Senza spazio di salvezza
[Novelette vincitrice del premio Wattpad "Facciamo in fretta - 2^ edizione"]
«La mia vita è soave
oggi, senza perché;
levata s'è da me
non so qual cosa grave... »
(Guido Gozzano, "I colloqui")
L'aveva sognato di nuovo? Non riusciva a ricordarlo. Si era svegliata troppo in fretta e non le era rimasto niente. Solo un presentimento, scomodo come un vestito fradicio appiccicato alla pelle. In più, si era addormentata col buio e si era svegliata col sole, e l'alba la disorientò quasi più del sogno dimenticato. Vedere Federico seduto di fianco a sé contribuì ancor meno a riportarla alla realtà; qualunque cosa fosse accaduta nella sua testa durante le due ore appena trascorse, era sicura del fatto che ci fosse anche lui. Un fantasma non sarebbe riuscito a turbarla di più, in quel momento. Lo guardò rimettersi gli occhiali, che aveva lasciato appesi all'orlo della maglietta per paura di perderli da qualche parte, e si ritrovò a chiedersi se li avesse addosso anche nel sogno. Si era addormentato anche lui, comunque. Gli occhi azzurri erano piccoli e arrossati, i corti capelli biondi appiattiti dietro la testa.
«Che c'è?» Federico le stava sventolando una mano davanti al viso. «Lena?»
«Nulla. Guardavo fuori dal finestrino.»
Un neonato, qualche fila più avanti, non stava risparmiando il fiato nel tentativo di sovrastare l'annuncio del comandante. A giudicare dal suo evidente disappunto, doveva essersi appena svegliato anche lui.
«Signore e signori, la nostra compagnia vi dà il benvenuto all'aeroporto De Gaulle di Parigi. L'ora locale è 07:33 AM e la temperatura all'esterno è di 9 gradi Celsius. Vi auguriamo una buona permanenza. Dal comandante e il suo equipaggio, grazie per aver volato con noi.»
L'annuncio venne ripetuto in inglese e in francese, dopodiché la spia luminosa si spense e Maddalena e Federico si slacciarono le cinture.
«Hai sentito Samuel prima di partire?»
«Che cosa?»
Tirava un vento gelido sulla pista d'atterraggio, e dalla cima della scaletta sembrava di essere sul ballatoio di un faro, dodici metri più su della scogliera vessata dal tifone. Ma Maddalena aveva sentito benissimo.
«Ti ho chiesto se hai già sentito Samuel», ripeté Federico dallo scalino davanti al suo. Alle spalle di Maddalena, qualcuno, scendendo i gradini, le aveva quasi sfilato la scarpa. Si aggrappò allo zaino di Federico per non cadere e l'altro traballò sul posto per qualche secondo. Gli occhiali gli scivolarono sulla punta del naso, ma li riafferrò appena in tempo.
«Scusa», gli urlò all'orecchio Maddalena, per farsi sentire al di sopra del vento, «Ho cercato di chiamarlo prima di salire sull'aereo, comunque, ma non mi ha risposto.» Bugia.
Ai piedi della scaletta, il vento le ruzzolava attorno alle gambe nude come un animale selvatico. Ma non fu il freddo a farla rabbrividire.
Ripensò a quando erano fermi all'aeroporto di Bologna, in attesa del loro diretto per Parigi, Federico un po' più indietro, ancora fermo ai controlli, Maddalena seduta al gate. Erano le sei in punto e settembre aveva già cominciato a mangiarsi le ore di luce. Le piste, al di là dei vetri dell'aeroporto, erano formicai brulicanti di lumini nella penombra del primo mattino. Maddalena aveva in mano il cellulare. Era spento e lei fissava lo schermo nero, o il riflesso dei propri occhi stanchi nello schermo nero, o i frammenti di persona che lo schermo nero rubava da chi le sedeva accanto. Non riusciva a distogliere lo sguardo, come per paura che potesse riaccendersi da solo e, così, tentarla. No, non avrebbe scritto a Samuel. Tanto meno gli avrebbe telefonato. Non si fidava di lui. Non si fidava già più quando avevano quattordici anni. Conosceva gli orari, conosceva il posto. Aveva una copia della prenotazione sulla sua mail personale. Se fosse venuto, come aveva detto che avrebbe fatto - con grande e inaspettato entusiasmo - allora si sarebbero incontrati direttamente a Parigi. Se si fosse tirato indietro all'ultimo minuto, lei e Federico lo avrebbero scoperto allo stesso modo: arrivando in albergo, constatandolo di persona. Nessuna anticipazione, nessun lungo intermezzo tra il De Gaulle e Place d'Italie per lasciare che la delusione si sedimentasse abbastanza da rovinarle il resto del viaggio con Federico. Maddalena sapeva come doveva giocare quella partita. Per ora, doveva solo rimanere sulla difensiva il più a lungo possibile. All'altro capo della scacchiera, il suo cuore era un gran maestro, un avversario ben al di sopra delle sue possibilità, nel bene e nel male. In quella situazione, muovere bene significava prendere tempo, e quel tempo era calcolato in base a quanto in fretta e quanto intensamente le sue emozioni rispondessero ai singoli eventi che si era prefigurata potessero verificarsi. Era un gioco d'attesa e di probabilità. A questo turno, che alla fine dei conti Samuel si presentasse o meno, Maddalena doveva preferire il silenzio e l'ignoranza: ne avrebbe guadagnato trentadue minuti in più di serenità. Che non erano pochi affatto.
Il tassista che li aspettava all'aeroporto era un signore di colore dall'aria benevola, sulla sessantina, abbondante sulla pancia e un po' meno sulla testa. Com'era stato annunciato dal comandante, e come Federico e Maddalena avevano già potuto constatare loro stessi, non faceva caldo, ma lui sembrava avere l'abitudine di passarsi spesso una mano sulla fronte, come a impedire al sudore di scivolargli sugli occhi, occhietti tondi e scuri velati di giallo. Occhi da vecchio fumatore. Tutto in quell'uomo, in realtà, sembrava imbrunito, persino gli abiti. Indossava una maglietta alla marinara, a righe bianche e blu. O, meglio, Maddalena suppose che un tempo dovevano essere state bianche e blu: quelle bianche, ora, avevano un colorito itterico, come la pelle degli anziani, mentre quelle blu sbiadivano nel grigio-ardesia dei colombi.
«Italiens?»
«Oui.»
Maddalena e Federico scivolarono sui sedili posteriori, gli zaini da viaggio sulle ginocchia.
«Moi c'est Usman. Enchanté.»
L'interno dell'abitacolo aveva un odore acre, di sudore, acqua di colonia e quello che doveva essere Arbre Magique al muschio bianco. Forse c'era anche una persistenza di cibo cinese d'asporto. Niente tabacco. Entrambi i genitori di Maddalena fumavano, ma non lo facevano mai in auto. Dicevano che era irrispettoso. Il che rendeva Usman una persona rispettosa. Tentò subito di dir loro qualcosa in italiano, ma Maddalena e Federico gli sorrisero sconsolati senza capire. L'altro ricambiò il sorriso senza offendersi e cominciò a parlare in un fin troppo scorrevole inglese cadenzato, frammezzato da suoni che avevano più del portoghese che dell'Oltremanica. Maddalena pensò dovesse trattarsi di un pidgin, forse nigeriano. Ne era quasi certa, in realtà: aveva una pronuncia molto simile a quella di una loro vecchia compagna di classe.
Mentre uscivano dall'aeroporto in direzione dell'autostrada, Usman domandò loro che cosa ci facevano a Parigi. Parlava a volte guardando il traffico, a volte fissandoli dritto negli occhi attraverso lo specchietto retrovisore. Fu Maddalena a rispondere, ma si rese subito conto di non sapere quale parola usare e così si sfilò il cellulare dalla tasca. Lo aveva riacceso all'ingresso dell'aeroporto, quando pur guardandosi attorno non riuscivano a trovare il loro taxi. Chiese un po' di pazienza mentre cercava la parola su Google Traduttore, poi allungò il telefono verso i sedili anteriori in modo che Usman potesse leggere. Le prese il cellulare con delicatezza, perché la superficie della strada le faceva tremare la mano, e Maddalena notò che la sua era così grande da far sembrare il cellulare un giocattolo per bambini. Continuò a osservare il suo volto nello specchietto finché non lo vide scoprire i denti sbiaditi in un gran sorriso.
«I hope you have fun.»
Sì, lo sperava anche lei.
Per un lungo tratto di autostrada, Usman e Federico continuarono a chiacchierare senza sosta, il primo nel suo bizzarro idioma contaminato, il secondo nel suo fiacco inglese da consumatore di videogiochi. Se, per abitudine, Usman infilava qualche parola in francese nel bel mezzo del discorso, Federico si voltava verso Maddalena per chiederle di tradurre. Allora lei, che non stava seguendo nulla di quello che i due si stavano dicendo, domandava gentilmente a Usman di ripetere e riportava in italiano a Federico, sfruttando quel poco di francese che le era rimasto dalle scuole medie e che invece a Federico non era rimasto affatto.
