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Chuuya: 🍷
Ah, un giorno come un altro nella mia vita di Nakahara Chuuya. Mi sveglio presto, come sempre, e il primo pensiero è uno solo: il caos. Non perché lo cerchi – per quanto ne sappia fare un’arte – ma perché il mondo sembra sempre voler testare i miei limiti. Dopo una colazione veloce (rigorosamente accompagnata da un caffè nero), mi metto il cappello, sistemo il cappotto e mi preparo per affrontare un’altra serie di problemi che solo io posso risolvere.
Appena arrivo al quartier generale, mi aspetta Kouyou. Lei è la solita visione di eleganza e grazia, ma il suo sguardo è tagliente come una lama. "Chuuya," dice con il tono di chi non accetta scuse, "hai controllato la situazione a est? I nuovi arrivati stanno causando problemi." Mi limito ad annuire. Kouyou non ha bisogno di sentire promesse; sa che farò il mio lavoro.
Dirigermi verso il distretto è come camminare su un campo di battaglia. Gente che sussurra, occhi che mi seguono. Lo sanno tutti: se Nakahara Chuuya è in giro, vuol dire che qualcosa di grosso sta per succedere. E infatti, non appena metto piede nel covo dei nuovi arrivati, mi trovo davanti un gruppetto di facce poco raccomandabili che pensano di essere invincibili. Li lascio parlare – è divertente vedere quanto si sopravvalutino – ma poi, con un gesto della mano, la gravità fa il suo lavoro. In pochi secondi, il pavimento trema e quei loro sorrisetti spariscono.
"Vi faccio un favore lasciandovi andare," dico con un tono freddo, "ma se vi rivedo su questo territorio, non sarà solo il pavimento a crollare." Non serve aggiungere altro. Se c’è una cosa che ho imparato, è che il vero potere non sta solo nel mostrare la forza, ma nel far capire che potresti usarla in ogni momento.
Tornando al quartier generale, mi prendo un momento per me stesso. Mi fermo sul tetto dell’edificio, guardando il panorama della città. È un luogo rumoroso, caotico, ma è casa mia. Il vento mi porta il profumo lontano del mare e il suono delle strade affollate. Mi verso un bicchiere di vino – uno buono, ovviamente – e penso a tutto quello che ho costruito, a quello che rappresento. Non è una vita semplice, ma è mia.
Il vento sul tetto porta con sé una certa pace, qualcosa che non trovo spesso nella mia vita. È un momento raro in cui il mondo sembra rallentare, lasciandomi solo con i miei pensieri. Penso al passato, alle battaglie vinte e a quelle perse. Ai volti delle persone che ho lasciato indietro. E penso anche a ciò che mi spinge avanti: il dovere, la lealtà, e forse una parte di me che cerca ancora una ragione più grande per tutto questo.
La calma non dura mai troppo, però. Proprio mentre finisco il mio bicchiere, sento il rumore di passi. Mi giro appena, senza troppo interesse. È Tachihara, che sembra sempre avere una notizia urgente da darmi. "Chuuya-san," dice, un po’ nervoso, "abbiamo un problema. Qualcuno sta creando guai al porto, e Mori-sama vuole che tu intervenga personalmente."
Sospiro, appoggiando il bicchiere sul bordo del parapetto. Naturalmente. Non posso nemmeno godermi cinque minuti di tranquillità senza che il mondo decida di crollare di nuovo. "Va bene," rispondo, alzandomi. "Chi è il bersaglio?"
"Un gruppo di trafficanti," spiega Tachihara mentre mi segue. "Stanno cercando di usare il nostro territorio senza permesso. Kouyou-sama li sta tenendo d'occhio, ma... sembra che abbiano rinforzi. E non sono gente qualunque."
Perfetto. Proprio quello che mi ci voleva. Mentre scendo per prepararmi, il mio sguardo si indurisce. Sono abituato a queste situazioni, ma ogni volta è come se sentissi il peso di tutto ciò che rappresento: la Port Mafia, la forza inarrestabile che siamo. E il mio ruolo, che non è mai semplice.
Al porto, il caos è già iniziato. Gli uomini di Kouyou sono impegnati in uno scontro feroce, ma appena arrivo, la scena cambia. Tutti si fermano per un istante, come se la mia presenza fosse una forza invisibile che li obbliga a prestare attenzione. "Bene," dico, il tono calmo ma carico di autorità, "chi di voi ha deciso di morire oggi?"
Non serve molto. Un paio di mosse, un’esplosione di gravità, e il porto è silenzioso. I trafficanti si arrendono, o scappano. Non c’è gloria in queste battaglie – solo necessità. Ma fa parte del gioco, e io lo so bene.
Quando tutto è finito, Kouyou mi raggiunge. Mi guarda con quell’espressione che è un misto di approvazione e rimprovero. "Sempre il solito," dice, accennando un sorriso. Io alzo le spalle. "È il mio lavoro, no?" rispondo, con un piccolo sorriso di sfida.
Mentre torno verso casa, però, quella sensazione di peso si fa sentire di nuovo. Non è il fisico – sono abituato alla fatica – ma quella consapevolezza di essere sempre una pedina in un gioco più grande. Eppure, con tutto quello che ho vissuto, non cambierei niente. Questa è la mia vita, la mia strada. E finché avrò la forza di alzarmi ogni giorno, combatterò per proteggerla.
Forse, in fondo, non è poi così male.
Rientrai a casa, un appartamento piccolo ma accogliente, con un tocco di personalità che si rifletteva nelle bottiglie di vino disposte in bella vista. Mi lasciai cadere sul letto, le gambe incrociate e lo sguardo fisso al soffitto. Passai ore a scorrere distrattamente sul telefono, a guardare la televisione, a cercare qualcosa che spezzasse la monotonia. Alla fine sospirai, esasperato. "Che noia mortale..."
Non riuscendo più a sopportare l'inattività, mi alzai e decisi di fare una passeggiata per le strade di Yokohama. Camminare nella quiete della sera spesso aveva un effetto rilassante, ma quella sera qualcosa mi tormentava. Sentii crescere dentro di me un desiderio improvviso e irrefrenabile: vino. Non potevo ignorarlo.
Entrai nel primo bar che trovai, un locale dall'insegna luminosa: "Lupin". Appena dentro, fui accolto da un’atmosfera elegante e tranquilla, proprio quello che cercavo. Mi avvicinai al bancone, lasciandomi scivolare su uno degli sgabelli. "Un bicchiere di vino rosso," ordinai, il tono della mia voce involontariamente più tagliente del necessario. Non era colpa mia, è il mio modo di parlare.
Il barista mi porse il bicchiere, e iniziai a sorseggiarlo lentamente, apprezzando la calma del momento. Tutto sembrava perfetto. Finché non sentii quella voce.
"Del whisky."
Il bicchiere si fermò a mezz'aria. Quella voce... arrogante, insopportabile, con quell’aria sempre troppo sicura di sé. Non avevo bisogno di girarmi per sapere di chi si trattasse. Dazai. Quel bastardo. Ovviamente.
Lo osservai sedersi con noncuranza poco distante, ignorandomi completamente, come se la sua presenza fosse un dettaglio insignificante. Stringendo il bicchiere, sbottai: "Tu."
Lui si voltò con la solita espressione di finta sorpresa e divertimento. "Chuuya-kun...?" disse con quel tono insopportabilmente teatrale.
Mi limitai a fissarlo, il fastidio scritto chiaramente sul mio volto. Ma Dazai, come al solito, non sembrava minimamente turbato.
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