La vita degli altri

"Sto
su un ramo
secco
mi piace
pensare
che presto
si spezza
intanto continuo
a vivere
come se avessi
i piedi
in terra."
(Alberto Moravia, "Poesie")

«Non lo so, Lu.»
«Che cosa non sai, Ale?»
«Se sia davvero giusto così.»
«Dio, è un'ora che ne parliamo! Speravo mi dicessi qualcos'altro!»
«E cos'altro potevo dirti, scusa?»
«Ma che cazzo ne so... tipo che cereali ti mangi per colazione.»
«Perché secondo te io adesso me ne torno a casa e riesco pure a mangiarmi latte e cereali così?»
«Se quelli nel braccio della morte riescono a sbafarsi hamburger e patatine prima di farsi friggere.»
«Be', non ho voglia di cereali.»
«Neanche di quelli coi pezzi di frutta?»
«Dio, no. Che schifo.»
«Guarda che non sono male.»
«Ci scommetto.»
«A proposito, passameli.»
«Sono questi col cartone azzurro?»
«Sì, quelli. Passameli, per favore.»
Alessandro grattò con le dita a uncino sulla pellicola trasparente dell'imballaggio, finché non si strappò. Tirò da parti opposte per ingrandire lo squarcio, come stesse sbucciando un mandarino. Provò a sfilare la prima scatola, ma lo spazio era troppo poco e non ci riuscì. Così tirò di nuovo.
«Devi rimanere lì a fissarmi per tutto il tempo?»
«Sto aspettando che mi passi i cereali.»
«Non puoi fare qualcos'altro intanto? Tipo cambiare i cartellini delle offerte?»
«No, ora voglio sistemare i cereali coi pezzi di frutta.»
Luca cominciò a incolonnare le prime tre scatole che Alessandro gli stava porgendo.
«È che sembri veramente rallentato, Ale. Da quant'è che non dormi?»
Alessandro strabuzzò gli occhi, incerto. «Be', oddio», s'interruppe, afferrando il carrello con entrambe le mani. Fissava le scatole che aveva davanti come fossero tanti regoli in scala aumentata che qualcuno aveva messo lì apposta per aiutarlo a fare il conto. «Saranno forse quarantasei o quarantasette ore.»
Lo scroscio rimbalzò fra le due pareti di scaffali fino a esplodere in tutto il supermercato vuoto con il fragore di un tuono. Da una corsia vicina, giunse una voce indistinta di donna.
«Cairoli, lo sai che se combini qualcosa lo ripaghi tu, vero?»
«Sì, sì», urlò Luca di rimando, chinandosi a raccogliere le scatole che aveva fatto cadere. «È tutto a posto.»
«Che ti è preso?», gli domandò Alessandro, accosciandosi anche lui per aiutare l'amico.
«Dovrei chiederlo io a te. Non dormi da quasi due giorni e me lo dici con questa leggerezza. Ma sei matto? E col lavoro?»
Alessandro fece spallucce, ma evitò lo sguardo di Luca.
«Mi sono dato malato.»
«È la terza volta in un mese o sbaglio?»
«Perché questa cosa mi sta facendo ammalare sul serio.»
Luca si fermò, in una mano i cereali coi pezzi di frutta, nell'altra quelli coi pezzi di cioccolato fondente che aveva trovato sul fondo dello scaffale. Guardò l'amico stringersi ancora nelle spalle come se volesse scomparirvi in mezzo.
«C'è freddo qua, eh?», mormorò Alessandro.
«Siamo di fianco ai surgelati.»
«Già.»
«Se ti fossi messo qualcos'altro sotto al cappotto invece del pigiama.»
Fuori era ancora buio e le poche luci che avevano acceso per illuminare le corsie non bastavano a dileguare le ombre sul viso di Alessandro. Anzi, sotto il chiarore freddo dei neon, a Luca sembrava di parlare con uno scheletro. Vedeva le occhiaie dell'amico scavarsi e riempirsi allo sfarfallare delle luci, e i suoi vestiti ciondolare in piedi come vuoti, fluttuanti nel bel mezzo degli scaffali. Sembrava il fantasma di qualcuno che fosse stato ucciso anni prima tra i bastoncini di pesce e i prodotti per la colazione. Gli allungò un pacco di biscotti.
