CAPITOLO 50

Ti ho amata pericolosamente
Più che dell'aria che respiro
Sapevamo che sarebbe crollato tutto alla velocità a cui stavamo andando.

-Dangerously, Charlie Puth.

Io sono il fuoco, lui la benzina.

Io sono l'acqua, lui il vento.

Elementi combinati che insieme danno luce ad un disastro. Quello che è appena accaduto adesso. Mi sento come se in un attimo la mia vita fosse stata oscurata ed io mi trovassi al centro di una grande stanza buia, senza via d'uscita, rannicchiata su me stessa a riflettere su come sia potuto accadere. Mi sento come se fossi sorda, come se lui non stesse sul serio urlando a squarciagola per farsi sentire da me. Mi sento come se fossi cieca, perché i miei occhi si rifiutano di guardare in faccia la realtà. Mi sento come se fossi muta, perché è da più o meno mezz'ora che non riesco a dire una parola. Mi sento come se fossi sola, come se intorno a me non si possa scorgere l'intera Londra con le sue tanti luci che ti abbaiano. Ma in realtà sono, -o meglio, siamo- sul grande palazzo. Sapevamo che non era il luogo adatto, ma noi ci siamo buttati lo stesso. Il rischio ci ha sempre intrigati, motivati e adesso ci ha travolti con le sue mille conseguenze. Conseguenze troppo pesanti da poter essere portate e trascinate su quattro spalle esili.

Respiro affannosamente, come se da un momento all'altro il fiato mi si possa mozzare per sempre. Il duro colpo che mi è stato inflitto mi ha accoltellato il petto, rendendo il mio cuore più debole di prima.

''Amber? Amber? Mi senti? Per favore, non fare così, troveremo una soluzione, te lo prometto'' mi porto le mani alle orecchie come se con solo la sua voce instabile mi possa perforare i timpani.

''Non doveva succedere. Non doveva. E' la mia fine'' sussurro a me stessa però Raul capta lo stesso il suono. Si abbassa sulle ginocchia alla mia altezza e rinchiude il mio corpo infreddolito e scosso nel suo abbraccio. Non mi smuovo, non ho nemmeno le forze di farlo d'altronde, né di piangere o di andarmene da qui.

''Non doveva succedere hai ragione, ma la colpa è mia giusto? Quindi rimedierò io, tu devi solo stare tranquilla '' riesco ad alzare i miei occhi vuoti all'altezza dei suoi. Ha la fronte aggrottata e trasalisce quando lo guardo, dando segni di vita.

''Difficile per una persona che soffre di attacchi d'ansia. E non è solo colpa tua, non voglio che ti prendi interamente tu le responsabilità per una cosa che abbiamo fatto insieme, okay? Abbiamo deciso entrambi di farlo di nuovo qui sopra o sbaglio?''

''Hai ragione, però magari potevo stare più attento..non so..Amber, perdonami, è un disastro'' la sua voce incrinata riesce a smuovere qualcosa nel mio profondo.

''Sei stato attento, è una casualità che il preservativo si sia bucato, può succedere a chiunque. L'unica cosa di cui sul serio ci dobbiamo incolpare è di averlo fatto qui, al buio''

''Se lo avessimo fatto a casa tua cosa sarebbe cambiato?''

''Bè prima di tutto io adesso non starei col culo per terra a ghiacciarmelo, e secondo magari con la luce ci saremmo accorti prima che si era squarciato'' i brividi mi assalgono ripensando a quando mi sono tolta da dosso a lui ed il preservativo bucato al centro della sua punta segnava una possibile gravidanza. Fin quando non lo abbiamo scoperto, andava tutto bene, però la situazione si è ribaltata velocemente. Mi sento un'estranea che assiste al film della propria vita. La mia mente è talmente accumulata da pensieri di vario genere, che con tutto il caos presente in essa non riesco a pensare ad una sola soluzione.

''Devo dirlo ai miei questa sera, appena mi verranno a prendere'' afferma deciso.

''Non possiamo cavarcela da soli?'' chiedo timorosa.