Si erano fatte le otto, intanto, e il sole iniziava a scaldare. Era una fortuna, visto l'ottimismo con cui si erano vestiti, ma una parte di Maddalena sperava che il cielo si coprisse all'improvviso. Ricordava la delusione con cui aveva passeggiato per Parigi anni prima, in un assolato pomeriggio d'agosto. Sembrava tutto così grande, alla luce del sole, tanto grande da perdercisi dentro. Vie ampie, palazzi altissimi, orde di tavoli sui marciapiedi come immensi banchi di pesci nell'oceano. Si era sentita disorientata, come a Vienna, come a Budapest, come a Torino. Città imperiali. Capitali di Stato. Ma sotto la pioggia, dalla cupola centrale della basilica di Montmartre, ecco che Parigi le aveva fatto un po' meno paura.
«Il va pleuvoir ce soir», soggiunse Usman, come leggendole nel pensiero.
«Che ha detto?», le sussurrò Federico a pochi centimetri dal volto.
«Che pioverà stasera.»
Federico si strinse nelle spalle, evidentemente sollevato. «Be', allora abbiamo tutto il giorno.»
«Già», mormorò Maddalena, «Abbiamo ancora tutto il giorno.»
Quando Maddalena aveva gettato le armi, arrendendosi all'idea che non poteva più combattere contro l'evidenza di aver compiuto una follia, era ormai troppo tardi per tornare indietro. Se l'era detto la prima volta alle quattro di quella mattina, parcheggiata sotto casa di Federico, il sole così basso sotto l'orizzonte da poter ancora vedere Cassiopea attraverso il parabrezza. Se l'era ripetuto la seconda volta nel parcheggio multipiano del Marconi, le mani dimenticate sul volante mentre Federico si dirigeva da solo verso l'ascensore. Se l'era detto l'ultima volta in fila davanti al gate aperto, le dita sudate avvinghiate ai documenti d'imbarco, Federico dietro di lei, altre trenta persone davanti. Adesso, pochi minuti dopo le otto, era inutile ripensarci. Si disse solo che no, non sapeva giocare affatto a quel gioco. Avrebbe dovuto godersi forse la sua ultima mezz'ora di pace, e invece il pensiero stesso che la verità, qualunque essa fosse, la aspettava alla fine della strada le stava riempiendo la testa da quando erano partiti. L'ignoranza è una benedizione - si ricordò di aver letto da qualche parte - ma perché la benedizione sia completa l'ignoranza deve essere così profonda da non sospettare neppure se stessa.
«Pensi sia già arrivato?»
Dio, Rico, una cerca con tutta se stessa di pensare a qualcos'altro e tu di nuovo...
«Se non ricordo male» - ricordava perfettamente - «dalla stazione di Parigi Est a Place d'Italie ci vogliono meno di cinque minuti con la metropolitana. È un'unica linea senza cambio, mi pare. Forse la sette.»
Ci volevano quattro minuti esatti, e ovvio che fosse un'unica linea, ovvio che fosse proprio la numero sette. Se era abbastanza sveglio da non sbagliare allungando il tragitto - ma, soprattutto, se era davvero partito come aveva detto -, allora Samuel li stava aspettando entrambi in albergo già da un bel pezzo.
Quando uscirono dall'autostrada e imboccarono il boulevard périphérique di Parigi, sembravano ancora trovarsi nella periferia di una qualunque altra grande città. Potevano anche essere a Milano, per quello che riuscivano a vedere dai finestrini.
«Guarda, il Tevere», gongolò Federico mentre passavano sopra alla Senna. Avrebbe proseguito a ridere da solo, se Maddalena non gli avesse rifilato uno spintone schiacciandolo contro lo sportello del taxi.
Fu solo dopo che le torri delle Olympiades ebbero cominciato a disegnarsi sullo sfondo del cielo, che Maddalena realizzò davvero quanto poco mancasse all'arrivo.
«Sai come si chiamano quelle torri?», chiese a Federico, sforzandosi di pensare a qualcos'altro.
«No e non mi interessa.»
«Dai, è carino.»
«Guarda che ci sono già stato anch'io a Parigi.»
«Quindi sai già come si chiamano?»
«No, non so nemmeno dove siamo.»
«A maggior ragione devi-»
«Ma se non l'ho scoperto la prima volta che ci sono stato, significa che non mi interessava già allora. E non mi interessa neanche adesso.»
«Non so se fila come... »
«Sono rosso?»
«Mh, sì, in effetti sei rosso.»
«Ce l'hai tu la crema solare?»
Maddalena infilò una mano nella tasca laterale del suo zaino, poi aprì lo scomparto più grande. Spinse da parte i vestiti, le ciabatte e il manoscritto, fino a toccare il tubetto di plastica sul fondo.
«Grazie.»
«Lascia, faccio io.»
«Non ho due anni, Lena.»
«Per me è come se li avessi.»
Mentre gli spalmava grossolanamente la protezione sulle guance, sul naso e sulle lenti degli occhiali, facendogli perdere la pazienza, Maddalena pensò che non avrebbe voluto nessun altro al suo fianco in quel viaggio. Conosceva Federico da una vita ed era come un fratello, per lei. Un fratello di un anno più giovane, per l'esattezza. Ci aveva sempre marciato sopra, fin da quando erano piccoli. Ma c'era una parte di Maddalena che non scherzava affatto: qualcosa, in Federico, l'avrebbe sempre fatta pensare al bambino che era quando frequentavano le elementari, a quella vaga chiazza di colore azzurro, giallo e rosa che ravvivava i suoi ricordi e che era la medesima anche adesso, vent'anni dopo, con le lentiggini sul naso e le guance scottate dai finestrini assolati. Con Federico accanto, provava la sensazione di avere qualcun altro a cui badare, qualcuno da proteggere. E questa era la più grande distrazione che potesse desiderare.
C'erano quasi. Negozi con insegne a ideogrammi e ristoranti asiatici ancora chiusi si rincorrevano ai margini della strada, lasciando penetrare all'interno dell'abitacolo un vago sentore di spezie persino a quell'ora del mattino, ma per il resto il XIII arrondissement aveva molto poco di affascinante. Un tempo era stata una semplice area industriale, ma l'amministrazione di Parigi, a partire dagli anni '60 e '70, aveva cercato di riqualificarla attraverso operazioni urbanistiche come quella delle Olympiades - con scarsi risultati, pensava Maddalena, ma non l'avrebbe mai detto a nessun parigino, nemmeno a Usman. - Moderni grattacieli senza personalità si alternavano ai più familiari edifici in stile Haussmann, tutti ordinati, tutti rigorosi, tutti uguali. Giallo e grigio, giallo e grigio. Maddalena non ricordava altro. Quando le nubi si addensavano sui tetti della città, però, il contrasto così ravvicinato li faceva quasi brillare d'azzurro, e così il coperchio che soffocava l'anima di Baudelaire spirava invece nuova vita nel cuore pulsante di Parigi. Anche il calare della notte ricreava lo stesso effetto, secondo lei. Parigi di notte era un'altra città. Una città che a Maddalena piaceva.
All'incrocio, l'avenue d'Ivry era diventata l'avenue de Choisy.
«È lui?»
Usman accostò sulla destra. A qualche centinaio di metri di distanza, Maddalena poteva vedere ammiccare la rotonda verde di Place d'Italie, un luccichio d'alberi appena sopra i tettucci delle auto in coda. Ci avevano messo più della mezz'ora prevista. Erano stati quaranta, forse quarantacinque minuti. Il quadro del taxi segnava le otto e trentaquattro. Federico passò la sua carta di credito a Usman, ignorando le proteste di Maddalena.
Quando il taxi ripartì, Maddalena avvertì una stretta al cuore. Non avrebbero mai più rivisto il simpatico tassista nigeriano che li aveva accompagnati al loro albergo nel XIII arrondissement di Parigi, e anzi da lì a qualche mese non si sarebbero più neppure ricordati come si chiamava. Ma a Maddalena era piaciuto fin dalla prima occhiata. Fin dal momento in cui l'aveva visto aspettarli appena fuori dall'aeroporto, mentre teneva in mano un foglio sgualcito con su scritto "Recalcati-Brunetti". L'aveva fatta sentire come in un film di Woody Allen.
Senza farsi vedere da Federico, si appuntò il nome di Usman sul telefono. Così, nel caso in cui avesse avuto di nuovo bisogno di un taxi all'aeroporto di Parigi. Sperò solo che, per allora, Usman fosse riuscito a smettere di fumare.
«Hai tutto?», le chiese Federico salendo sul marciapiede.
«Dovrei chiederlo io a te», replicò Maddalena, mentre l'altro si incamminava.
«Non ci credo», lo sentì esclamare, «È proprio lui.»
Se solo Federico avesse saputo che lei ci credeva ancora meno. Ma quando Maddalena ebbe il coraggio di alzare gli occhi, per la prima volta da che aveva messo piede fuori dal taxi, Samuel era davvero lì, in piedi davanti alle porte dell'albergo, a fumare.
Era più alto di come l'aveva lasciato l'ultima volta. Più alto persino di Federico. Era come se qualcuno lo avesse tirato per il collo: della carne che aveva addosso quando aveva diciassette, diciotto anni, non c'era più traccia. Allora, per quanto si fosse già evoluto nell'adolescente pigro e svogliato che Maddalena continuava a ricordare, conservava ancora il fisico atletico di quel ragazzino che aveva studiato arti marziali, che aveva giocato a calcio e poi a pallavolo e che andava sempre a scuola in bici, anche quando la neve era così alta da bloccare il resto della città. Ora, invece, era asciutto e allampanato, sparuto come un pulcino, con quell'aria un po' vissuta che hanno i bambini di Charles Dickens.