«Mangia.»
«Cosa?»
«Mangiali. Lo so che sono i tuoi preferiti.»
«Ma non ho soldi con me.»
«Non te li farei pagare comunque, considerando che probabilmente ti licenzieranno. Ci penso io, non preoccuparti.»
Alessandro parve pensarci un po' su.
«Li dividi con me?»
«Certo.»
Luca si lasciò scivolare sul pavimento, la schiena sostenuta dalle fette biscottate dietro di lui.
«Dovremmo mangiare sul pavimento di un supermercato?», gli chiese Alessandro, guardandolo dall'alto.
«Guarda che sono io che pulisco questo pavimento, garantisco io per lui.»
«È di questo che mi preoccupo infatti.»
Luca sollevò un braccio e gli strappò i biscotti dalle mani. Alessandro fu costretto a raggiungerlo.
«Ale?»
«Mh?»
«Perché le dici a me queste cose?»
«Perché sei il mio migliore amico.»
Luca scosse la testa, mentre masticava metà del biscotto che teneva in mano.
«Lo sai cosa intendo. Così come io so che non ne hai parlato con Rossato. Perché?»
«Perché lui è il mio psicologo, non il mio migliore amico.»
Luca affondò la faccia nel pacco di biscotti ed emise quelli che per Alessandro furono solo una serie di versi indefiniti soffocati dalla plastica metallizzata del poliaccoppiato.
«Cristo, anche quando sei depresso riesci a darmi sui nervi.»
«Scusami.» Alessandro tentò di sorridere all'amico, ma non riusciva a concentrarsi che sui lembi del suo pigiama. Spuntavano dalle maniche del cappotto penzolando leggere verso terra, invitandolo a stropicciarle. Se non lo avesse fatto, si sarebbe mangiato le unghie o scrocchiato le dita o avrebbe strappato un pezzo del sacchetto di biscotti per accartocciarlo fino a ridurlo in polvere. «Sì, lo so cosa intendi. Te ne parlo perché con te non mi sento obbligato.»
«Ma Rossato non ti obbliga a fare nulla.»
«Sono io che mi sento obbligato ad aprire bocca se devo dargli settanta euro a settimana per starmene zitto.»
«Cos'hai buttato fuori?»
«Eh?»
«Hai sospirato, ti ho sentito. Lo so cosa significa. Cos'hai buttato fuori?»
«Non saprei dirtelo, ma sicuramente un decimo di quello che ho dentro.»
Vedendo che era solo lui a mangiare i biscotti, e che, a quel ritmo, del pigiama di Alessandro non sarebbero rimaste che le tarme, Luca gliene porse una manciata.
«E cosa c'era in questo decimo?»
Alessandro si ritrovò le mani piene di biscotti e i pantaloni pieni di briciole.
«Spero l'amore che provo per Camilla» - Luca, accanto a lui, alzò gli occhi al soffitto - «così non dovrei più trovarmi a fare colazione sul pavimento di un supermercato chiuso alle 6 del mattino.»
«Fare colazione con cosa?» La stessa voce femminile di poco prima parlò dal fondo della corsia. Spuntò il carrello, poi la ragazza che lo spingeva. Portava una divisa uguale a quella di Luca e aveva i capelli biondi legati stretti in una coda alta. «Quelli te li paghi da solo, Cairoli. Gli yogurt della scorsa settimana erano l'ultima volta, te l'ho già detto.»
«Me lo ricordo, Fla. Ma stavolta è per un amico», Luca agitò in aria l'ultimo biscotto che aveva morso, «Fla, Ale. Ale, Fla.»
Alessandro sollevò silenziosamente una mano in segno di saluto, ricevendo in cambio solo un'occhiata gelida a tre metri di distanza, nella penombra, come di un gufo che lo spiasse dal ramo davanti alla finestra.
«Le piaci», disse a Luca non appena l'altra se ne fu andata.