''Che scherzi? Siamo troppo piccoli per fare qualunque passo. Se i tuoi non devono venirlo a sapere, i miei ci dovranno per forza dare una mano. Ti ripeto che non possiamo lasciar correre e sperare di essere fortunati''

''Ovvio assolutamente no, l'unica cosa che mi viene in mente è la pillola del giorno dopo; ma da quel che so serve un dottore che la prescriva. La mia compagna Elisa l'ha presa una volta, quando l'è capitato lo stesso, ha detto che gliel'hanno data senza problemi, sebbene non ci fossero i genitori''

''Ammenochè non si siano presentati lì piangendo e inginocchiandosi ai piedi dei farmacisti, non vedo proprio come abbiano fatto'' mi scappa un sorriso sentendolo scherzare. La situazione però è tutt'altro che scherzosa ed occorre trovare una soluzione, non rimarrò incinta per poi abortire. E soprattutto non lo dirò ai miei, mio padre non sa nemmeno che sono fidanzata, figuriamoci.

Raul decide di tendermi la mano e di farmi alzare per scortarmi all'interno sulle scale, dove possiamo sederci senza diventare iceberg. Poco dopo inizia anche a piovere, perciò che è stata una buona idea farmi alzare una volta e per tutte. Mi stendo per terra, non curante del suo sguardo da rimprovero che sicuramente mi sta lanciando e nemmeno dello sporco. Chiudo gli occhi e mi concentro sul mio respiro per regolarizzarlo, sono grata che il mio ragazzo sia in silenzio, perché non sopporterei altro. I miei battiti pian piano ritornano al loro ritmo pacato e lo stesso fa anche il mio respiro. Mi sembra quasi di diventare un tutt'uno con il pavimento, nemmeno il freddo mi turba più. E' tutto buio, mi convinco per un bel po' che sia solo un terribile incubo e che quando mi sveglierò mi troverò nel mio letto con le lenzuola impregnate di sudore.

Poi però un suono sordo mi desta dalla mia tranquillità.

''Cazzo!'' geme -presumo dal dolore- il mio compagno. Alzo di scatto la testa e mi ci vuole tanto sforzo per aprire gli occhi, abituarli alla luce e poi mettere a fuoco l'immagine.

''Ehi! Che cosa fai? Sei impazzito?'' ammonisco Raul che ha appena dato un forte pugno alla porta in legno che conduce al tetto del palazzo. Lo guardo con le sopracciglia corrucciate e lui decide bene di accomodarsi di fianco a me. Mi mostra la grossa macchia rossa che sta prendendo piede sulle sue nocche. E' questione di pochi minuti prima che da esse inizi a sgorgare sangue.

''Non è stato un gesto molto razionale il tuo, lo sai?'' mi metto finalmente composta e a sedere, poi estraggo dalla mia borsa un pacco di fazzoletti. Quando gli asciugo il sangue sbuffa.

''Nemmeno quello che abbiamo fatto prima è stato un gesto razionale, Amber. Non voglio nemmeno immaginare i guai che potremmo passare se tu rimani incinta, i nostri sogni svanirebbero'' inevitabilmente penso a mio padre e a mia madre.

''Tra poco verranno anche le feste di Natale, Dio ci ha voluti premiare con un bel regalino'' alzo gli occhi al cielo per la mia stessa ironia.

''Tanto a me non è mai piaciuto Natale, un ricordo bello che ho di esso risale solo a quando ero un poppante. Il resto degli anni non l'ho mai trascorso bene, già da allora non si respirava quell'aria natalizia e di calore che dovrebbe darti la famiglia. Perciò ho preferito molteplici volte uscire da solo, con il cappuccio e i miei auricolari. Non mi curavo del freddo torrido o del fatto che fossi l'unica anima in pena che vagava per le strade deserte, mentre tutti gli altri erano riuniti a festeggiare. Per queste ragioni c'erano parecchie conflittualità con i miei genitori, un giorno arrivarono addirittura a proibirmi di giocare con la console, l'unica cosa che mi tenesse compagnia. Non avendo nemmeno più quella ho iniziato ad uscire sempre di più, fino a farmi degli amici, anche se molti sono più grandi di me. Una volta arrivata Alexa nella mia vita mi ha dato quel barlume di speranza che le cose si potessero aggiustare, ero solo un asociale prima di lei, mi sentivo a disagio in mezzo alle persone. Mi ha cambiato e anche molto, è grazie a lei se oggi sono chi sono, ma poi quando se n'è andata la strada da prendere non era più chiara. Quante ne ho passate, quante battaglie ho combattuto solo per trovare la felicità, quella che non ho mai avuto. Ed eccoti qui, che finalmente ti ho tra le mie braccia, ma sto rovinando tutto anche con te.''

