CANCELLARE LE TRACCE

Filippo si riprese, e così la vita nella cittadina. Presto Fosca si ritrovò a osservarlo da lontano, radunato assieme alla comitiva mentre il resto degli abitanti allestiva i preparativi per il Capodanno. I ragazzi, assiepati sulla panchina sotto l'insegna del "ba" con in mano bicchierini di vin brûlé e sigarette, le fecero cenno di raggiungerli, ma lei declinò scuotendo il capo.

"Perché?" mimò Filippo con le labbra.

"Ho da fare" rispose lei e, carica di buste della spesa, attraversò a ritroso la piazza e tornò verso casa.

Scottie sonnecchiava sull'uscio e drizzò appena le orecchie quando si accorse del suo arrivo. Lasciò le buste sul tavolo e salutò nonna Laura che, di spalle, stava appallottolando la pasta frolla per la crostata di mele. «Ti serve la macchina oggi?» chiese Fosca.

«No. Perché? Vai da qualche parte?»

Con la giacca ancora addosso, spostò il peso da un piede all'altro e si sforzò di suonare più naturale possibile: «Pensavo di fare un giro per sentieri».

«Da sola?»

«Volevo stare un po' per conto mio. Sai... per scrivere. È un problema?»

«Non mi piace che tu vada senza nessuno che ti accompagni. Hai perso l'abitudine e persino Filippo, che vive qui, è riuscito a farsi male.»

Fosca si schiarì la voce. «Pensavo di scendere a valle. Niente salite o posti strani. Dai, ci camminano anche i bambini.»

Nonna Laura sfilò le mani dall'impasto e le indirizzò un'occhiata, squadrandola da capo a piedi: «Almeno portati Scottie. Sono più tranquilla se c'è lui».

«Quel cane non serve a niente» brontolò.

«Ti assicuro che è addestrato e che sa fare il suo dovere quando serve. Forza.»

«Va bene, va bene.» Fosca alzò le mani in segno di resa, recuperò lo zaino e le chiavi della macchina e richiamò il San Bernardo con un fischio. «Allora ci vediamo dopo.»

«Torna prima che faccia buio, mi raccomando.»

Liquidò la nonna con un breve saluto e uscì. La Lupo era parcheggiata davanti al garage aperto, rimpinzato delle solite cianfrusaglie polverose di cui avrebbero dovuto disfarsi da tempo. Non entrava lì dentro da quando suo padre se ne era andato. Aveva sempre il terrore che, scavando nei meandri dei suoi ricordi, vi avrebbe trovato qualcosa che aveva dimenticato e che avrebbe riacceso in lei la tristezza.

Una volta sistemato il cane, si mise alla postazione del guidatore e accese il motore. Uscire dal paese fu più difficile del previsto, perché le strade erano gremite di passanti e operai che trascinavano scale e pannelli da montare sul palcoscenico nella piazza principale.

Era tutto un tripudio di fondali, lanterne e tavoli di almeno trent'anni fa messi a disposizione della parrocchia. Imboccò la strada che avevano percorso al crepuscolo nel giorno di Natale e si ritrovò circondata dai monti, le valli e le foreste seppellite dalla neve che brillava sotto la fresca luce del mattino.

Guidare lì era diverso. Non c'era il traffico della capitale che le infondeva un'ansia insormontabile. Tutte le volte in cui aveva tentato di mettersi al volante le era sembrato che niente di ciò che facesse fosse giusto, e di certo le persone non si trattenevano dal farglielo notare con gesti volgari e grida di scherno.

"Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle" aveva mormorato a se stessa, rinchiusa nell'abitacolo con le mani serrate sul volante e il rumore dei clacson sulla tangenziale che si aggrovigliava tra i palazzi di San Lorenzo, simile a una gigantesca biscia nera.

Scottie le ansimava a fianco con la lingua di fuori, facendo guizzare i piccoli occhi neri da un lato all'altro del paesaggio.

Parcheggiò nella piazzola da cui si diramava il sentiero, evidenziato in rosso sulla cartina affissa alla bacheca. Anche quel giorno nessun'altra auto testimoniava la presenza di esseri umani. Fosca scese dalla macchina e calcò lo zuccotto di lana giallo ocra sui ricci. Indossò lo zaino, quello dell'università con dentro lo stretto indispensabile, e aprì la portiera al cane.

Si inerpicarono lungo la via che si faceva strada sotto gli alberi spogli, immergendosi in un silenzio irreale. Pareva di essere sospesi in una dimensione che accoglieva i sussurri del bosco e degli spiriti che ospitava. Lo scricchiolio del ghiaccio e dei rami, lo zufolio e il battito d'ali della ghiandaia, qualche animale che zampettava verso la tana, tutto contribuiva a farla sentire soltanto un'ospite.