«Lo so», stava guardando ancora il punto in cui era comparsa all'improvviso un attimo prima, «Quello che ancora non so, invece, è se ti sforzi di essere idiota o se sei semplicemente così.»
«Se vuoi ti passo il numero di Rossato, così lo chiedi a lui.»
Rimasero in silenzio per un po'. Riuscivano a sentire Flavia fischiettare da qualche parte vicino a loro.
«Pensi che dovrei lasciarla?»
«Che idea di merda.»
«Dai, seriamente.»
«Sono serio.»
«Non riesco più a parlarci. Te lo giuro, lei mi scrive e io le rispondo a monosillabi. Mi telefona, e io chiudo dicendo che non ho tempo, che sto scrivendo la tesi o che sto andando al lavoro. Intanto lei si starà chiedendo che cosa succede, sarà preoccupata, ansiosa, e tutto questo per colpa mia, perché sono un vigliacco e sto andando in paranoia da giorni per qualcosa che dovrebbe essere tutt'altra roba che questa.»
«Dovrebbe essere una cosa bella.»
«Sì. Sì, esatto. Perché vado in paranoia per una cosa bella?»
«Perché sei un idiota. Grazie per la conferma.»
«E se succedesse come con Rebecca?»
«Sono due persone diverse, Ale.»
«Lo so, ma anche lei era gentile e premurosa e paziente. Non era una cattiva persona.»
«Ma non era Camilla.»
Alessandro sbuffò. Restituì a Luca tutti i biscotti che gli aveva messo in mano (non ne aveva toccato nemmeno uno) e si rimise in piedi, spazzando via le briciole dai pantaloni.
«Tanto qui il punto non sono loro, Lu. Sono io. Se io non fossi così, forse Rebecca non se ne sarebbe andata.»
«E tu non ti saresti messo con Camilla.»
«Ti stai concentrando sulla cosa sbagliata.»
«Camilla è una ragazza intelligente.»
«Proprio perché è intelligente se ne andrà, vorrà andarsene il giorno stesso probabilmente.»
«Siete fidanzati da anni, vi conoscete da ancora prima. Sa già tutto.»
«Ma non l'ha vissuto. Con me, tutti i giorni, nella stessa casa.»
«Cristo, Ale. Le stai chiedendo di andare a convivere, non di farti da badante.»
«Non gliel'ho ancora chiesto.»
«E sei già messo così.»
«Lo sai come sono fatto.»
«Non sarà così per tutti i giorni della tua vita, già adesso non è così.»
Alessandro si passò le mani sul viso, trascinandole su e giù come se volesse cavarsi la faccia dal cranio. Luca lo sentiva digrignare i denti nascosto dietro ai palmi.
«Lu, dormo quattro ore a notte da quando avevo quattordici anni, sono in terapia da sei, oggi mi sono svegliato alle quattro del mattino in preda al panico e sono venuto qui da te a romperti il cazzo mentre stavi lavorando perché o venivo qui o andavo al pronto soccorso.» Parlava guardando dappertutto, intorno, in alto, i pannelli del pavimento. «Ma lo sai dove mi è venuto l'ultimo attacco di panico prima di questo? Lo sai, Lu? Nel cazzo di bagno dell'ufficio, ecco dove. Ero letteralmente al cesso. Ero lì tutto tranquillo che mi lavavo le mani e quello arriva, ed è un attacco con tutti i crismi, eh, non pensare. Nausea, tachicardia, fiato corto, peso sul petto. Il pacchetto completo, insomma. Sono dovuto rimanere rinchiuso lì per venti minuti, in mezzo all'odore di piscio e alla muffa sul soffitto. Ah, e sai qual è il bello in tutto questo? Che c'è un solo bagno in tutto l'ufficio. Così quando esco da lì ecco che ci sono dieci persone in fila davanti alla porta a fissare con sguardo incazzato un povero coglione con la faccia di chi è appena tornato dall'inferno.»
«Vai da lei.»
«Eh?»
«Ho detto "vai da lei".»
«Sì, grazie, ti avevo sentito, ma questo non cambia il fatto che tu sia fuori di testa.»
«Perché non vai da lei?»
«Smettila.»
«Dimmelo.»