Maddalena avvertì crescere in lei un sentimento stranamente simile alla delusione, quasi che si aspettasse di rivedere Samuel tale e quale era nei suoi sogni. In verità, nei suoi sogni, ognuno di loro era di nuovo come allora: anche lei, anche Federico, e poi Achille, Gabriella, Ida... Ma chi era il giovane uomo che aveva davanti? Così magro, così alto, chiaro - nel viso, negli occhi -, da far pensare che con lui gli anni avessero iniziato il loro lavoro troppo presto. Maddalena per poco non si sentì mancare, come se all'improvviso avesse già visto Samuel alla fine del suo tempo e quello di fronte a lei non fosse altro che il suo fantasma.
«Gesù, Fede, non sei cambiato per niente.»
Samuel e Federico si stavano abbracciando. Federico si era sfilato lo zaino dalle spalle e l'aveva gettato a terra. Aveva le braccia di Samuel strette attorno al torace, le mani - mani grandi e lisce, bianche, con dita lunghe come steli - spalmate sulla maglietta e la sua testa su una spalla.
Mio Dio, pensava Maddalena guardandolo, persino le sopracciglia, persino quelle sembrano sbiadite.
Aveva uno sguardo così tiepido, adesso, smorzato. Quegli occhi, che Maddalena ricordava stretti, affilati, scaltri, ora non sembravano che gli occhi di un vecchio gatto addomesticato dal tempo. E lei? Cosa pensava lui di lei? Come gli sembrava? Più vecchia, più brutta, noiosa? Cosa...
«Mad?»
Maddalena aveva ancora lo zaino sulle spalle. Per questo, forse, Samuel le avvolse le braccia attorno al collo. Era un tocco morbido. Non freddo. Sicuramente non appassionato. Aveva ancora la sigaretta fra le dita e Maddalena - il viso affondato per metà nel braccio dell'altro - riusciva a intravederne il polso piegato verso l'esterno, torto a quel modo per non rischiare di sfiorarle i capelli con la punta rovente.
«Ehi.»
Non le uscì altro. Si sentì muovere come al rallentatore. Non avrebbe saputo dire con esattezza quando, ma a un certo punto doveva avergli posato le braccia sulla schiena, perché all'improvviso ce le aveva lì, scaldate dal tepore che il suo corpo emanava da sotto il tessuto. Non gli era così vicino da anni, più anni di quanti volesse ammettere. Erano al liceo, forse una delle ultime volte che si erano visti. Era piena estate e attorno a loro l'aria ronzava come un unico nugolo di zanzare. Non si abbracciavano, ma si guardavano negli occhi. Le schegge della panchina graffiavano le gambe. Il cielo nascosto dagli alberi. I volti luminosi per il sole e il sudore. Il calore.
Samuel si staccò.
«Allora, come state?»
L'hotel era un edificio lungo e stretto, incastrato fra due alti palazzi pieni di finestre. Attraversate le porte a vetri, la hall si apriva davanti a loro come un parallelepipedo perfetto, sul quale i piani superiori si impilavano come altrettanti parallelepipedi perfetti. Era uno spazio spoglio, quasi surreale, con le pareti bianche e il pavimento traslucido, grigio e vibrante sotto la luce delle lampade appese al soffitto. Maddalena provò quasi tristezza. Dio, se avesse potuto poggiare un orecchio a tutte quelle porte che si rincorrevano sopra la sua testa. Non le sarebbe neppure servita una penna: avrebbe ascoltato racconti così incredibili, o così incredibilmente normali, da averne il cervello occupato per il resto dei suoi anni. Avrebbe avuto da scrivere per un'infinità di libri, così tanto che alla fine le parole sarebbero finite, e così forse avrebbe iniziato a dipingerle o a recitarle o a tradurle in lingue morte, e dopo ancora avrebbe provato a inventare una lingua nuova, che avesse abbastanza parole da bastarle per tutte le storie di una vita. C'era un senso di vertigine in quel pensiero. La possibilità di non toccare mai il fondo del pozzo, il punto più remoto dell'universo. Non sapere quali segreti erano rimasti chiusi in ogni stanza, rannicchiati nella doccia o sotto al letto, e avere la consapevolezza che il loro numero non sarebbe mai diminuito, che anzi almeno un'altra cifra si sarebbe aggiunta addirittura il giorno stesso del suo arrivo, e che avrebbe continuato a crescere fino alla fine, per una catastrofe o una demolizione o un cambio di gestione. Maddalena, Federico, Samuel, il personale dietro al bancone della reception e i turisti seduti all'ingresso: erano tutti dentro allo stesso limbo, uno spazio di mezzo, calpestato da centinaia, forse migliaia di passi ogni giorno, e nessuno dei quali destinato a restare. Anche loro, come tutti gli altri, se ne sarebbero andati e avrebbero lasciato dentro qualcosa di impercettibile, fosse anche solo l'aria che avevano respirato e buttato fuori. E poi chissà, un giorno, dopo la morte, una parte di tutti quanti loro si sarebbe riunita nello stesso punto, per un caso fortuito, atomi di idrogeno nelle infinite molecole d'acqua del medesimo, sconosciuto fiume. Si sarebbero incontrati di nuovo, come vecchi amici.
«Ti lascio la mia carta d'identità per il check-in», il tocco di Federico la riscosse, «Io vado al bar a fare colazione. Ti porto qualcosa?»
«No, grazie», Maddalena scosse la testa, «Ci vediamo su.»
Si diresse alla reception, salutò l'uomo con la camicia bianca che l'avrebbe servita e poggiò il proprio documento e quello di Federico sul bancone, mettendosi a frugare nello zaino in cerca della copia della prenotazione. Mentre l'uomo con la camicia - Jacques, così diceva il cartellino sul cuore - controllava che tutto fosse in regola, Maddalena guardava fuori. Samuel stava finendo la sua sigaretta. Era in piedi davanti alle porte a vetri, di profilo, lo sguardo perso (o intento, non avrebbe saputo dirlo) da qualche parte di fronte a sé. Il mento era alto, e così pure l'angolo della bocca, come se dopo il loro incontro si fosse scordato di smettere di sorridere. A cosa pensava? Sembrava rilassato. La mano libera era nascosta nella tasca dei pantaloni di lino. Le boccate erano poche e lente, ma la sigaretta continuava a bruciare. Maddalena guardò nella direzione in cui era scomparso Federico e riuscì a scorgerlo, nel salone accanto, seduto a un tavolo che leggeva il menù. Si spostò allora su Jacques e vide che stava confrontando i dati sulla prenotazione con quelli che leggeva sullo schermo del computer. La sigaretta di Samuel era poco più che un mozzicone.
«Tout va bien?»
«Bien sûr, mademoiselle.»
E allora perché ci stava mettendo così tanto? Maddalena rispose incerta al sorriso di Jacques e trattenne l'istinto di tornare a guardare Samuel. Aveva una paura tremenda di coglierlo nell'esatto momento in cui le porte a vetri scorrevano di lato per lasciarlo entrare. Se solo Federico si fosse trattenuto lì con lei, o se Jacques avesse fatto più in fretta... Le avrebbe consegnato la chiave, lei l'avrebbe presa e sarebbe corsa prima di tutti nella loro camera per nascondersi in bagno con la scusa di farsi una doccia. Certo, Federico sarebbe rimasto chiuso fuori, ma avrebbe sempre potuto chiedere alla reception una seconda chiave e ogni problema si sarebbe subito risolto: Federico non avrebbe passato un'ora nel corridoio del loro piano e Maddalena un singolo minuto da sola con Samuel.
«Ecco a lei i suoi documenti.» Maddalena allontanò le unghie dalla bocca e ringraziò Jacques quasi senza guardarlo, mentre infilava tutto nello zaino già aperto.
«Ed ecco la chiave.»
Stavolta la voce era di Samuel. Le era arrivato alle spalle senza che se ne rendesse conto e ora le stava mostrando la chiave elettronica della stanza. Trentasei era il numero stampato sulla tessera di plastica, ormai quasi sbiadito. Maddalena non sapeva se significasse qualcosa. Non aveva mai creduto a quel tipo di cose, anche se a volte le piaceva pensarci come a un gioco. Tre più sei? Nove. E tre per sei? Diciotto. Ma uno più otto? Sempre nove. Poteva essere un segno di qualche tipo? Non lo sapeva, e di certo non ci si sarebbe arrovellata. Magari una volta tornata a casa lo avrebbe chiesto a quella loro vecchia compagna che ora leggeva i tarocchi, così per curiosità. Rivolse un'ultima occhiata sconsolata verso il bar e imboccò le scale dietro a Samuel.
Per la prima rampa nessuno dei due parlò, ma alla seconda Maddalena si ritrovò a chiedersi che cosa quel silenzio stesse suggerendo a Samuel. C'era un modo per convincerlo di non avere alcun problema senza però aprire bocca? Un trucco per far dire a quel silenzio le parole giuste? Piegarlo in una qualche maniera, come si influenza la temperatura di una stanza chiusa semplicemente standovi dentro?
«Tu cosa fai adesso, Mad?»
