - Javier pendeva dalle sue labbra.
–Non hai studiato a scuola ragazzo? - rispose piccato l'uomo. Robert era perplesso. Non gli sembrava più un vecchio rincitrullito: forse era un professore.
-Chi è lei?- ripeté la domanda Robert.
-Jerome Montreux, ricercatore del CERN e professore, ho all'attivo almeno 150 pubblicazioni e anche se lo studio dei campi elettromagnetici non è la mia branca le posso assicurare che ne so più di tutta la gente di questo ospedale su che cosa è successo - ripose quindi Jerome impaziente.
Quel nome colpì Robert come una frusta. Quello che aveva davanti era l'uomo di cui Rachel gli aveva parlato? Gli sembrava di aver vissuto quella scena in una vita precedente invece era stato solo la sera prima.
–Andiamo Javier- ordinò gelido dirigendosi verso l'ufficio del direttore. Provò un irritazione quasi fisica per quell'uomo, avrebbe potuto dargli un destro in piena faccia. Ora capiva la sua arroganza. Conosceva fin troppo bene quel tipo di uomini. Non si davano mai la colpa di nulla, non ammettevano mai nulla: era tempo perso stare a parlare con lui. Avrebbe solo sfoggiato i suoi titoli accademici e usato incomprensibili termini sapendo benissimo che lui o Javier non li avrebbero capiti. Intravide il direttore nell'ufficio, la porta semi aperta. Bussò. Il direttore gli fece segno di entrare.
-Ehi , aspetti! – protestò Jerome. Ma l'agente lo ignorò apertamente. Rimase solo su quel letto, in un corridoio d'ospedale. Respirò a fondo. L'aveva ignorato, palesemente. Perché? Non era nemmeno più credibile? Che ne sapeva quell'uomo di scienza? Che ne sapeva della sua orribile situazione? L'infermiera l'aveva legato al lettino perché aveva tentato di alzarsi due volte. Voltò la faccia verso il muro e pianse. Non voleva stare lì. Non voleva vivere, forse. Aveva troppa paura. Svegliarsi era stata la parte più orribile di quell'orribile notte. Svegliarsi e scoprire di respirare ancora, di essere ancora .
Era tanto più facile ammettere di aver fallito ed andarsene dignitosamente da questo universo. Come una delle tante sfortunate vittime di un onda elettromagnetica di dimensioni enormi che aveva investito mezza Europa. Aveva passato quasi un'ora ad immaginare il proprio elogio funebre sul giornale del CERN . "Stimato professore e ricercatore è rimasto fulminato dall'onda mentre si trovava nella sua casa di Ginevra. Il signor Montreux lascia una moglie, due figli, tre nipoti. Aveva concluso il suo insegnamento da poco più di due mesi per dedicarsi alla vita privata. La comunità scientifica intera piange la dipartita di uno dei più illustri fisici subatomici dell'ultimo secolo. Negli anni ha partecipato a diversi team e prestato le sue preziose energie mentali alle scoperte più importanti del secolo come la rilevazione del Bosone di Higgs."
Continuava a modificare leggermente l'articolo nella sua testa. La parte che lo lasciava più perplesso era sempre la stessa "lascia una moglie" ... La comunità scientifica poteva anche sentire la sua mancanza, ma non è che gli importasse più di tanto. Ma sua moglie? Quando erano finiti gli esperimenti sul Bosone si era accorto di quanto fosse stanco di quella vita, dei calcoli, del caffè a tutte le ore del giorno e della notte. Si era accorto di non avere più vent'anni o le energie necessarie. Era stato un onore chiudere la sua carriera partecipando a quel team , ma ormai c'erano fisici molto più giovani ed in gamba di lui. L'esperienza era sempre utile, ma la sua mente era ogni giorno più lenta , come un treno a vapore che perde ogni giorno un km/h . E aveva lottato perché i suoi colleghi non se ne accorgessero, ma ormai per stare dietro al suo lavoro impiegava quasi il doppio delle ore che impiegava da giovane. Era troppo stanco, troppo vecchio. Alla fine si era arreso.