«Lo sai perché.»
«No, Gesù, non lo so! Ci conosciamo tutti da una vita, ti abbiamo visto stare male in un milione di modi diversi, lei ti ha visto, eravamo con te praticamente tutte le volte che è successo qualcosa. Ma di che cosa hai paura, me lo dici? E non rifilarmi la solita stronzata, perché ti giuro che davvero non la reggo più. Tu non hai paura che lei se ne vada, tu hai paura che lei resti, e che per questo tutti i giorni tu ti ritroverai a fare i conti con la certezza di averle rovinato la vita, ma indovina un po'? Tu non decidi proprio niente, tu non sei nessuno, non sei nessuno per sentirti in colpa per una scelta compiuta da qualcun altro. È la gente che decide se andarsene o restare, e qualunque cosa tu faccia non potrai cambiare le cose. Se a un certo punto Camilla dovesse accorgersi di stare con te solo per pietà, pensi che non se ne andrebbe? O pensi che se tu la lasciassi lei non cercherebbe di tornare da te nonostante lo stronzo che sei stato? Se ti amerà per sempre resterà, se non ti amerà più se ne andrà e se ti amerà ancora ma sarà troppo difficile allora anche in quel caso se ne andrà, e in tutto questo tu non potrai farci proprio un bel niente. Non sei tu che scegli per le persone, non sei tu che puoi salvarle. Non siamo padroni della nostra vita, Ale, figurati di quella degli altri.»
Anche Luca si era alzato in piedi. Erano uno di fronte all'altro, i pugni serrati, le facce piene di ombre sotto alla luce dei neon, con file di trincee in mezzo alla fronte e ai lati della bocca. Se qualcuno fosse passato di lì, se Flavia li avesse visti, avrebbe sicuramente pensato che fossero a un passo dal prendersi a botte.
«Qualcuno dovrà ripulire quel disastro.»
All'inizio Luca non capì. Seguì con gli occhi la direzione indicata da Alessandro e vide il pacco di biscotti riverso a terra, unica vittima di quello scontro. Lo avevo gettato via senza rendersene conto mentre si alzava in piedi. Briciole e pezzi di biscotti erano sparsi ovunque sul pavimento e sotto agli scaffali.
«Era un pacco da mezzo chilo.»
«Formato convenienza.»
«Di certo non conveniva al mio portafogli.»
«Guarda che cinque euro con la liquidazione riesco a pagarteli, secondo me.»
«È quel "secondo me" che mi preoccupa.»
«Lascia, ti do una mano.» Alessandro si accinse a piegarsi verso terra, ma Luca gli pose un braccio di traverso, obbligandolo a fermarsi. Scosse la testa.
«Vai a casa, dormi un paio d'ore, poi ti alzi, ti fai una bella doccia e vai in ufficio. Quando sei in pausa pranzo prendi in mano il telefono e chiami Camilla, ti scusi per non averle dedicato molto tempo negli ultimi giorni e le chiedi di vedervi questa sera. E quando vi vedete, tu le fai la proposta.»
Ora era Alessandro a scuotere la testa, ma con concitazione.
«Lu, io... » Alessandro fece qualche passo indietro, sottraendosi per la prima volta all'occhio abbagliante delle luci al neon. In quel rettangolo di semioscurità fra i led, Luca poté osservarlo per come era davvero. Aveva davvero due occhiaie profondissime, era davvero pallido e smagrito, un ragazzo di ventisei anni ridotto quasi a un bambino, piccolo in mezzo ai suoi vestiti. Ma era vivo, non era un fantasma. E sperò con tutto se stesso che le cose sarebbero rimaste così per ancora molto tempo.