«Nei romanzi francesi dei cavalieri la foresta è teatro di incontri inaspettati» disse ad alta voce, tanto per non sentirsi troppo sola. Scottie uggiolò una vibrazione interrogativa. «Speriamo solo di non sorprenderci troppo.»

Raggiunta la baita, Fosca si diresse verso il punto in cui ricordava di aver individuato le tracce lasciate da Filippo.

Abbandonò il sentiero e scese, scivolando un po' per la scarpata irregolare. La neve le arrivava quasi alle ginocchia e copriva interamente le spesse radici degli alberi. Le zampe di Scottie invece vi scomparivano dentro, facendolo assomigliare a un grosso bruco peloso che strisciasse lungo la superficie.

Raggiunsero le sponde del torrente e Fosca si fermò, con gli stivali piantati nel nevischio fangoso. Sulla destra, individuò il punto in cui Leo si era lanciato in soccorso di Filippo. Sulla sinistra, procedendo per qualche decina di metri, si era allontanata per cercare campo.

Il corpo avrebbe dovuto essere lì.

Si avviò verso quella direzione, sforzandosi di ignorare il cuore che le pulsava nella gola e le ginocchia cedevoli.

Spinse gli occhi in avanti, a caccia di una risposta che non le sarebbe piaciuta. Se il freddo aveva "fatto il resto", si disse, questo avrebbe fatto di lei un'assassina. Aveva letto abbastanza libri da sapere che, in quei casi, si apriva sempre lo scenario successivo: coprire le tracce del suo passaggio. Farlo scomparire, quel corpo. E il come non era mai piacevole.

Spettro non poteva essere morto.

Ma se fosse stato vivo...

Capì di aver superato di molto il punto in cui era avvenuta la loro discussione quando si ritrovò accanto a un punto in cui il fiume declinava in una cascatella. Cadde in ginocchio sulla sponda e, all'impatto con il terreno, dalla sua bocca traboccò un ansito di vapore, una nube in cui si mescolarono angoscia e sollievo.

La bile le risalì lungo l'esofago.

Non c'era. Lui non c'era.

Chinò la testa in avanti, intrecciò le mani dietro la testa e prese a dondolarsi.

Respira.

Doveva respirare, sì, fare ampi respiri, dentro e fuori, anche se nulla della sua mente riusciva a processare quel terrore antico quanto il mondo e il germoglio di felicità che lottava contro di esso.

Lo scricchiolio alle sue spalle le fece alzare il capo. Una figura scura strisciò per un breve tratto di discesa e si arrestò appoggiando la spalla all'albero che cresceva poco lontano da lei.

Il volto di Spettro era bianco e scavato dalla stanchezza, i capelli incollati alla fronte da sudori gelidi. Il lembo di una benda si intravedeva da sotto l'ombra del cappuccio, e l'ematoma scivolava dalla fronte fino a sfiorare il sopracciglio rigonfio, come se ci fosse qualcosa che premesse dall'interno per uscire.

La guardò. Scottie flesse le zampe, ringhiando.

Fosca aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente con un tremito del labbro.

Non sapeva cosa sarebbe successo nei minuti successivi, ma una parte di sé, il suo corpo sottile che scalciava per staccarsi da lei, avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia. E forse lui l'avrebbe stretta così forte da frantumarla nel suo bisogno d'amore.

La morte degli amanti, la chiamavano in letteratura. Pensò al Tristano della versione in prosa che serrava Isotta contro il suo petto fino a soffocarla.

Mosse un passo verso di lei e mise mano alla tasca. Fosca indietreggiò. Tra le dita di Spettro, però, comparve solo il suo cellulare. I pollici si mossero rapidi sullo schermo e, quando ebbe finito, la guardò negli occhi.

Non c'era campo, lì, nessuna corda invisibile su cui far camminare le sue parole fino a lei. Fosca deglutì e strisciò lentamente un piede in avanti. Si avvicinò senza perdersi neanche il minimo movimento. Quando fu circa a due passi da lui, le mostrò il messaggio: "Non sono stato io a spingere il tuo amico".

Fosca risucchiò aria nei polmoni e la trattenne per qualche secondo di troppo. Sollevò lo sguardo, sentendosi come una bambina sorpresa a infilare l'indice nella crostata ai lamponi della nonna.

«C-come faccio a crederti?»

Spettro scrisse ancora: "Ha parlato di qualcuno che l'ha aggredito?".