Aveva ancora quel suo modo di mettere sempre in mezzo il nome dell'altro quando gli parlava. Era una cosa piccola, ma faceva parte del suo carisma. Ti faceva sentire al centro delle sue attenzioni, anche quando magari ti stava solo chiedendo quanto mancasse al prossimo autobus. Ma se poi guardavi alle sue azioni, mentre ti parlava, raramente capitava che le due cose coincidessero. Anche adesso, Samuel era davanti a lei, di spalle, intento a capire quale fosse il lato giusto da cui far scorrere la tessera.
«L'assistente universitario», gli rispose, rendendosi conto di non poter fare a meno di guardare le sue mani mentre armeggiavano con la chiave.
«Ho sempre voluto sapere che cosa facessero quegli stronzi fuori dagli esami.»
La serratura scattò accompagnata da un trillo elettronico e una lucina verde. Maddalena non poté impedirsi di sorridere.
«Portiamo il caffè al grande capo, e una volta all'anno ci facciamo esorcizzare per levarci di dosso gli anatemi dei ragazzi.»
Un'altra grazia che si poteva sperare di ricevere da Samuel era il dono della sua risata. Era aperta e sguaiata e spesso assolutamente sproporzionata a ciò che era successo, ma ti faceva sentire tutto il merito di essere stato tu a scatenarla. Maddalena ricordava che, a volte, un secondo prima di mettersi a ridere, e quindi un secondo prima di socchiudere gli occhi, lui cercava il suo sguardo, come a dirle che era stata brava, e che quella era stata un'ottima battuta. Ricordava bene anche la sensazione di calore che quel gesto le suscitava, così come il desiderio che accadesse ogni volta di nuovo. Ma udirla adesso, uscire da quel corpo sbiadito, le faceva uno strano effetto, come di una barzelletta sconcia raccontata da un bambino. Si portò un dito alle labbra. «Probabilmente c'è ancora qualcuno che dorme.» Samuel sollevò in aria entrambe le mani senza dire niente.
La stanza sarebbe stata troppo stretta anche per due persone soltanto, ma c'era un balconcino, perciò Maddalena concluse che nessuno di loro sarebbe morto asfissiato. Sulla destra c'erano due letti (un singolo e un matrimoniale), mentre sulla sinistra un armadio, un piccolo scrittoio e la porta del bagno. Il borsone di Samuel era abbandonato sul letto matrimoniale. L'aveva poggiato a terra, sul treno? E in metropolitana? Non pensava a quanti germi potessero esserci sul suo zaino che ora si stavano spostando in lunghe carovane di nomadi sul lenzuolo in cui avrebbe dormito?
«Io vado a farmi una doccia.»
Maddalena si sfilò lo zaino dalle spalle e lo poggiò accanto al letto singolo.
«Non c'è la doccia.»
Stava scavando alla ricerca delle ciabatte, quando si fermò di colpo con un paio di pantaloni impugnati a mezz'aria.
«Cosa?»
«Intendevo che c'è una vasca.»
«Oh, sì. Certo.»
Samuel la stava guardando, ancora quel mezzo sorriso dimenticato. Erano entrambi in piedi nello spazio tra i letti e l'armadio, un corridoio di novanta centimetri appena. Lui era davvero alto, Maddalena gli arrivava a malapena alle spalle. Si sentì scomoda, scomoda e piccola, come un ricordo di poco conto che cerca di riaffiorare in superficie. Da bambina era sempre stata lei la più alta, almeno finché lui non aveva cominciato a crescere, un centimetro per volta, visibilmente. E Maddalena, in cuor suo, ne teneva traccia quasi con orgoglio, nonostante si fingesse infastidita. Ma ora era altissimo, alto che più alto non si poteva, e non sarebbe cresciuto più, neppure di un millimetro, neppure per sbaglio.
«Sei proprio minuscola, Mad.»
Le leggeva nel pensiero anche lui come Usman? Sperava di no, perché da quando erano arrivati all'hotel i suoi pensieri si erano fatti davvero strani. Lo scansò cercando di non inciampare nella pediera del letto.
«Così puoi avvisarmi prima di tutti quando inizio a perdere i capelli.»
Di nuovo quella risata.
«Posso chiudermi?» Aveva già una mano sulla maniglia, quando le venne in mente che forse chiudersi a chiave nell'unico bagno della camera, senza prima chiederlo, non fosse l'apice dell'educazione. Samuel stava cominciando a svuotare il suo borsone.
«C'è un bagno comune su questo piano. Nessun problema. »
Ecco un altro strano pensiero. Lo scacciò via con un giro di chiave.
«Mad?»
Maddalena ebbe un sussulto.
«Sì?»
«Non mi hai chiesto che cosa faccio io.»
«Oh.» Per qualche ragione non ci arrivò subito; dovette sbattere un paio di volte gli occhi a vuoto prima di riuscire a schiarirsi le idee. «Lo so già.», replicò, poi realizzò quello che aveva detto, «È... è stato Fede, sul taxi. Complimenti.»
«Grazie, Mad.»
Si spogliò, appese i vestiti accanto agli asciugamani (tre, uno per ognuno di loro) e si sedette nella vasca ancora vuota. Fermò i capelli sulla nuca con l'elastico che teneva al polso. Allungò un braccio per ruotare la manopola rossa; l'acqua, ancora fredda, le trafisse le gambe come una pioggia di vetri. Sperava che iniziare il bagno in quel modo potesse dare una scossa ai suoi pensieri, diradare la nebbia che già da qualche ora le offuscava la mente e gli occhi. Era come se, anche guardando dritto davanti a sé, non riuscisse a cogliere le cose nella loro sostanza, come se almeno uno dei suoi occhi rimanesse sempre rivolto all'interno. Tutto, fuori, era un vago rumore di immagini. Solo se si concentrava abbastanza era finalmente in grado di vedere il rubinetto, vederlo per davvero, percepirne i contorni, il colore, la sensazione che le avrebbe dato al tatto. E allora d'improvviso le sembrava che la bruma svanisse, che il sole filtrasse in mezzo alle nuvole e non c'era più nient'altro dietro ai suoi occhi a sovrapporsi con lo spettacolo del mondo. Ma durava così poco, e poi di nuovo sprofondava nella foschia, in quell'interferenza di immagini assommate e fumose, dove le pareva di vedere i propri pensieri camminare in mezzo alle cose.
Mentre l'acqua si scaldava, la stessa stanchezza che l'aveva colta anche sull'aereo tornò di nuovo a intorpidirla, rendendole ancora più difficile distinguere i pensieri dalla realtà. Che cosa avrebbe trovato una volta uscita dal bagno? Federico aveva già finito la colazione? Era tornato in camera? Le sembrava che ci fosse silenzio, di là, ma forse era solo troppo stanca per concentrarsi a sufficienza su quello che sentiva. E se avesse trovato Samuel da solo, che cosa gli avrebbe detto? Glielo avrebbe detto? Adesso, all'inizio di quei tre giorni, ancora tutto il fine settimana davanti? Samuel (Samu? Sam, forse?), senti, devo raccontarti una cosa. C'è un motivo se avete risposto solo tu e Fede alla mia chiamata, se ci siamo solo noi, qui, alla fine. Ti sembrerà una cosa folle, sai, e lo so anch'io, ma sono mesi, non so più nemmeno quanti, ormai, che, come dirlo, be' che continuo a sognarti, insomma, sì, quasi ogni notte, ininterrottamente. Non so perché succeda, mi sono fatta qualche idea, certo, ma poi alla fine di tutto ho pensato che l'unico modo, forse, magari, sarebbe stato rivederti. Profumi di lavanda, te l'hanno mai detto? Da quant'è che non ci vedevamo? Dieci anni? E non mi era mai successo di sognarti, non così spesso almeno, te, Fede, Ida, Gabri... ma te, soprattutto, per qualche motivo. Hai un forte, fortissimo profumo di lavanda, come di fiori appena colti, così tanto che vorrei mangiarti, berti come un infuso caldo. Non so se c'entri con... non lo so, ci ho pensato, ma poi, in che modo? Non racconta di te, non racconta affatto di te, o forse tutto, tutto in un modo o nell'altro racconta di te nella mia vita, forse tutte le vite alla fine non parlano che di una cosa sola e forse, forse parlandone con te potrei... un campo, un intero, sterminato campo di fiori di lavanda, una lunga rincorsa di migliaia di luminosi occhi viola spalancati sul cielo, come il volto di Argo disteso su un prato a riposare...
Aprì gli occhi. Era scivolata giù fino ad avere la schiuma sotto al naso. Per quanto tempo aveva dormito? Non sembrava molto. Si mosse in cerca del telefono e scoprì che il collo le doleva terribilmente. Si alzò un po' incerta sui piedi, si sporse verso l'asciugamano più vicino e se lo avvolse intorno al corpo; era lungo abbastanza per coprirla fino a metà coscia. Scavalcò prima con una gamba e poi con l'altra. Si guardò i piedi da una distanza quasi siderale, mentre sgusciavano nelle ciabatte come piccoli pesci. Le tornò in mente che in mezzo al suo sonno confuso a un certo punto le era parso di udire chiudersi la porta della camera; con ogni probabilità era rimasta nel bagno tanto a lungo che Samuel si era stufato ed era sceso al pianoterra per raggiungere Federico. Mentre la vasca si svuotava gorgogliando allegramente, andò a sbloccare la serratura.
«Era ora, Mad.»
