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Dazai 💊:

Ah, che giornata estenuante all'Agenzia di Detective Armata. Immaginatemi, io, il brillante e affascinante Osamu Dazai, costretto a sedermi dietro una scrivania, sommerso da noiose scartoffie e con la tirannica voce di Kunikida che mi martella le orecchie. Non c'è romanticismo in questo! Dove sono i tramonti malinconici, le poesie struggenti, le visioni di una fine gloriosa? No, invece, sono qui, intrappolato in un luogo che profuma di carta e caffè stantio.

Mentre fingo di scrivere un rapporto (dopotutto, la mia calligrafia artistica merita di essere vista da qualcuno), il caro Atsushi mi passa accanto, goffo come sempre. Lo fermo al volo. "Atsushi-kun," dico con la mia voce più languida, "ti va un doppio suicidio? Pensa alla poesia di sparire insieme, avvolti dalla luce del crepuscolo..." Il poveretto, rosso in volto, balbetta qualcosa di incomprensibile e scappa via. Ah, l'arte di essere fraintesi.

Poi c'è Kunikida, con la sua solita aria severa, intento a consultare quel taccuino che probabilmente ha più regole del Codice Civile. Mi lancia uno sguardo furioso: "Dazai, lavora seriamente per una volta!" Io, ovviamente, mi limito a sorridergli con innocenza. "Ma Kunikida-kun," rispondo, "non vedi? Sto riflettendo su una soluzione brillante. Il genio non può essere forzato!"

Eppure, proprio quando tutto sembra un gioco (e io sto cercando di escogitare una nuova scusa per evitare il lavoro), arriva una chiamata urgente. Qualcosa di serio. Il caso ha bisogno del mio tocco magico. In quel momento, mi trasformo. Sì, perché anche un uomo come me, che sogna costantemente l'eterno riposo, sa quando è il momento di agire. Con calma, formulo un piano, uno che lascia tutti – persino Kunikida – a bocca aperta.

E quando tutto è risolto? Torno al mio solito modo di essere. Mi stendo sulla sedia, con un sorriso enigmatico, e chiedo a Kunikida di offrirmi il pranzo per festeggiare. Lui sbraita, Atsushi sospira, e io... Io penso che dopotutto, forse, vivere un altro giorno in questo caos non è così male.

La giornata prosegue come una commedia orchestrata alla perfezione, con ognuno che recita il proprio ruolo in questo strano teatro chiamato Agenzia. Kunikida continua a brontolare sul mio senso di responsabilità inesistente – non che lo ascolti davvero, ma devo ammettere che il modo in cui si agita è quasi confortante. È bello sapere che ci sono persone così prevedibili al mondo.

Nel frattempo, Atsushi corre avanti e indietro cercando di completare le mille commissioni che gli sono state affidate. Lo osservo con un misto di affetto e divertimento. Povero ragazzo, non sa ancora che la vera chiave della sopravvivenza all'Agenzia è imparare a far sembrare che tu stia lavorando duramente, mentre in realtà non stai facendo nulla. Forse un giorno gli insegnerò questo segreto... o forse no. È troppo divertente vederlo sudare.

Poi c'è Ranpo, che come sempre si concede un altro snack, completamente incurante di tutto ciò che accade intorno a lui. È un genio, sì, ma la sua indifferenza verso qualsiasi cosa non riguardi i dolci è quasi un'arte. Lo ammiro in silenzio, chiedendomi se anche lui abbia un lato oscuro, un peso invisibile che porta con sé. Ma poi mi ricordo che sto pensando troppo, e mi concentro sul prossimo scherzo da fare.

In quel momento, Yosano entra nell'ufficio con il suo solito sorriso enigmatico. "Dazai, smettila di essere un peso per gli altri," dice, ma c'è un tono di affetto nelle sue parole. Mi avvicino teatralmente, con le braccia spalancate. "Ah, Yosano-san! Sei qui per salvarmi dal mio tedio? Forse con un'iniezione del tuo amore mortale?" Lei alza gli occhi al cielo e mi minaccia scherzosamente con il bisturi. Adoro questa dinamica.

La sera si avvicina, e il caos dell'ufficio comincia a placarsi. Mentre gli altri sistemano gli ultimi dettagli della giornata, io mi affaccio alla finestra, osservando le luci della città accendersi lentamente. C'è una bellezza strana in tutto questo: nella confusione, nelle risate, nelle grida esasperate di Kunikida.

E mentre lascio che la stanchezza mi raggiunga, penso a quanto sia assurdo tutto questo. Io, un uomo che ha flirtato con la morte più volte di quante possa contare, mi ritrovo qui, immerso nella vita, circondato da persone che, in qualche modo, fanno sembrare tutto meno vuoto.

Forse, penso con un sorriso stanco, domani sarà un altro giorno interessante. Ma ora, è tempo di cercare un nuovo modo per evitare il rapporto che Kunikida insisterà per farmi scrivere.

Lentamente mi avvicino all'uscita, saluto i miei colleghi con il solito sorriso indifferente e rientro nel mio dormitorio. Mi fermo sulla soglia e osservo il caos che mi accoglie. Lo spazio è piccolo, ma confortevole, se solo non ci fossero così tante cose in giro. Mi lascio cadere sul divano, sprofondando tra i cuscini, e alzo lo sguardo verso il soffitto, assorto nei miei pensieri.

Un lungo sospiro mi sfugge, pesante. "E se andassi al bar? Almeno non spreco il mio tempo a contemplare il vuoto..." mi alzo, stirandomi lentamente. "Così sia."

Mi rendo conto di quanto sia folle, a volte, parlare da solo, ma non è una novità. Quanti altri pazzi come me si parlano dentro, nella solitudine delle loro vite?

Esco di casa. La pioggia mi colpisce, ma non mi interessa. I miei capelli si bagnano, ma non ne faccio un dramma. Cammino lungo la strada bagnata, il suono dei passi che si mescola al rumore delle gocce che battono sul terreno. Arrivo al solito bar, l'insegna "Lupin" illuminata nel buio della sera. Quanti ricordi legati a quel posto... malinconici, ma pur sempre ricordi. Non posso fare a meno di sorridere, come se un po' di quella nostalgia mi accarezzasse il cuore.

Entro. La solita atmosfera elegante mi accoglie. Le luci soffuse danno alla stanza un tocco di leggerezza e calma, come se il mondo fuori non esistesse. Non c'è molta gente, come sempre, solo una persona al bancone. Decido di ignorarla, come faccio sempre, e mi avvicino al barista. "Del whisky," dico, e lui annuisce senza dire una parola, iniziando a preparare la bevanda.

"Tu..."

Una voce irritata, familiare, mi interrompe. Mi giro lentamente verso la sinistra, come se già sapessi di chi si trattava. E infatti, come previsto, il volto familiare di Chuuya Nakahara mi fissa con quell’espressione di disprezzo che gli è così naturale. "Chuuya-kun...?" rispondo, con un tono che non può fare a meno di essere un po' divertito.

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