UNA POSSIBILITÀ
Il dolce mormorio di parole circostanziali galleggiava nel tepore del pub, tra tintinnii di boccali, brindisi e il tramestio di sedie spostate. Ma quel mondo cresceva oltre il muro che separava la coppia seduta al tavolo in fondo, sterpaglie prive di linfa opposte al rigoglio della vita che germogliava fuori dalla loro bolla.
Spettro era muto, sfregiato ed era lì, seduto vicino a lei, che attendeva. Attendeva che reagisse, che balbettasse una scusa per svicolare da quella situazione o che si mettesse a urlare. Qualunque cosa, pur di turbare quello stato di quiete apparente. A Fosca venne in mente che ogni sua azione, da quel momento in poi, non sarebbe stata in grado di cambiare le carte in tavola: Spettro avrebbe continuato a sapere tutto di lei, a conoscere l'indirizzo di casa sua, i suoi orari e i suoi pensieri più profondi. Quell'incontro non gli avrebbe impedito di continuare a tormentarla.
Tormentarmi. La parola stridette contro le pareti della sua coscienza.
Forse i poliziotti non avevano avuto tutti i torti. Se la stava tormentando, perché usava il cellulare che le aveva regalato? Perché rispondeva ai suoi messaggi? Perché i buoni propositi di recarsi in questura per fornire informazioni sull'identikit dello stalker stavano pian piano decadendo?
Lui tamburellò le punte dei polpastrelli contro il tavolo con una pacatezza che le fece venire voglia di sparire.
«N-non è imbarazzante.»
Spettro inarcò il sopracciglio. "Raccontala a un altro".
Fosca deglutì e si avventò sulla birra. Si era ripromessa di non toccare alcol, ma se voleva articolare almeno una frase di senso compiuto avrebbe avuto bisogno di sciogliersi.
Con la coda dell'occhio, colse l'ombra del ghigno sul viso di lui, che deformò ancora di più la cicatrice a forma di X.
«B-beh? Lo trovi d-divertente?»
Dio, stava balbettando ancora di più. Le ci erano voluti anni di terapia per mitigare il problema, ma la lingua le si imbrogliava sempre quando diventava nervosa.
Spettro strizzò le palpebre e arricciò le labbra, come per dire "un po'".
«Io p-per niente.» Batté la base del boccale sul tavolo. Mezza pinta in quattro sorsi, stava migliorando. «Mi serve un m-momento» dichiarò, saltando in piedi. «Spostati, devo p-passare.»
Lui esitò.
«Non scappo da nessuna p-parte, m-mi serve aria.»
Dopo un lungo momento, Spettro si fidò. Tirò il passamontagna fin sopra il naso e slittò verso il corridoio esterno per potersi alzare.
«Grazie.»
Corse fuori dal locale, verso la pioggia che si infrangeva in migliaia di lame d'acqua contro l'asfalto brullo di Roma. Sbuffò un cumulonembo di condensa al cielo e rovesciò il capo all'indietro. Il clima della Roma immersa in un autunno agli sgoccioli, un freddo umido che appesantiva il cielo greve di nubi, le si infiltrò nelle ossa.
Ripeté il solito esercizio di respirazione, le mani premute sulle ginocchia, imponendo al cuore di darsi una regolata.
Una comitiva stava chiacchierando sotto la tettoia tra nuvole di fumo. «Ehi» la apostrofò un ragazzo. «Ti senti bene?»
Fosca alzò il pollice.
«Sicura? Sei uscita come una furia.»
«Sono s-solo nervosa.»
«Aspetta, tu sei quella che stava aspettando il tipo?»
Fosca aggrottò le sopracciglia. «Scusa?»
«Ma sì, sei rimasta quasi un'ora a tormentarti» continuò. «Non è per farmi i fatti tuoi, eh, ma ti capisco. Ho una certa esperienza con le app di incontri.»
La confusione sul volto di Fosca si fece lampante.
«Il tizio con cui dovevi beccarti non è come te lo aspettavi, vero?» ridacchiò una ragazza già alticcia.
«Mi sento buono» intervenne di nuovo il ragazzo, che indossava uno zuccotto giallo calcato sui ricci. «Se hai bisogno di una scusa ti aiutiamo noi.»
«No, grazie... sto bene così.» La gente riusciva davvero a diventare così inopportuna e socievole il sabato sera, grazie a un paio di birre?
Lui sollevò una sigaretta artigianale stretta fra indice e pollice. «Vuoi fare un tiro?»
Non si accetta l'erba degli sconosciuti, avrebbe detto Cora, ma lei aveva dato appuntamento all'uomo che l'aveva messa a nudo con una facilità agghiacciante: non c'era più nulla che la spaventasse.
Si avvicinò al gruppo aprendosi un varco nella piccola cerchia. Quando si portò il filtro alle labbra, aspirò fino a sentire i polmoni incendiarsi.
«Ecco, così. Hai bisogno di riprenderti» sogghignò il ragazzo.
