Sonetto, o fenomenologia della tristezza

Mesta ed errante le selve dell'animo
traverso da giorni senza riposo,
sprofondo di più le gambe nell'imo
di quest'acquitrino nero, bilioso.

Ancora né riva né ramoscello
io vedo apparire in mezzo alla gora
che scampino me, sol orfano agnello,
dal buio vorace che mi divora.

D'ombre d'intorno un feral tremolio,
ch'oggi, ahimè, la peggior delle notti
m'annega, colle di lei acque tremende.

Ma non v'è luogo forgiato da Dio
ove Gioia ignori i miei cocci rotti:
una mano innanzi infine si tende.

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