Monique, la sua ultima compagna, d'altronde non aveva resistito al Bosone di Higgs, anche se non aveva osato raccontarlo a Federica. Rivide i suoi splendidi fianchi strizzati in quel completo . I capelli spettinati. – Io non ne posso più della stupida scienza! - aveva gridato con le lacrime agli occhi, il rimmel colato su quelle bellissime e giovani guance. "La vita è crudele bambina": aveva pensato, ma aveva solo provato a giurarle che era l'ultimo grosso esperimento, che avrebbero potuto viaggiare insieme, che le avrebbe portata in tutti i posti che voleva. A Monique quella promessa non era bastata. Forse era lei ad avere un amente? Uno più giovane di lui? Si asciugò le lacrime. Alla fine aveva scoperto che Monique non gli mancava affatto. Era stata una rivelazione per lui.
Era andato in pensione e non l'aveva richiamata e quel viaggio che le aveva promesso l'aveva fatto da solo, per schiarirsi le idee. Era tornato a casa con un piano molto preciso: tentare il tutto per tutto con sua moglie. Peccato che arrivato a casa aveva trovato nella casetta della posta le carte del divorzio. Quella era stata la goccia che l'aveva fatto traboccare. Più di Monique, più della pensione. Il Bosone era stata l'ultimo contributo decente che aveva dato a questo mondo. Almeno l'aveva portato a termine. Si massaggiò il braccio vicino alla flebo. Era tutto un livido. Si stropiccio gli occhi imponendosi di smetterla di piangere come un bambino.
Sarebbe morto da solo in un corridoio d'ospedale. Federica aveva ragione . Come sempre. E non le erano mai serviti i fianchi di Monique o le sue guance per tenerlo in pugno. C'erano state molte donne nella sua vita eppure per anni era rimasto folgorato da Federica. Tra lui e Federica non era solo una cosa "fisica" o "piacevole". E ricordarlo gli faceva più male. Perché lei se ne era andata a Bruxelles e lui aveva deciso di non rincorrerla, aveva solo seguito i suoi ormoni. E la caduta era stata fatale ed irreversibile. Forse quel poliziotto aveva ragione. Era un vecchio stupido pieno di sé in un letto d'ospedale... e che aveva mentito. Non sapeva davvero cosa era successo. Federica invece l'avrebbe saputo presto e lui ne era certo. Sempre se era ancora viva. Un dolore al petto lo straziò. Sembrava che volesse aprirsi in due. Si alzò di scatto per cercare aiuto e vide in lontananza l'agente annuire fuori dall'ufficio del direttore.
-Posso lasciarle l'auto dopo aver portato i medicinali, è abbastanza grande per poter trasportare i feriti- aggiunse Robert.
-Che strada dice che dobbiamo tenere ?- aggiunse il direttore preoccupato. Si voltarono verso Jerome che si teneva una mano al petto. Il direttore lo vide all'istante. Corse verso di lui.
–Signor Montreux, stia calmo, deve stare giù, d'accordo? Emergenza!- urlò nel corridoio.
–Andrà tutto bene- un infermiera raggiunse il medico che aveva già preso una siringa da una stanza laterale. Jerome sentì il liquido entrare in vena e poi fu buio.
Robert aveva spinto Javier verso l'uscita. –Credi che si salverà quell'uomo?-
-Temo di sì- sospirò Robert risalendo in auto e aprendo il bagagliaio. Un paio di infermieri uscirono dalla struttura con le mani cariche di medicinali. Javier lo guardò storto.
–Non mi piace ok?- fece in tonto colpevole Robert. Javier non osò dire nulla. Guardarono i medici che stipavano l'auto.
– Sua moglie o ex moglie diciamo, lavora con Rachel, stanno divorziando. E' un fisico del CERN. Si sposano sempre tra di loro, dovresti vedere....– tagliò corto Robert.
-Come mai divorziano? - chiese Javier curioso.
-Il classico 60enne in crisi d'identità che corre dietro alle bionde più giovani di lui- sbottò Robert.
–E adesso che l'hanno mollato perché non vogliono fargli da badanti, non vuole più divorziare dalla moglie, guarda un po' - non riuscì a trattenersi. –In questo lavoro ti stupirai di quanto possono essere prevedibili certi tipi di persone - sospirò poi.
–Ma forse sapeva davvero cosa era successo se è un fisico del CERN! – insistette Javier.
– Forse sì, ma comunque per un po' sarà fuori combattimento, noi abbiamo una consegna da fare. Vai con il pompiere- ordinò Robert. Javier annuì e corse verso l'altra auto.
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