Maddalena tirò a sé la porta. Quello che vide allora non rientrava in nessuno degli scenari che si era prefigurata: Federico era steso sul matrimoniale a pancia in giù, braccia e gambe larghe come i raggi di una stella marina, apparentemente addormentato. Era piuttosto buffo. D'istinto Maddalena cercò lo sguardo di Samuel.
«Da quanto tempo è così?»
L'altro scrollò le spalle. Era seduto sul balcone. C'erano un tavolino e due sedie di ferro nero. Sul tavolino c'era un posacenere e Samuel stava fumando un'altra sigaretta.
«Da poco dopo che tu sei entrata in bagno.»
«Mi sono addormentata nella vasca.»
«Ed io che pensavo fossi annegata.»
Si sorrisero. Maddalena sentiva le punte dei capelli gocciolarle fra le scapole. A volte, l'acqua riusciva a insinuarsi sotto l'asciugamano, e così la sentiva scorrere lungo tutta la schiena come il tocco di unghie sulla pelle. Le faceva il solletico.
«Ho dimenticato i vestiti puliti», disse, indugiando sulla soglia del bagno.
«Mh, mh.» Samuele guardava un punto lontano oltre il balcone, la bocca piena di fumo.
Maddalena trascinò le ciabatte fino al suo letto, attenta che non schioccassero sul pavimento per non rischiare di svegliare Federico. Prese i vestiti che aveva lasciato sul materasso e tornò in bagno.
Si sciolse i capelli, diede le spalle allo specchio e iniziò a vestirsi. Se si muoveva troppo in fretta, su e giù dalla maglietta ai calzini e poi di nuovo, cominciava a vedere tutto nero e doveva fermarsi per qualche secondo. Avrebbe voluto preoccuparsi, pensare a cosa fare di preciso con Samuel, ma non ne aveva le energie. L'unica conclusione che trasse in quel tempo fu che forse non avrebbe dovuto fare tanta attenzione, un minuto prima, forse avrebbe dovuto camminare nella maniera più rumorosa possibile e svegliare Federico. Avrebbe sempre potuto farlo una volta finito di vestirsi, comunque. Sì, ecco: ecco che cosa avrebbe fatto non appena uscita dal bagno per togliersi da quell'impiccio. Ma dimenticò tutto nell'istante in cui Samuel bussò alla porta.
«Mad?» L'aveva lasciata socchiusa, rientrando, per cui si mosse un poco al tocco delle dita di Samuel, aprendosi verso l'interno. «Devo fare pipì.»
Andò a sedersi sul balcone, occupando l'unica altra sedia di fronte a quella di Samuel. Pensava che un po' d'aria l'avrebbe riscossa, ma dovette constatare che, vista la posizione della loro camera, spirava ben poco ossigeno lì dov'era: a eccezione di un fugace scorcio delle Olympiades sulla destra, l'intera visuale era occupata da uno di quei due grossi edifici pieni di finestre che affiancavano l'albergo, un mostro di cemento che torreggiava su di loro come il monolite all'inizio di 2001: Odissea nello spazio. I vetri erano talmente ampi e lucidi che Maddalena poteva vedere gli impiegati lavorare ignari nei loro uffici. Le sembrava quasi di spiare in una casa delle bambole.
«Bel panorama, eh?»
Samuel ricomparve accostando la porta-balcone dietro di sé. Maddalena gli indicò una finestra un po' più in alto sull'edificio di fronte.
«Quello lì sta giocando a World of Warcraft.»
«Chissà se si sentono osservati», suggerì Samuel.
«Magari sono loro che osservano noi», replicò Maddalena, continuando a guardare nella direzione del palazzo. Avvertiva la presenza di Samuel, ora seduto di fronte a lei - a dividerli, soltanto la superficie del tavolino - così vicina e così chiara da avere l'impressione che, non appena si fosse voltata, si sarebbe ritrovata i suoi occhi a un palmo dal naso.
«Allora dovremmo fare qualcosa di più interessante.»
Maddalena, incuriosita, gli lanciò un'occhiata fugace. Il mozzicone della sigaretta che Samuel aveva spento nel posacenere fumava ancora. Il suo volto era incorniciato dalle volute grigie.
«Hai qualche idea?», gli chiese.
«Be'», cominciò l'altro, incrociando le braccia, «Per esempio, potremmo far scattare l'allarme antincendio.»
Maddalena sollevò un sopracciglio.
«Sì», continuò Samuel, «Pensaci. Fede si sveglia nel panico, noi fingiamo che ci sia davvero un incendio e non gli diciamo niente fino a che non siamo tutti fuori.» Samuel allargò le braccia e la guardò carico di aspettativa. Maddalena rispose al suo sguardo.
«Si chiama reato di procurato allarme.»
«Ho abbastanza soldi per permettermi un buon avvocato.»
«Oh, in questo caso», rifletté Maddalena, «Appicchiamo noi l'incendio.»
Samuel scattò sul bordo della sedia.
«Geniale», esclamò, puntandole un dito, «Assolutamente geniale. La giornata d'ufficio più esaltante di tutta la loro vita.»
Maddalena era divertita. Quando non pensava a quello che doveva dirgli, si sentiva solo contenta di essere lì, con Samuel. Chiacchierare era facile, come da piccoli. Non era mai riuscita a capire se fosse stata lei, a perderlo, o lui a perdere qualcosa di se stesso, ma, ogni volta che nella sua vita qualcuno si era allontanato, aveva sempre avuto la sensazione che lei sarebbe rimasta uguale, imprigionata nell'ambra come una di quelle zanzare vecchie di millenni. Le era successo la prima volta quando i suoi amici più cari erano andati a studiare fuori, mentre lei era a un'ora soltanto da casa. Aveva subito avuto la sensazione che tra il loro ultimo saluto prima della partenza e quello successivo, al loro ritorno, sarebbero successe cose enormi, cose bellissime, cose assolutamente straordinarie, ma non per lei. Maddalena sarebbe rimasta lì, nello stesso posto, in mezzo alle stesse persone. Si era sentita come una bambina che si perde al supermercato e che, dopo tanto girovagare, riesce finalmente a ritrovare i suoi genitori, solo per scoprire che sono diventati cento anni più vecchi, e allora si chiede dove siano stati tutto quel tempo, dove sia stata lei. Ma nessuno lo sa.
«Guarda quei nuvoloni», Maddalena li indicò con un cenno della testa.
«Dove? Io non vedo niente», Samuel afferrò i braccioli della sedia e fece forza per sollevarsi un po', sporgendo il capo a destra e a sinistra oltre la ringhiera del balcone, «Oh, intendevi oltre questo enorme pisello di cemento.»
«Scusa?», Maddalena scoppiò a ridere.
«Dai, è vero, guardalo», insisté Samuel ricadendo sulla sedia, «Questo coso fa schifo, è un pugno in un occhio.»
«Be', allora prenotalo tu, l'albergo, la prossima volta», replicò Maddalena, fingendosi piccata.
Samuel si passò una mano fra i capelli e tirò indietro la testa. «La prossima volta che verremo qui avrò un attico in centro in cui ospitarvi tutti», disse in tono lezioso.
«‟Tutti", ossia me e Fede?», gli fece il verso Maddalena, gettando uno sguardo verso l'interno della stanza.
Samuel alzò le spalle. «Magari alla prossima ti risponde anche qualcun altro, tipo Gabri o Ida... »
Maddalena si ritirò lentamente contro lo schienale della sedia, le braccia più strette attorno al ventre. In quel momento le fu impossibile guardarlo, o dire altro. Teneva gli occhi sui grattacieli in lontananza, senza vedere niente. Desiderò che quella sedia si trasformasse in una poltrona, così forse sarebbe riuscita a sprofondarvi dentro per l'eternità, o almeno per il resto di quella giornata.
«Dovremmo svegliare Fede», disse infine, e Samuel non ribatté nulla. «Il meteo porta pioggia, meglio uscire finché c'è bello.»
«Piove? Oggi?», replicò Samuel. Sembrava più giovane, nella sua incredulità. Guardava il cielo azzurro sopra di lui come se l'avesse tradito. Il contorno armonico dei suoi ricci sbiadiva nella luce del sole.
«Stasera», confermò Maddalena, «O almeno così ha detto Usman.»
«Chi è Usman?»
Maddalena si sforzò di guardarlo di nuovo negli occhi. Non voleva pensasse che aveva qualcosa di strano, anche se era vero.
«Il tassista che ci ha accompagnati», gli rispose.
«Usman», ripeté Samuel sottovoce, la fronte contratta, «Non era anche il nome del fratello di-»
Maddalena sgranò gli occhi. «Aisha», esclamò, contenta di poter pensare a qualcos'altro, «Allora probabilmente avevo ragione. Parlava inglese proprio come lei, sai?»
«Tu l'hai più vista? Mi stava davvero simpatica. Era una delle persone più divertenti che conoscevo», Samuel sorrideva raggiante, come se il solo ricordo potesse farlo sentire di nuovo felice come allora.
«L'ho incontrata qualche volta in stazione, per i primi anni dopo la fine delle medie», rifletté Maddalena, poi scosse la testa, «Ma ormai è un sacco di tempo che non la vedo più.»
«Ho sentito», cominciò Samuel, ora più tranquillo, «che Usman, suo fratello, be'... mi sa che è morto.»
«Oh.» Maddalena non riuscì a dire nient'altro, seguiva le mani di Samuel mentre aprivano il pacchetto di sigarette in cerca di una nuova da iniziare. «Com'è successo?», chiese dopo un po'.