«Ale», Luca si avvicinò a lui, e lo abbracciò, «Rebecca se n'è andata, sì, ma questo non significa che quello sbagliato sia tu. Forse non lo era nemmeno lei. Era solo una ragazza fragile, in un modo diverso da come lo sei tu, e abbastanza intelligente da capire che non avrebbe potuto renderti felice, e che non lo sarebbe stata neanche lei. Ma con Camilla può essere diverso. Non ti dico che lo sarà, per quanto io lo creda, ma c'è almeno questa possibilità. Smettila di fare l'eroe. Se si rivelerà uno sbaglio, allora lascia che Camilla sbagli.» Luca avrebbe giurato di sentire Alessandro tirare piano su col naso, ma fece finta di niente e non glielo fece notare. Lo liberò dall'abbraccio e prese a sistemarsi le pieghe della divisa, cosicché l'altro, non visto, avesse il tempo di ricomporsi. «E chiama Rossato, per favore. Se non vuoi dirgli che cos'hai, almeno digli che hai qualcosa.»
Alessandro annuì e poi, guardandolo finalmente negli occhi, gli disse:
«Grazie.»
Luca gli sorrise, sventolando una mano a mezz'aria come per scacciare una mosca.
«Adesso levati dal cazzo, così posso sistemare questo schifo.» Alessandro si era già voltato, quando aggiunse: «E stasera dimmi com'è andata.»
Il retro del supermercato era un angolo di mondo totalmente anonimo, soprattutto in quella luce statica tipica delle mattine d'autunno. Poteva essere benissimo l'uscita di uno stadio, o di un cinema, o l'ingresso di una stazione di servizio (solo senza l'autostrada).
I piedi nelle ciabatte gli formicolavano per la temperatura, e la nebbia sembrava infilarglisi sotto ai vestiti dalle caviglie fino al collo. Il freddo lo rianimava sempre, reimpostava tutto il suo corpo in una sorta di modalità sopravvivenza. Non sentiva più la nausea, come se gli si fosse ghiacciato lo stomaco, e non pensava più che a un certo punto avrebbe finito il fiato: respirava e basta.
Aveva lasciato l'auto davanti alle porte del magazzino. Una scelta curiosa, pensò ora a mente lucida, visto che poco più in là c'era un'intera distesa di parcheggi completamente vuoti. Centinaia di rettangoli disegnati con un dito bianco su un deserto di catrame solidificato. A uno a uno, a partire dalle nove di quello stesso giorno, e così per tutti gli altri giorni a venire, grosse scatole di metallo sarebbero entrate e uscite disordinatamente, come in una mastodontica catena di montaggio. Quello era solo uno dei tanti non-luoghi di passaggio, proprio come gli stadi, i cinema o le stazioni di servizio. Alessandro si chiese quante vite sfilassero per quel posto ogni giorno, quante come la sua, quante diverse. E se avesse già incontrato Camilla, prima di conoscerla? Se l'avesse incontrata proprio lì, una di quelle volte in cui da piccolo era andato a fare la spesa con sua madre, seduto nel carrello? Se avesse incrociato i suoi occhi, anche lei incastrata là in mezzo con le gambe penzoloni? Lui ancora felice, lei ancora da salvare. Scosse la testa. Camilla era davvero forte, come poteva avere la presunzione di credere che sarebbe stato lui il primo a metterla in difficoltà? Il mondo intero non girava intorno ad Alessandro De Angelis, tanto meno quello di Camilla. Salvare, cambiare, proteggere, fuggire. Chi pensava di essere? Dio in persona? Tutto quello che poteva fare era trattarla con delicatezza, come aveva sempre fatto, e dormire accanto lei forse avrebbe cambiato le cose o forse per nulla. Forse non si sarebbe più svegliato alle quattro del mattino con il terrore di stare per morire, o forse avrebbe continuato a farlo, ma con lei. Era una prospettiva molto migliore quella di morire accanto a qualcuno invece che da solo. E forse Camilla l'avrebbe preso in giro per tutte le volte che si sarebbe alzato convinto
di avere un infarto. «Allora, questa volta hai deciso finalmente di rimanerci o rimandiamo ancora a domani?» L'idea gli diede un brivido caldo all'altezza del diaframma. Faceva molta meno paura, così. Lui non era mica uno scarafaggio, non avrebbe infestato l'esistenza di Camilla fino ad avvelenarla. Era solo una persona un po' più indifesa delle altre, qualcuno senza una seconda pelle da grattare via quando le cose non andavano. Ma perché, perché non avrebbe dovuto provare a vivere una vita come quella degli altri?

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