«Non ne hai idea» sospirò Fosca, la lingua sciolta tra le volute di fumo. La testa le si alleggerì, mentre dalla gola le scappava una risata sciocca. Ma appena si voltò, il sorriso le morì sul volto. «C-che ci fai qui?»
Spettro, con la giacca addosso e l'ombrello appeso al polso, le rivolse uno sguardo che le fece desiderare di fondersi con l'asfalto. Sfilò il cellulare e compose il messaggio sotto i suoi occhi. Fosca ignorò gli interrogativi alle spalle mentre controllava la chat:
"Ho pagato per entrambi. È meglio che torni a casa."
«No!» Realizzò troppo tardi di aver gridato. Avvampò, maledicendosi.
Spettro piegò il capo e le indirizzò un'occhiata che parve sottolineare: "No?".
«No. A-aspettami qui. Torno subito. Non scappare. M-me lo controllate?» si rivolse al gruppetto, che non poté far altro che acconsentire. Fosca barcollò fin dentro il locale e si rese conto troppo tardi che raggiungere il tavolo sarebbe stata un'impresa titanica. Non seppe bene come, ma riuscì a recuperare la giacca, la sciarpa e la borsa, e a trascinarsi nuovamente fuori dal pub.
Quel tiro di sigaretta si era dimostrata solo l'ennesima scelta sbagliata da apporre in cima alla pila.
Spettro seguì i suoi movimenti con lo sguardo e, non appena riuscì a raggiungerlo, le diede le spalle e si allontanò ad ampie falcate.
«Ehi! Aspetta!» Fosca incespicò nei sanpietrini di Rione Monti. «Dove scappi? Non ho finito con te! Dio, ma quanto vai veloce» ansimò, nel tentativo di stargli dietro. Camminare spedita con i muscoli intorpiditi non fu un'idea saggia, perché al millesimo blocchetto di pietra messo fuori posto rovinò a faccia in giù nel bel mezzo del vicoletto.
Spettro arrestò il passo e lei percepì i suoi occhi inchiodarla a terra come una farfalla da collezione. Con un profondo sospiro la agguantò per un braccio e la tirò in piedi con una facilità disarmante.
Il tocco le spedì un brivido attraverso la pelle. Le dita di Spettro le affondarono nella carne, solo la stoffa dei vestiti a separarli.
Con le gocce d'acqua che si infrangevano sulla tela cerata, finse di non accorgersi del modo in cui la stava guardando (come se volesse spolparle le ossa, pensò). Lo pungolò con l'indice all'altezza dello sterno e biascicò: «Ti sembra il modo di comportarti?». Nel giro di mezz'ora, tempo di smaltire la sensazione di leggerezza, e si sarebbe pentita del tono con cui gli si stava rivolgendo. C'era altro che avrebbe voluto aggiungere, ma le passò di mente. «Ho dimenticato l'ombrello dentro.»
Spettro la lasciò andare, rilassò le spalle e si toccò la radice del naso, come a dire: "Mi prendi in giro?".
«Di che ti stupisci? Sei scappato via.»
Lui fece per aggirarla, ma lei lo fermò.
«Lascia stare, non valeva niente. E no, non hai voce in capitolo.»
Insieme, sotto lo stesso ombrello e la stessa pioggia, si guardarono.
Non hai voce in capitolo. Fosca arrossì fino alla punta delle orecchie e si coprì la bocca. «Oddio, mi dispiace. È... è stata pessima, io...»
Anche se aveva la metà inferiore del volto coperta, gli occhi di Spettro seguirono il sorriso rassegnato sotto lo strato di lana.
«S-scusami.»
Perché continuava a ripeterlo, come se fosse lei quella in torto?
Lui scosse la testa, in un modo che lasciava intendere che la cosa non lo avesse toccato più di tanto.
«N-non lo trovo strano.»
Spettro aggrottò la fronte.
«Il fatto che non p-parli. Non è colpa tua. È solo che non mi piace granché esprimermi e... insomma, mi toccherà farlo al tuo posto.» Si stropicciò un lembo della stoffa del maglione che sbucava dalla giacca. Obbligati a stare appiccicati sotto l'unico riparo disponibile, quasi l'uragano che inondava la capitale non fosse un affare che li riguardasse, Fosca mormorò: «Preferisco scrivere, m-ma questo lo sai».
Spettro annuì.
Erano vicini.
Attraverso la filigrana del passamontagna passavano i residui caldi del suo respiro. Fosca sollevò la mano, piano, a scatti, simile a una bambina che sperasse di essere l'unica a poter toccare il mostro senza che quello la divorasse. Prese un lembo di quella stoffa ruvida tra indice e pollice, e lui non si ritrasse. La fece scivolare verso il basso, centimetro dopo centimetro, per dargli il tempo, perché si abituasse, perché la luce al di fuori della sua caverna non lo accecasse. Avrebbe voluto saperne di più, di quei marchi che raccontavano il dolore della solitudine.
