Dialogo notturno
Parlami, mare
non lasciarmi nel silenzio
delle cose cadute
tu che rimescoli ancora
gli anni passati
e già imbastisci i giorni venturi.
C'eri quando Eraclito vaticinò
che mai laveremo le nostre carni
due volte
nel medesimo fiume.
A te, acqua,
intimo segreto dell'universo,
non è noto il dolore
del fiore che sboccia,
dell'uovo che schiude
o del vecchio che muore,
tu che rimani la stessa
tra infiniti ritorni di onde, aria, pioggia.
Io cambio
e non mi riconosco in te,
che bagnasti i miei piedi
di bambina
che ora districhi questi capelli
di ragazza
e un domani,
forse,
allevierai per un istante
il peso del mio grembo di madre.
Ma in te mi ricongiungo ai miei pezzi.
Abbi pietà, mare
di questa povera anima appesa
all'amo dei ricordi,
non ti chiedo di rendermi il tempo
che so hai conservato per me,
guardiano dei giorni felici,
ma di ricomporre il mio cuore
smembrato dalla nostalgia,
di inghiottire la malinconia
che mi ruba all'attimo presente
e di sigillare i miei occhi
con una mano di sale.
Parlami, mare
perché solo il tuo canto d'eternità
sa concedere una tregua
al mio divenire.
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