Fosca tacque. Il dottor Specchi aveva detto che Filippo non avrebbe dato segni di perdita di memoria, e questo poteva soltanto significare che se qualcuno gli avesse davvero teso un agguato, quella notte, lo avrebbe ricordato. Era davvero inciampato lungo la scarpata.

Le guance di Fosca si fecero roventi mentre scuoteva la testa. «Ma allora c-cosa ci facevi lì?»

Lui indugiò e, lentamente, digitò:

"Mi mancavi."

Fosca lottò con tutte le sue forze per impedire al germoglio di felicità di tramutarsi in un albero. «M-ma perché non hai avvertito che saresti venuto?»

"Hai spento il nostro telefono. Non potevo scriverti sull'altro, visto che la Postale sta tenendo quel numero sotto controllo."

«Oh... giusto.» Ogni frammento di quella spiegazione si incastrava senza sforzo in una logica a cui era impossibile non credere. Fosca si fissò le scarpe. «E... il braccialetto...»

"Mi sono introdotto in casa dei tuoi nonni e ho nascosto il pacchetto assieme agli altri. So che non avrei dovuto farlo, ma volevo farti avere il mio regalo per il giorno di Natale."

«Infatti, non avresti d-dovuto.» Pronunciò quelle parole perché erano la cosa più giusta da dire. Eppure, la rabbia che le bruciava nel ventre era solo un fuoco debole.

Era il suo regalo. E lei lo aveva buttato nel fiume.

«A-allora...»

Spettro tenne gli occhi addosso a lei, una muta sfida a proseguire, ad azzardarsi ad accusarlo ancora.

Ma aveva bisogno di chiederglielo.

«Allora non c'era un GPS, nel lucchetto.» Parlò a voce così bassa che a malapena riuscì a udirsi lei stessa. Lui buttò fuori un sospiro profondo, spazientito, come per espellere l'irritazione. Lo interpretò con un "no". «M-ma sei riuscito a seguirmi fin qui.»

"Ho usato i vecchi metodi."

Fosca aggrottò le sopracciglia.

"Ti avevo detto che mi sarei scollegato da qualunque mezzo che potesse segnalarmi la tua posizione. Così ho fatto. Il tuo paese è piccolo, quindi ho avuto lo stesso diverse occasioni per vederti. Ho sentito uno dei tuoi amici parlare di questa gita e del percorso che avreste fatto, così vi ho anticipati sui tempi e mi sono fatto trovare nei pressi del rifugio che avevate in programma di raggiungere. Di nuovo, so che non avrei dovuto. Ma tu e quel ragazzo mi siete sembrati..."

Spettro aveva troncato l'ultima parola del messaggio. Mentre le mostrava lo schermo, distolse lo sguardo.

A Fosca venne quasi da ridere. «Filippo è un amico.»

"Lo so."

«Ma?»

"Ma ho sentito cosa ti ha detto quella sera, sul fiume."

Lui abbassò la testa e chiuse gli occhi per qualche istante, come se faticasse a stare in piedi. Le servì qualche secondo per rendersi conto di ciò che stava accadendo.

«Merda.» Con un scatto nervoso, gli prese il braccio e se lo fece scorrere attorno alle spalle. Il peso della stazza che le gravò addosso rischiò di farla crollare in ginocchio. Lo vide mettere mano al cellulare, ma glielo sfilò dalle dita e lo inserì nella tasca della giacca. «Scrivi dopo. Adesso andiamo al rifugio, devi sederti e stare al caldo.» Spettro annuì e Fosca fece schioccare la lingua sul palato per farsi seguire da Scottie.

Agganciò il cane al guinzaglio e glielo porse. «Prendilo, ti aiuterà.»

Percorsero a ritroso la salita e svoltarono sulla destra, verso il tratto di scarpata che li avrebbe portati allo spiazzo dove sorgeva il rifugio. Fosca ansimò, il sudore che le imperlava la fronte e il collo. Strinse i denti e, con un ultimo sforzo, sospinse Spettro verso casupola. Ripulì sull'uscio gli scarponi dalla neve e aprì la porta con una spallata. Furono accolti dallo scoppiettio di un timido fuoco che ardeva nel camino tra le ceneri sparse.

In terra c'erano uno zaino, qualche merendina e un materasso da campeggio ricoperto dal sacco a pelo invernale.

«Sei r-rimasto qui?»

Spettro annuì.

«Non sei riuscito a t-tornare giù? Dove hai parcheggiato?» Ma dal modo in cui lui corrugò la fronte, dedusse che non fosse il momento di tempestarlo di domande. «S-scusa. Ti aiuto.»