«Non ne sono sicuro, ma penso un incidente d'auto», rispose, armeggiando con l'accendino vicino alla bocca. La sigaretta, ferma tra i denti, si muoveva su e giù al ritmo delle parole. «Spero che il vostro tassista non faccia la stessa fine, visto che lavoro fa.»
Maddalena abbozzò un sorriso. «Già, che strana coincidenza.»
«L'hai sentita?»
«Cosa?»
«Chi», la corresse Samuel, sorridendo con l'angolo della bocca libero dalla sigaretta, «Aisha. L'hai sentita quando hai chiamato tutti per organizzare?»
Maddalena non poté ritrarsi di più, questa volta. Percepiva lo schienale di ferro della sedia premerle sulla pelle come la parete di una cella. D'un tratto sentì caldo a tutte e due le guance e come l'enorme mano di pietra di un golem schiacciarle lo sterno fin quasi a sfondarlo. Avrebbe voluto anche lei una sigaretta, in quel momento. Odiava l'odore del fumo e odiava il sapore di catrame che le inondava la bocca, ma sarebbe stata una cosa solida, una cosa da stringere, e anche se l'avesse stretta troppo e si fosse rotta, allora si sarebbe chinata a raccogliere il tabacco dal balcone e si sarebbero dimenticati entrambi di tutta quella conversazione.
«Stai bene, Mad?», la voce di Samuel le spaccò la testa come un tuono durante un attacco di emicrania. «Sei diventata tutta rossa.»
«Sì, sì», rispose subito Maddalena, «È stato solo... » Ma non riuscì a dire cos'era stato. Senti, devo raccontarti una cosa. C'è un motivo se avete risposto solo tu e Fede alla mia chiamata, se ci siamo solo noi, qui, alla fine. Ti sembrerà una cosa folle, sai, e- e cosa? Cos'è che si era detta, nella vasca? Ricordava solo il torpore e il vapore che si alzava come nebbia dall'acqua e il bagnoschiuma alla lavanda...
«Mad?», si accorse a malapena di Samuel che si sporgeva verso di lei, che poggiava gli avambracci sul tavolino. Si riscosse tossendo, quando Samuel fu così vicino a lei da soffiarle in faccia il fumo della sigaretta.
«Scusami, sono un'idiota», stava dicendo, sventolando una mano in aria.
Maddalena scosse la testa, mentre tossiva ancora.
«Ne dai una anche a me?», riuscì a chiedergli con un filo di voce.
«Sei sicura?», replicò Samuel, «Non vuoi andare a riposarti un po' anche tu? Forse sei solo stanca, ti sei addormentata in bagno, prima. Non sono nemmeno le 11, c'è tempo prima che venga brutto.»
Maddalena continuò a scuotere la testa, ma ora aveva smesso di tossire. Allungò una mano verso di lui.
«Sicura.»
«Hai mai fumato?», gli domandò Samuel, guardandola di sottecchi mentre le porgeva il pacchetto aperto.
«So che mi fa schifo proprio perché l'ho già fatto.»
Samuel si arrese. «Vieni, te la accendo.»
Maddalena strinse le labbra attorno alla sigaretta e si chinò verso di lui. La fiamma si alzò al primo scatto dell'accendino. Istintivamente, sia maddalena sia Samuel vi accostarono una mano chiusa a coppa, per proteggerla dalla poca aria che si muoveva a quell'altezza. Le loro dita si sfiorarono più volte, tremando appena, come i colibrì quando rimangono fermi a suggere il nettare dai fiori. Maddalena aspirò. Nemmeno si accorse di avere gli occhi chiusi. Avrebbe giurato che le mani di Samuel sprigionassero molto più calore di quella piccola fiamma al cherosene.
«Mandi giù?»
«Assolutamente no», rispose Maddalena, tenendo la sigaretta tra indice e medio, squadrandola come se fosse un reperto alieno, «Meglio i denti gialli che un cancro ai polmoni.»
«Touché», ammise Samuel, «Anche se non sono troppo sicuro che funzioni così. Stai meglio?»
Maddalena non riuscì a trattenersi dal ridere. Chinò il capo sul petto, come se così avesse potuto nasconderlo allo sguardo dell'altro.
«Scusami, Samu», sospirò infine.
«Per cosa?», domandò. Sembrava sorpreso e confuso, e non aveva saputo mascherare una breve nota acuta nella voce.
«Ti ho detto una piccola bugia», confessò Maddalena, continuando a tenere gli occhi fissi sulla sigaretta che Samuel le aveva dato. Lui la stava osservando con un sopracciglio alzato, e lei lo sapeva anche senza guardarlo. «In realtà, l'ho detta sia a te sia a Fede, ma era importante che tu lo sapessi.»
«Okay», fece Samuel, e sembrava volesse dire solo questo, all'inizio, quando aggiunse: «Ci hai attirati qui per ammazzarci?»
A Maddalena per poco non andò il fumo di traverso. Le spalle le si sollevarono una, due, tre volte, per la risata che l'aveva colta senza preavviso, e per lo sforzo di respirare.
«Come hai fatto a scoprirmi?»
«Be', ho lavorato nei tribunali per un sacco di tempo», ammise Samuel, dandosi delle arie, «Sì, insomma, so il fatto mio.»
«Non ne dubito.»
«Allora, dimmi.»
«Oh, ma hai indovinato.»
«Dai, muoviti.»
«Vuoi sapere come morirai?»
«Mad.»
«Okay, okay.»
Si prese il suo tempo. Percorse ancora una volta le finestre degli uffici. Un tizio in giacca e cravatta stava fermo davanti ai vetri, sbraitando qualcosa nella cornetta di un telefono fisso. Due donne, sotto di lui, erano incorniciate ognuna alla propria scrivania, una bionda e l'altra mora, una anziana e l'altra un po' meno, una con la schiena dritta, l'altra piegata sulla tastiera del suo computer. Cercò di immaginarsi come avrebbero potuto vedere lei in quel momento, seduta con le gambe accavallate e una sigaretta in mano: che aria malinconica doveva avere, da vera ragazza parigina, oppure da giovane promessa dell'investigazione in un vecchio film noir. Quattro piani più in basso, il viavai degli ospiti che entravano e uscivano dall'ingresso dell'albergo faceva fremere l'aria come uno sciame di insetti.
«Allora?», soggiunse Samuel.
Maddalena non se la prese. Non era insistente, solo curioso.
«Ti ricordi ancora del mio romanzo?»
All'inizio Samuel parve disorientato. A Maddalena sembrò di poterlo osservare fotogramma per fotogramma. Il solco tracciato dalle sopracciglia che si stringevano. Gli occhi più piccoli sotto il peso fisico del pensiero. Le labbra strette. E infine la luce.
«Quello che stavi scrivendo l'ultimo anno di liceo?»
Maddalena annuì.
«Lo hai finito?»
«Non è così semplice.»
Maddalena sapeva che nel frattempo la sua sigaretta si era spenta ormai da un pezzo, ma continuò a tenerla fra le dita.
«I primi anni di università non sono stati facili», disse, «Il rapporto coi miei si era fatto abbastanza complicato e dopo la morte di mia nonna le cose sono solo peggiorate.»
«Condoglianze. Vuoi che te la riaccenda?»
Maddalena scosse la testa.
«Mia nonna era l'unica cosa, l'unica persona, che frenava mia madre dall'andarsene via. Non voleva darle un dispiacere, no? Vedere la sua unica figlia vivere quello che aveva vissuto anche lei: il divorzio, l'avvocato, la casa, i soldi. Me.» Maddalena si passava la sigaretta fra le dita con la stessa scioltezza di un illusionista con le monete. Era un trucco che aveva imparato da un suo amico quando andava ancora a scuola. «Era felice che sua figlia sembrasse felice. Quindi mia madre ha resistito fino all'ultimo e poi... », alzò le spalle, «Per mio padre è stato più difficile di così, ovviamente.»
«E per te?» Il posacenere stridette contro la superficie del tavolino. Samuel vi schiacciò il suo mozzicone.
«Io ero tranquilla, in fondo lo sapevo già. Mi preoccupavo per mio padre però.»
«Ora come sta?»
«Si è ripreso. Il fatto è che lo sapeva anche lui, solo che non ci pensava. All'inizio comunque è stato terribile. Suo padre, mio nonno, è venuto a mancare nello stesso periodo. Figurati come poteva stare in quel momento. Gli sembrava che dio ce l'avesse con lui.»
Samuel la ascoltava guardandola negli occhi. Non l'aveva mai visto così attento, così fermo. Era trascorso davvero tanto tempo. L'unica cosa che faceva era passarsi la mano sul mento, ripetutamente.
«Tu adesso dove-»
«Da mio padre», rispose Maddalena, «Non perché ce l'abbia con mia madre. È che lui ha tenuto la casa. Mia madre aveva iniziato da tempo a mettersi da parte un po' di soldi per comprarsi un appartamento e così ha fatto, e ha lasciato la casa a papà senza alcun problema. Io sto da lui perché mi piace stare a casa mia, e poi perché così è meno solo. Ogni tanto vado a dormire da mia madre per fare compagnia anche a lei, ma non è che ne abbia bisogno.»
«Ha trovato un altro?»