* * *

Questa notte non sono riuscita a dormire molto bene. Sono rimasta in uno stato di dormi veglia fino alle cinque, orario in cui mi sono addormentata, poi alle sette la sveglia ha rimbombato tra le pareti della mia cameretta. L'ho impostata così presto anche se è domenica perché Raul doveva parlarmi. Mi ha raccontato che i suoi sono afflitti, che lo hanno sgridato e ci hanno intimato di non recarci mai più sul tetto di quel palazzo. Anche se molto adirati, hanno accettato a darci una mano. Infatti Raul, accompagnato dai suoi genitori, è uscito di casa verso le otto e mezza andando alla ricerca di una farmacia aperta. Sua madre dovrebbe fingere che il problema sia il suo e, se tutto va bene, i farmacisti le permetteranno di acquistare la pillola senza ulteriori complicazioni. Nel frattempo mi ha ordinato di prepararmi e uscire, così da recarmi in villa, il nostro punto di incontro. 

Io invece sono rimasta molto nel mio letto a fissare il muro, fin quando non ho iniziato sul serio a preoccuparmi, così ho fatto delle ricerche su internet. Nausee mattutine. Stanchezza. Dolore alla schiena.

Leggere quelle righe mi ha spinta inevitabilmente a toccarmi la pancia, come se da un momento all'altro io potessi sentire qualche differenza insinuarsi dentro il mio corpo. Poi sono passata ad implorare, con le mani rivolte al soffitto e le lacrime che mi rigavano le guance, purché Dio mi desse una seconda chance. Ho promesso di non incasinarmi più la vita e che dopo tale richiesta non gli avrei più dato disturbo.

Sono le nove e mezza quando mi accorgo che ho perso troppo tempo e decido di ''prepararmi''. In realtà non sono molto in vena, perciò indosso le prime cose che mi capitano tra le mani: un jeans scuro, una felpa grigia col cappuccio e delle scarpe di ginnastica bianche. Infilo tutto velocemente, quando avverto mamma che scendo per fare una passeggiata, un po' barcollo e le lacrime si parano dietro i miei occhi minacciando di fuoriuscire da un momento all'altro. Mi tranquillizza dicendomi che per lei non c'è alcun problema se decido di scendere, ed io abbozzo un sorriso consapevole che lei non capirà mai il motivo del mi sconforto.

Mentre raggiungo la villa il vento mi dà modo di comprendere quanto sia stata imprudente a non curarmi di mettere il giubbino, perciò mi limito ad alzare il cappuccio sui miei capelli scompigliati e ad infilare le mani nelle tasche dei pantaloni. Decido di sedermi nelle zone più oscurate, quando lo faccio, a stento trattengo un sospiro di sollievo, mi sembrava quasi che la forza di gravità mi pesasse più del previsto. Mi esercito molto sulla tecnica della respirazione per non farmi prendere dall'ansia, divarico anche le braccia sulla panchina, all'altezza delle spalle e mi mantengo forte ad essa.

Il cellulare che vibra mi spaventa, tant'è vero che mi porto una mano all'altezza del cuore. Quando leggo il messaggi, è solo Raul che dice di non aver ancora trovato nulla. Faccio strisciare le mani sulle mie cosce. Venti minuti dopo inizio ad essere paranoica, le persone mi guardano come se sapessero già in che guaio mi sono cacciata, come se non ce la facessero a trattenere i giudizi nei miei confronti, perché devono esternali per forza. Ma a me bastano le loro occhiatacce per farmi sprofondare.