Fosca sganciò il guinzaglio di Scottie, che andò ad accoccolarsi nell'angolo. Sorreggendolo per un braccio, scortò Spettro fino al materasso.

«Ecco. Hai m-mangiato qualcosa? Mi sono portata il pranzo. Magari non è il massimo, ma sempre meglio degli snack.» Si inginocchiò accanto al giaciglio e dallo zaino sfilò una forchetta da campeggio, la borraccia e il cestino di plastica a prova di microonde, rimpinzato della pasta avanzata dal cenone di Natale. «Tieni. Io ravvivo un po' il fuoco.»

Fosca raggiunse il camino e sfilò una fascina di rami secchi dal deposito che Leo stesso aveva rimpolpato. Soffiò via la cenere e creò una specie di piramide su un circolo di carta creato con la riserva dei fogli di giornale, poi sfilò lo Zippo dallo zaino e incendiò un cubetto di accendifuoco che le solleticò la punta del naso con la sua puzza di benzina.

Rimase accovacciata a osservare le fiamme che prendevano vita davanti a lei.

Sentiva gli occhi di Spettro fissi sulla sua schiena. Sfilò la giacca e il cappello e andò ad appenderli all'attaccapanni, tanto per fare qualcosa. Scottie dormiva già.

Udì il rumore del contenitore di plastica che veniva poggiato sul pavimento e del tappo della borraccia che veniva svitato. Con la coda dell'occhio, notò che lui aveva terminato di mangiare.

«Dovresti farti vedere d-da un medico. Non puoi rimanere qui, rischi di p-peggiorare.»

Spettro posizionò la borraccia ai piedi del materasso e la guardò a lungo con quei suoi occhi vacui e tristi, abbastanza da farle desiderare di scavarsi una buca e seppellirci la testa.

«Mi...» azzardò. «M-mi dispiace.»

Lui incrociò le braccia sul petto.

«S-sei arrabbiato?»

L'ho quasi ucciso, pensò. Si nascose il viso tra le mani e si lasciò cadere sulla panca di fianco all'ingresso, la testa che le vorticava senza sosta.

I singhiozzi le eruppero dalla gola, e se ne rimase lì a tremare con le guance in fiamme. Il crollo di adrenalina accumulata nelle ultime quarantotto ore abbatté le sue ultime difese.

Quando Spettro aveva aggredito quei ragazzini alla stazione aveva avuto paura di lui. Era stata ipocrita. Non si sentiva migliore.

Con la vista appannata incontrò il suo sguardo. L'espressione si Spettro si addolcì e le fece cenno di avvicinarsi.

Fosca scosse la testa, ma lui insisté, battendo la mano sulla coscia.

Riluttante, lei si alzò e attraversò la stanza con passo insicuro. Prese posto sul bordo del materasso, dandogli la schiena. Con un movimento rapido, Spettro le circondò le spalle con un braccio e la attirò a sé. Si ritrovarono raggomitolati nel sacco a pelo, i loro sguardi puntati verso il soffitto. Il corpo di Spettro bolliva di febbre sotto le coperte.

«Più tardi d-dovremmo cercare di scendere a valle» balbettò, per esorcizzare l'imbarazzo. «Non puoi passare di nuovo la notte qui.»

Spettro annuì debolmente, gli occhi chiusi.

«Mi dispiace.»

Le dita di lui raggiunsero l'incavo del suo collo e tracciarono una scia lungo la pelle, piano, avanti e indietro. Fosca si pietrificò, ma lo lasciò fare. Sollevò il capo quel poco che bastò a scorgere la linea netta e squadrata della mandibola, l'epidermide perlacea, la piccola gobba slava su quel naso da pugile.

Non avrebbe mai immaginato che, un giorno, lui si sarebbe mostrato così vulnerabile. Era di un'umanità senza precedenti.

Fosca si tese verso di lui e gli lasciò un lieve bacio sulle labbra. Spettro socchiuse le palpebre e la scrutò tra le ciglia.

«Ho avuto paura» disse. «Paura di aver fatto un errore più grande di me.»

Udì il suo cuore spiccare il volo attraverso il petto, come se Spettro stesse provando un'emozione nuova. La strinse così forte che, per un momento, Fosca credette che stesse cercando di mescolarsi con lei.

«P-puoi perdonarmi?»

Spettro annuì.

«Grazie.» Un sorriso sbagliato le affiorò sulle labbra. «Adesso cerca di dormire un po'.»

Ed entrambi si persero nel medesimo sonno di ombre: stanchi, intrecciati fra loro, due sopravvissuti alla battaglia di quella giornata.