«Sì, da un paio d'anni. Non mi sta troppo simpatico, ma forse sono io quella difficile. Papà invece è più solitario. Ogni tanto quando chiacchieriamo mi parla di qualche donna che ha conosciuto, ma niente di più. Ma sta bene ora.»
«E tu?» Samuel accompagnò la domanda con un cenno del mento.
Maddalena sorrise.
«Se io sto bene? Sì, dai», si passò la sigaretta nell'altra mano e ripeté lo stesso giochino delle monete, «Adesso non devo più preoccuparmi che mia madre possa cadere in depressione o che papà si ammazzi. All'inizio lo temevo sul serio, sai? La seconda cosa, dico.»
«Non scrivevi molto in quel periodo, immagino.»
«No, infatti. Ma un po' sì. Lo facevo soprattutto a fine giornata, per non rischiare di andare a dormire pensando a tutto il resto. Ma era comunque poco il tempo in cui potevo permettermi di non pensare. A volte la sera invece di scrivere dovevo studiare, perché nel resto della giornata ero stata troppo occupata a preoccuparmi, appunto. Era come un impegno segnato sull'agenda.»
«Che merda, Mad. Mi dispiace.»
«Qualche volta, la domenica mattina», Maddalena si strinse nelle spalle, scomoda nella sua stessa pelle, «andavo in camera di mio padre a controllare che fosse lì. Il resto della settimana sentivo la sua sveglia che suonava, alle sei e un quarto, poi la sveglia che si spegneva e infine i suoi passi per casa, e sapevo che... che era vivo, insomma. Ma la domenica ero io la prima a svegliarmi e non avevo certezze.»
Aveva le mani sudate. La sigaretta le si stava sfaldando fra le dita. Non sapeva perché gli stesse raccontando così tanto, non aveva assolutamente l'idea di farlo. Voleva solo metterlo al corrente di tutto quello che si era perso? Oppure voleva rinfacciargli che non fosse stato presente? Prima le continue discussioni, i silenzi pieni d'orgoglio, fino a quell'ultima volta, quella sulla panchina assediata dalle zanzare, un pomeriggio d'estate... e poi la borsa di studio all'estero. Quando lui era tornato, lei neanche l'aveva saputo.
«Perché non mi hai detto niente?»
Le leggeva nel pensiero, Maddalena non aveva più dubbi.
«Non ci sentivamo da un anno, non ci vedevamo da ancora prima.» Non poteva davvero sentirsi di nuovo così ferita. Ne era passata di acqua sotto ai ponti: un intero diluvio universale, per dirla tutta. Ce l'aveva ancora con lui? «Perché sei sparito?»
«Potrei farti la stessa domanda.»
Oh, no. No, ti prego, Samu, non ti arrabbiare, non intendevo quello, non...
«Non lo so.»
«Non lo so neanch'io. Ma potevi chiamarmi per una cosa del genere.»
Maddalena sbuffò.
«E avresti risposto?»
«Per te avrei risposto sempre.»
Maddalena scoppiò a ridere. Rise così forte che un paio di teste, fuori dall'ingresso dell'albergo, si alzarono a guardare verso il loro balcone; dentro la camera, Federico, seppur ancora addormentato, cambiò posizione sul letto.
«Ma che hai?»
Due lacrimoni grossi come sassolini le stavano rotolando giù dalle guance rosse.
«Quanto sei melodrammatico.»
Samuel allargò le braccia.
«Fai sempre così», esclamò.
«Sempre?», replicò Maddalena, «Samu, sono quasi dieci anni che non ci vediamo.»
«E l'ultima volta ti sei comportata nello stesso, identico modo.»
«L'ultima volta, intendi... ?»
«Lo sai che intendo. Sulla panchina del parco, prima dell'inizio degli esami.»
Maddalena gelò.
«Te lo ricordi?»
«Se me lo ricordo? Mad, io ti ho chiesto di baciarmi e tu mi hai tirato uno schiaffo!»
Si sentì avvampare in viso.
«Era per scherzo, non te l'avevo tirato forte! Volevo sdrammatizzare.»
«Non me ne frega niente, Mad. Dio, è il gesto!» Samuel si era sporto verso di lei, lasciando ricadere le braccia sul tavolino, che fremette tanto, sotto l'urto, da mandare il posacenere in terra. La cenere si aprì a raggiera come un piccolo sole nero. «Lo sapevi che avevo fatto domanda per quella borsa di studio!»
«Per questo mi sono tirata indietro», replicò Maddalena, sporgendosi a sua volta nella sua direzione, «Sapevo che te ne saresti andato. Era ovvio che avresti vinto quella borsa, avevi una media perfetta, un curriculum impeccabile. E allora tra noi due cosa sarebbe successo? Avremmo rischiato di rovinare tutto, e per cosa? Per un paio di mesi insieme?»
«Si è rovinato tutto comunque!» Samuel aveva le braccia tese verso di lei, i palmi rivolti al cielo, come a dire "Avanti, guardaci." «Mi hai lasciato andare via con quell'ultimo ricordo di noi due impresso a fuoco nella testa. Eri talmente convinta di fallire, fin dall'inizio, che nemmeno... » Ritirò le braccia. Se le raccolse in grembo, come Maddalena aveva visto fare in tanti documentari a certi animali piccoli e spaventati. Le pizzicavano gli occhi. Detestava discutere quando non poteva avere ragione. La sigaretta era aperta di fronte a lei, il tabacco sparso sulla superficie del tavolo. Una prima, improvvisa folata di vento ne fece roteare un po' in aria, come piccoli, sporchi fiocchi di neve. La seconda, invece, mascherò il sospiro di Samuel. «Cosa c'entro io con il tuo romanzo?»
Maddalena si era quasi dimenticata da dove tutta quella discussione fosse iniziata.
«È da un paio di mesi che faccio dei sogni un po' strani», sollevò lo sguardo, pronta a saggiare la reazione di Samuel, «E nella maggior parte ci sei tu.»
L'altro non disse niente.
«Be'», proseguì Maddalena, in parte intimidita dal suo silenzio, «Spesso c'è anche qualcun altro del vecchio gruppo, soprattutto Rico. Penso sia perché è l'unico che ho continuato a vedere per tutti questi anni. Ma al centro ci sei sempre tu, quasi ogni notte.» Si fermò di nuovo. Non sapeva quale risonanza stessero avendo le sue parole nella testa di Samuel, e aspettava come una specie di permesso per continuare.
«E?» Samuel si reggeva una tempia col dito indice.
«E ho pensato. A quale potesse essere il motivo dietro questa cosa. Ho pensato... e ho realizzato che tutto è iniziato quando mi sono bloccata con il romanzo.»
«Sempre quello?»
«Sempre quello.»
«Quasi dieci anni.»
«Qualche disgrazia ci si è messa in mezzo.»
«In che punto ti sei bloccata?»
Maddalena abbozzò un sorriso.
«Il finale.»
«Quindi», esordì Samuel, «Tu per qualche mese sogni i nostri vecchi amici, me in particolare. Così decidi di invitarmi per un weekend a Parigi insieme a Fede, l'unico con cui non hai perso i contatti e col quale, quindi, ti senti ancora a tuo agio. Ovviamente, affinché la cosa non sembri troppo strana (e lasciami dire che lo è), fingi di aver telefonato anche a tutti gli altri per una specie di "avventurosa rimpatriata", per poi dire a noi che siamo state le sole due persone ad averti risposto. E tutto questo perché pensi che in un qualche modo io possa essere connesso al tuo blocco dello scrittore.»
Maddalena annuì.
«Esatto.»
Samuel sollevò le mani in segno di resa.
«Ma davvero un assistente universitario guadagna così tanto?»
Maddalena sorrise. Qualcosa, fra il petto e la gola, si era appena sciolto.
Samuel appoggiò i gomiti sul tavolino, adagiando la fronte sui palmi aperti. Dopo un po', risollevò appena il capo, per sbirciare Maddalena fra le dita.
«Allora», disse, «In che modo io e il tuo romanzo siamo collegati?»
«Credo c'entri tutto con quello schiaffo.»
«Ma non mi dire.»
«È che non sono mai andata avanti.» Maddalena era attonita. Non avrebbe mai immaginato che parlare di una cosa tanto vecchia potesse suscitarle un sentimento tanto vicino a quello che aveva provato allora. Sentiva la voce tremarle fra i denti prima di lasciare il rifugio delle labbra. «Continua a essere importante. Non potevo sapere se lo fosse mai stato per te. Non so se ora lo sia. In realtà non pensavo nemmeno che te lo ricordassi. Ma per me è sempre stato lì. Immagina la mia testa come un enorme palazzo pieno di stanze e, di tutto questo immenso edificio, il giardino sul retro non è altro che quel parco, con quella panchina, dov'è ancora estate.»
Samuel continuava a guardarla tra le dita. Era solo stanco, o cercava un modo per nascondersi, come lei prima aveva cercato una distrazione nella sigaretta?
«Io so come voglio chiudere il romanzo», continuò Maddalena, «È che non riesco a scrivere. Sono bloccata.»
«Aspetta», la interruppe Samuel, «Tu sai già il finale?»
Maddalena annuì.
«Mh, mh», fece Samuel.