Capì solo in quel momento cosa aveva voluto dire il giorno in cui Emanuele l'aveva invitata a prendere un caffè: Mi sembra fin troppo normale per una come te.
Fosca non era normale. Lei desiderava riprendersi un po' dello spazio che le era stato sottratto. Avrebbe cominciato dal rendere equo il loro scambio: anche lei avrebbe scoperto qualcosa di lui.
«Guardando il lato positivo, s-sarai un ottimo ascoltatore.»
Un'altra smorfia esasperata, canzonatoria.
«Il fatto che t-tu non p-possa fare altrimenti è secondario.»
Riconobbe la sensazione del sorriso che sulle proprie labbra. Lo stesso che era comparso quel giorno del quarto ginnasio, quando Damiano l'aveva coinvolta in una partita a carte tra lui e altri due amici durante l'ora di Religione. "Brava" le aveva detto, "siamo una coppia vincente".
«C'è una c-cosa di cui vorrei p-parlare.»
Lui si mise sull'attenti.
«T-tu vuoi che io impari a fidarmi di te. Ebbene, non p-posso farlo sapendo che mi tieni sotto controllo. Se vuoi che succeda, anche t-tu dovrai fidarti di me.»
Spettro si mosse appena verso di lei. Il modo in cui svettava sulla sua testa, il fiato incandescente che le lambiva gli zigomi, il freddo che si insinuava nella sua giacca, tutto si mescolò in un connubio che le accendeva i sensi. La realtà crepitava attorno a loro, come fosse puro artificio.
«Dovrai smettere di sp-piare il mio numero, s-seguirmi e introdurti nelle mie fotocamere. Ed è categoricamente vietato p-presentarsi a casa mia a tarda notte. Magari un g-giorno vorrai dirmi chi sei e cosa fai nella vita, o cosa t-ti è successo.» Fosca tacque e si accorse di aver abbassato la testa. Non poteva guardarlo in faccia mentre gli confessava quelle cose. «I-in cambio, io...»
Strinse le labbra. Aveva perso sicurezza man mano che quell'assurda proposta stava prendendo corpo nell'aria.
«Noi possiamo vederci. Uscire. Parlare. P-per davvero, intendo» mormorò, così piano che lo scrosciare della pioggia rese difficile comprenderla. «Ma queste sono le mie c-condizioni.»
Attese, gli occhi incollati alle punte delle scarpe. Due sgorbi sotto la pioggia che si erano trovati, due strane creature ancora da catalogare in qualche bestiario.
Spettro si armò di cellulare e lei si affrettò a imitarlo.
"Ti stai mettendo in un grosso guaio, ragazzina."
Le fremettero le ginocchia. «Lo so.»
"Noi due non potremo mai avere un rapporto normale."
«P-pensavo che odiassi quella p-parola.»
Spettro sollevò le sopracciglia. Esitò, prima di ricominciare a scrivere.
"Ammetto che sono colpito."
«Non si direbbe, dalla tua f-faccia.»
Lui si rabbuiò più di quanto non avesse già fatto.
"Intendo dire che mi aspettavo tutt'altro."
«C-che intendi?»
"Mi aspettavo che scappassi. O meglio, lo hai fatto, ma ora sei qui."
«L'ho fatto perché ero in ansia. Sono in ansia. Ti rendi conto di cosa mi hai fatto? Essere faccia a faccia con la persona che... hai p-provato a spiarmi sotto la doccia.» Fosca avvampò. Dirlo ad alta voce, di fronte a lui, era diverso. Pareva quasi un gioco innocente, una sciocchezza da adolescenti.
"Sì, come ti ho detto non ho visto granché."
Lui alzò lo sguardo dal cellulare. Ci lesse tutta la sua ironia e capacità di farla sentire inadeguata.
«Limitati a rispondere» borbottò. «Ci penserai?»
"Non lo so."
Fosca sospirò. «Non ti sei avvicinato perché non sapevi come avrei reagito al... tuo p-problema. E alle tue cicatrici. Ma adesso che so tutto, sono ancora qui. Cos'altro dovrebbe impedirti di frequentarmi come se f-fossimo due p-persone tra le tante?»
Le sopracciglia di Spettro quasi si unirono.
"C'è molto altro."
«Voglio sapere.»
Ormai c'era dentro. E per quanto la spaventasse, era cosciente che non sarebbe più riuscita a tirarsi indietro. Tutto ciò che poteva fare era andare avanti, sperando di non mettere il piede in fallo e scivolare nei torbidi liquami del fiume in piena.
L'orizzonte degli eventi, prima di essere risucchiati dal buco nero.
Fosca sollevò di nuovo la mano, stavolta assieme all'altra. Viaggiarono verso l'alto, oltre la luce che si sprigionava dallo schermo e distorceva i loro lineamenti. Appoggiò le dita contro lo squarcio, lì dove la pelle era calda e tesa sotto il suo tocco. Spettro si immobilizzò e sgranò le palpebre, nel modo in cui avrebbe fatto una bestia sul punto di attaccare.
«Questo non devi nasconderlo quando sei con me.»
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