Il dottor Specchi prescrisse a Spettro un antidolorifico dal nome impronunciabile e qualche giorno di riposo.

«Per fortuna» aveva aggiunto, «il ragazzo ha la pelle dura. Fosse stato più gracile non se la sarebbe cavata così facilmente».

«Già.» Fosca gettò un'occhiata a Spettro, la spalla appoggiata contro lo stipite della porta che dava nella medesima stanzetta in cui era stato ricoverato Filippo un paio di giorni prima. Lui sedeva sul lettino con una fasciatura nuova attorno alla testa.

«Hai detto di non conoscerlo?»

Lei distolse lo sguardo, spostandolo sul dottore. «L'ho t-trovato svenuto sul sentiero. È muto, non aveva cellulare o documenti con sé. Credo sia stato derubato, oppure magari è soltanto scivolato...»

«Scivolano un sacco di persone in questi giorni. Chissà perché ci sei sempre di mezzo tu.»

Si guardarono.

Poi il volto del dottor Specchi si allargò in un sorriso. «Sto scherzando. Potete andare. Se risolvi il problema dei documenti fammelo sapere.»

«S-sì, senz'altro. Grazie.»

Fosca e Spettro si congedarono dal pronto soccorso e uscirono in strada.

Non poteva credere a quello che aveva appena fatto. Aveva guardato in faccia il dottor Specchi, lo stesso uomo che le aveva curato la frattura al polso che si era procurata cadendo dalla bicicletta a otto anni, e aveva mentito sul nome di quel misterioso sconosciuto.

Che razza di persona stava diventando?

Spettro si affrettò a tirare il passamontagna fin sopra il naso non appena intravide le prime persone sbucare dai vicoli.

«Qui la gente non sa f-farsi gli affari propri neanche a p-pagarla oro» disse Fosca. «Una faccia nuova ci mette poco a finire sulla b-bocca di tutti.»

Un'ombra cadde sul cipiglio di Spettro, che fece balzare lo sguardo tra gli anziani appostati sotto la chiesa, i bambini e le donne che chiacchieravano sulla porta o spalavano via la neve.

«Alloggi da qualche p-parte?»

Lui la scrutò di taglio e annuì.

«Ti accompagno. Dovresti p-proprio farti una doccia.»

Spettro roteò gli occhi, le mise una mano sulla testa per sottolineare la differenza di altezza e la spintonò giocosamente in avanti. Fosca rise, e non le importò degli sguardi che volarono dalle finestre, delle domande bisbigliate, del fatto che entro sera sua nonna le avrebbe chiesto con che razza di gente si accompagnasse.

Sapeva che la scusa che aveva accampato con il dottor Specchi non avrebbe retto.

Lasciò Scottie a casa e scortò Spettro alla macchina. Quando poggiò la mano sulla portiera, una risata argentina vibrò alle sue spalle. Sulla discesa asfaltata, con addosso un elegante piumino bianco e guanti di lana rosa, c'era Stella che chiacchierava al cellulare.

Fosca si bloccò con le dita sulla maniglia.

Stella rallentò il passo, chiudendo la chiamata. Le rivolse un sorriso che era tutto un programma e le andò incontro.

«Fosca!» esordì con un sorriso al miele. «Ero a telefono con Ema, sai... ti saluta.»

Lei non rispose.

«Pensavo» riattaccò Stella, «ho sentito che stanno organizzando una specie di ballo con musica dal vivo per Capodanno. Una roba un po' da sfigati, con lenti e tutto il resto. Peccato che Ema ti abbia mollata, per una volta avresti evitato di startene in disparte a guardare gli al...»

Il cattivo quanto inutile commento di Stella rimase sospeso, così come il suo sorriso, che sfiorì in una linea rigida. Lo sguardo superò la diretta interessata e si posò sulla figura torva che svettava oltre il tettuccio dell'auto. Fosca si girò lentamente. Spettro se ne stava lì, senza far nulla di particolare che non fosse guardare Stella, ma fu il modo, le frequenze distorte che si sprigionavano dalla sua figura, il suo denso mutismo, a uccidere qualunque tentativo di conversazione.

Nessuno zittiva quell'arpia di Stella. A lui era bastata un'occhiata.

«B-beh, adesso scappo. Ciao.»

La ragazza girò sui tacchi e si avviò a passo spedito giù per la discesa, incespicando nella fretta. Fosca non fu in grado di nascondere la smorfia sarcastica che le spuntò sulle labbra. E se anche l'espressione di Spettro era coperta per metà dalla lana del passamontagna, gli bastarono i suoi occhi per cogliere un barlume di complicità.

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