«Mi è venuto in mente che forse non riuscivo ad andare avanti perché mi stavo lasciando qualcosa indietro. Mi sono chiesta: "Qual è il tuo più grande rimpianto?" e mentre cercavo una risposta ho iniziato a sognarti, te e gli altri. Non poteva essere una coincidenza. Così mi sono detta che forse il mio subconscio stava cercando di mandarmi un messaggio, e ho ripensato alla nostra situazione.»
«Situazione», ripeté Samuel.
«Sì, cioè, non ci siamo mai più visti da quel giorno. Dopo ci saremmo sentiti per telefono forse una decina di volte, ma senza mai parlare di quello nello specifico.»
«Cosa vuoi sapere, Mad?»
Le sembrava di essere di nuovo seduta lì. Poteva sentire il sangue scorrerle a ritroso nelle vene, la pelle sul suo viso ringiovanire, le schegge di legno bucarle il tessuto dei pantaloni, il sole filtrare tra gli alberi quando il vento smuove le fronde e tutto il tempo dell'universo andare in corto circuito in quel singolo rettangolo di superficie sul balcone di un hotel di Parigi. Quando parlò, persino la sua voce le ricordò quella che aveva a diciott'anni.
«Non farmelo chiedere», disse, prima di tuffare il viso fra i palmi per la vergogna. Vedeva tutto nero, ma poteva sentire le braccia di Samuel scivolare via dal tavolino, il suo corpo allontanarsi.
«Ovvio che per me è stato importante», furono le prime parole che la raggiunsero nell'oscurità delle sue mani. «Ci conoscevamo da una vita. Certo, magari io non ti sogno tutte le notti, ma allora mi piacevi, Mad, mi piacevi tanto. Io non volevo abbandonarti per quella borsa di studio.» Nel buio, sentì le sue dita sfiorarle un braccio. «Per me poteva funzionare.» Fu un attimo, e poi il tocco di Samuel la lasciò, un secondo prima che Maddalena sollevasse lo sguardo.
Lo vide che si rigirava il pacchetto di sigarette fra le dita. Lo metteva a testa in giù, poi di nuovo dritto, poi lo apriva e lo richiudeva e ci picchiettava sopra i polpastrelli.
«Perché non me l'hai detto?»
L'altro sollevò una spalla.
«Avevo diciott'anni, per me quelle erano tutte le parole del mondo.»
Si stava sollevando un vento freddo e costante. Entrambi avevano i piedi nudi sporchi di cenere e i vestiti spruzzati di tabacco. Qualcuno, sotto di loro, stava già infilando le braccia nel soprabito. Le imposte degli uffici di fronte iniziavano a chiudersi una dopo l'altra.
«Sei a posto ora?»
«Non fare così.»
«Non sto facendo nulla.»
«Sei sempre stato permaloso.»
«E tu così apprensiva.»
Maddalena si teneva le braccia, come se questo bastasse a scaldarla. In realtà, quell'improvviso calo di temperatura non la disturbava. Le veniva istintivo proteggersi, ma le piaceva. Il freddo aveva sempre avuto su di lei l'effetto di metterla di nuovo sull'attenti, qualunque cosa fosse appena successa.
«Non ho nulla, sul serio», disse Samuel. Il suo viso era disteso. Nella luce granitica del sole coperto, a Maddalena sembrava di vederlo con maggiore chiarezza. Avrebbe potuto tracciare ogni suo contorno con un dito, dalle clavicole alla mascella fino ai riccioli scuri, capello dopo capello.
La sedia gracchiò sulle piastrelle. Maddalena vide Samuel scivolare indietro e poi alzarsi. Lo raggiunse.
«Pensi che adesso riuscirai ad andare avanti?», le chiese lui.
«Penso di aver sentito quello che volevo sentire.»
Erano in piedi davanti alla porta-balcone. Dentro, il letto matrimoniale era vuoto e un filo di luce filtrava dalla porta chiusa del bagno. Doveva essere all'incirca mezzogiorno. Nessuno dei due sembrava voler rientrare, come se là fuori ci fosse ancora qualcosa. Osservavano gli impiegati di fronte scomparire a uno a uno dalle loro scrivanie.
«Ora sai tutto», disse Samuel.
«Quasi», lo corresse Maddalena.
Le loro spalle si sfioravano appena. Poteva udire il suono impercettibile delle loro maniche che sfregavano quando il vento ci passava in mezzo. Continuava ad agitare le dita nelle ciabatte, non sapeva se per il freddo o che altro. Se non badava ai pantaloni di lino che fremevano ai sussulti dell'aria, tutto in Samuel, invece, era fermo.
«Posso dirti una cosa?»
Maddalena annuì.
«Niente di quello che dirai potrà sconvolgermi, adesso.»
Samuel scoprì i denti in un sorriso sghembo.
«Forse», concesse.
«Dimmi, dai.»
«Secondo me ti sbagli.»
Maddalena lo scrutò con attenzione.
«Su cosa?»
«Sul perché siamo qui adesso», rispose Samuel, «Secondo me la tua testa è più sottile di così.»
«Cioè?», lo incalzò Maddalena.
«Non credo che tutto questo c'entri qualcosa con il rimpianto. Per me tu hai di nuovo paura.» Vide che la stava sbirciando con la coda dell'occhio. Non lo interruppe. Lui continuò. «Lo hai detto tu prima. Sai già che finale vuoi scrivere, eppure sei bloccata. E hai detto anche che finire questo romanzo segnerà una parte importante nella tua vita. Non so esattamente che cosa ti spaventi, se l'idea di separarti da questa storia, visto che ti ha accompagnato per tanti anni e per un periodo anche piuttosto brutto, o il fatto che magari hai paura che possa fare schifo, ma mi sembra la stessa situazione di allora. Sei già convinta che in un qualche modo andrà tutto male. Sei bloccata ancora prima di andare avanti. Sembra che tu preferisca rimanere nell'incertezza piuttosto che scoprire che la fine potrebbe non andarti giù. Ma dimmi se una sola volta ti è servito a qualcosa.»
Maddalena continuò a rimanere in silenzio, perché qualcosa le diceva che Samuel non aveva ancora terminato. Stava fissando un punto indefinito tra il palazzo e lo sfondo, forse un misterioso spazio di mezzo tra quelle due dimensioni, come se volesse afferrare qualcosa.
«Io quel giorno mi sono esposto. I rischi erano ovvi. Non è che, solo perché ho agito, allora io li stessi ignorando tutti. Non ero più stupido di te. È che speravo. Sai, no? Mi sembra abbastanza normale», rise, «Invece tu davvero sembrava non ci credessi neanche un po'.»
«Samu, io-»
«Io non so se ho ragione», sollevò una mano, come per scusarsi, «Ma tu pensaci, okay?»
Una, due, tre gocce. E poi dieci, cento, una fitta tenda di perle che cadevano giù perpendicolari dal cielo ancora semiterso. Era un'acqua fine, ma serrata, senza spazio di salvezza.
«Ha già iniziato.»
Maddalena e Samuel si voltarono. Federico era sulla soglia, i capelli bagnati e un asciugamano legato in vita. Le spalle curve reggevano ancora il peso del sonno.
«Maledetto Usman», mormorò, passandosi una mano sul viso, «Che facciamo, quindi?»
«Possiamo aspettare che smetta, così intanto tu finisci di darti una sistemata», stava suggerendo Samuel.
«Usciamo.»
Gli occhi di entrambi furono su Maddalena.
«Parigi la preferisco sotto la pioggia», disse, «E poi, ho portato due ombrelli.»
Federico la guardò come se le vedesse attraverso, quindi in un certo senso come se non la vedesse affatto. Aveva due occhiaie così profonde che, se si fosse sdraiato sotto il diluvio, Maddalena avrebbe potuto andarci a pesca. Alla fine diede una scrollata di spalle, «Almeno così non rischio di bruciarmi», disse, e tornò dentro a vestirsi.
Maddalena ora sentiva addosso solo lo sguardo di Samuel. Sollevò la testa. Aveva l'aria contenta.
«Che c'è?», gli chiese.
«Nulla.» Qualche goccia di pioggia gli era rimasta incastrata fra i capelli. Indicò la porta-balcone. «Andiamo?»
Maddalena stava per muovere il primo passo dentro la stanza, quando si sentì sfiorare il polso. Tornò a voltarsi.
«Voglio che domani mi racconti cosa avrai sognato stanotte.»
Non sapeva darsi una spiegazione, ma avrebbe davvero voluto dargli una carezza. Era così magro e tanto, tanto alto. Si sentiva solo, lassù? Quanto del ragazzo che aveva conosciuto era ancora rannicchiato nelle prime rughe sul suo viso? Quanto di ignoto c'era in quei colori tenui che evaporavano dal suo corpo alla luce del sole? Maddalena aveva un sonno terribile. Non capiva nemmeno quante di quelle domande avessero effettivamente un senso. Annuì, e Samuel la seguì dentro la camera.
La mattina dopo, l'aria sul balcone era fresca e pulita, chiara come Maddalena immaginava dovessero essere i ricordi più belli di tutta la vita nell'attimo stesso della fine. Erano le sette, forse sette e mezzo, e Federico non avrebbe dato segno di volersi svegliare per almeno un'altra ora. Lei, nel frattempo, era già scesa per la colazione e ne aveva approfittato per chiedere a Jacques un altro posacenere (scusandosi per la fine del suo predecessore.) Quando Samuel la raggiunse sul balcone per la prima sigaretta del giorno, Maddalena non aveva nulla da raccontargli.
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