Mando ripetutamente messaggi a Raul per dirgli di tenermi informata sulla loro ricerca. Per fortuna mi risponde che sono riusciti ad acquistare la pillola e che adesso i suoi genitori lo stanno accompagnando da me.

A quel punto mi passo le mani sul viso e sfrego i miei occhi gonfi per ricordarmi di stare sveglia, che tra poco lui sarà qui ed il mio tormento avrà fine. Non serve a molto, perché del mio ragazzo non c'è traccia a distanza di quindici minuti e nemmeno dopo mezz'ora.

Ci dev'essere traffico. Il briciolo di ottimismo che mi è rimasto tenta di non farmi oscurare la mente con tutti i pensieri e le emozioni negative che sto provando. Le gambe e le braccia iniziano a formicolare, gli occhi si fanno troppo pesanti ed il cuore batte all'impazzata.

Perché non è qui? Quanto ancora posso resistere?

D'improvviso però appare, corre verso di me con il fiatone ed i capelli che svolazzano. Con le sue gambe lunghe non ci mette molto a raggiungermi ed appena si siede affianco a me, mi tira in un abbraccio fortissimo. Rimango interdetta però mi lascio andare quasi subito con il sollievo che mi scalda internamente. Lui è qui finalmente, andrà tutto bene.

''Piccola, come stai?'' di certo non mi aspettavo questa domanda.

''Starò meglio quando avrò inghiottito quella maledetta pillola'' nel frattempo ci alziamo ed usciamo dalla villa che porta con sé fin troppi ricordi.

''Vuoi prenderla subito? Se vuoi andiamo in un bar, da quel che so devi prima avere lo stomaco pieno. Hai fatto colazione?'' arrossisco sentendo la sua preoccupazione, poi scuoto il capo a mo' di diniego.

''Perfetto, allora andiamo'' faccio arrestare i suoi passi afferrandogli il braccio.

''Emh..mi sono scordata i soldi, non posso prendere niente'' quasi scoppia a ridermi in faccia.

''Pago io fessacchiotta, su andiamo. E non cercare di contraddirmi'' mi avverte riprendendo la sua marcia.

''Aspetta però, prima volevo ringraziarti per ieri quando hai cercato di consolarmi, per quando hai litigato con i tuoi genitori a causa mia, e ovviamente per stamattina, che avete girato in lungo ed in largo. Non tutti si sarebbero preoccupati e messi a disposizione come hai fatto tu e questo significa molto per me, adesso so che posso contare sempre sul tuo aiuto, su qualsiasi cosa, piccola o grande. Sappiamo che la maggior parte dei maschi non si sarebbero mai presi una responsabilità del genere e non voglio nemmeno immaginare se tutto questo fosse accaduto con un altro, avrei dovuto rimediare da sola'' i suoi occhi si addolciscono incastrandosi con miei e lui sorride sincero. Fa per parlare, aprendo bocca, ma lo fermo nuovamente.

''Ahh! Non provare a contraddirmi, tieniti questi ringraziamenti e chiudi quella boccuccia'' scherzo facendo ridere di gusto entrambi.

Quando siamo al bar facciamo colazione con due grandi cornetti con la marmellata. Una volta che il mio stomaco è pieno, tremolante inizio ad aprire la confezione, a parere mio, troppo grande per la piccola pillola all'interno. Prima di buttarla giù però, leggo attentamente il foglietto delle istruzioni, non tralasciando nemmeno il più piccolo dettaglio. In poche parole parla da cosa è composta, che può far effetto anche se presa dopo tre giorni, se tutto va come previsto il ciclo può ritardare massimo di cinque giorni, altrimenti devo fare il test di gravidanza. Se invece entro metà giornata vomito la pillola ingerita, devo andare a comperarne un'altra. Infine c'è una minima percentuale che segna l'inefficienza del farmaco. Le carezze sulla spalla e gli sguardi che Raul mi dedica mi danno la forza necessaria per agguantare il bicchiere d'acqua accompagnando la pillola lungo la mia gola, una volta e per tutte.

Adesso devo solo sperare che nulla vada storto.

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