XII. Risveglio - seconda parte

«Dieci giorni di riposo, da protocollo. Durante questo periodo ti saranno inviate la nuova divisa ordinaria e quella da parata per la cerimonia. Fra dieci giorni presentati qui all'ingresso e sarai indirizzato alla camerata scelta per il plotone provvisorio. Tutto chiaro?»

Ilyas si limitò ad annuire. Il piantone all'ingresso della caserma non era un graduato e non c'era bisogno di rivolgersi a lui con l'appellativo di "signore".

«Ottimo, ci vediamo tra dieci giorni e, oh, aspetta, hai dimenticato questo.» Il tipo tirò fuori una busta di plastica trasparente. «Me l'hanno dato i camici bianchi laggiù.»

Ilyas abbassò lo sguardo sulla busta. All'interno c'era il coltello khinzal.

«Non è tuo?» chiese l'altro nel vederlo immobile a fissare l'arma.

«... sì.»

Allungò la mano e prese la busta dal bordo, come se scottasse. Riabbassò il braccio, inerte lungo il fianco.

«A presto» lo salutò il piantone senza più badargli.

Ilyas, come un automa, si avviò verso casa di Voznjak e Magda.

Era il crepuscolo e invece di prendere la corriera che passava vicino alla caserma si mise a camminare. Camminò per più di un'ora. Gli sembrava che le gambe si muovessero da sole, che non fosse lui quella figura che macinava il suolo avanzando nella sera imminente, sola in mezzo a tante altre, le ombre allungate sull'asfalto. Arrivò all'appartamento che il sole era ormai sceso oltre le montagne e il sangue del tramonto aveva invaso il cielo.

Ad accoglierlo sulla porta fu Aisha.

«Ilyas, sei tornato! Come è andata?»

«Bene» fece lui entrando. Aveva nascosto il coltello nella sacca. «Dove sono...»

«Ilyas!»

Ad affacciarsi sul corridoio vennero Magda e Voznjak, quest'ultimo un poco più indietro di lei.

«Eccoti qui, stavamo cominciando a preoccuparci.» Magda lo guardò con una certa apprensione. «Tutto bene? Ti ho preparato la cena.»

«Va tutto bene» ripeté lui. Alzò lo sguardo, ma non guardò nessuno di loro. «Ho superato il test.»

«Oh, lo sapevo!» esclamò subito Magda e sorrise. Si voltò verso il marito. «Vero che lo sapevamo?»

«Sì, certo.» Anche Voznjak sorrise, un sorriso orgoglioso. «Non avevamo dubbi ovviamente.»

«Sono diventato tenente.»

Ilyas lo comunicò senza nessuna inflessione nella voce, neutro e veloce, come se volesse sputare fuori un boccone incandescente, e mentre Magda si lasciò andare a un'altra esclamazione e spiegò, quando Aisha chiese cosa significasse, che suo fratello aveva appena ottenuto un grado molto importante, che non davano a tutti, non a quell'età, Ilyas scorse Voznjak irrigidirsi. Un lieve pallore gli invase le guance e lo scrutò con attenzione, ma lui non ricambiò lo sguardo. Lo allontanò da quegli occhi scuri e caldi che sembravano cercarlo e lo puntò al corridoio.

«Vado a dormire.»

«Non vuoi mangiare niente? Ti ho preparato la cena, ma ovviamente domani faremo qualcos'altro, per festeggiare. Lo avevamo già pensato, vero, Aisha?»

Sua sorella annuì e gli rivolse un sorriso lieve e dolce che Ilyas non riuscì a reggere.

Si sistemò la sacca in spalla e si voltò. «Non ho fame.»

«Oh, certo, hai bisogno di riposare. La stanza è pronta, per qualunque cosa chiedi pure.»

Ilyas fece un cenno col capo, mormorò un "grazie" a Magda e si allontanò senza dire buonanotte. Voznjak lo seguì con lo sguardo, ma ancora una volta lui non incrociò i suoi occhi.

Raggiunse la stanza degli ospiti, quella che Voznjak e Magda tenevano sostanzialmente per lui e per il figlio quando quest'ultimo veniva a trovarli da Ekaterinburg. Varcò la soglia, chiuse la porta a chiave e buttò la sacca a terra. Si fermò in mezzo alla camera per minuti interi senza fare nulla, solo guardare davanti a sé, nel buio.

Non avrebbe dormito quella notte, lo sapeva. Neanche coi sonniferi che gli avevano dato al Comando, che non aveva nessuna intenzione di usare. Gli avevano dato altri farmaci, delle non ben specificate pillole per lo "stress" – gliele aveva prescritte il dottor Zeynalov dopo averlo visto tornare dai bagni con il braccio destro insanguinato e i segni del morso in bella vista. Il medico non aveva chiesto niente, ma dopo avergli fasciato il braccio gli aveva dato una considerevole quantità di farmaci insieme alle istruzioni sulle quantità e le modalità di ingestione.

Su quel tipo di medicinali i suoi scrupoli erano meno netti: si chinò sulla sacca e prese le pillole, le tirò fuori dal blister e le ingoiò senza acqua, sentendole scivolare giù per la gola, dure e pastose. I sonniferi li lasciò là. Non voleva chiudere gli occhi, sprofondare nell'incoscienza, rischiare di ritrovarsi nel terreno radioattivo del proprio subconscio. Non quel giorno. Probabilmente per molti giorni a venire.

Dopo essersi tolto le scarpe, si mise sul letto ancora vestito, la schiena alla spalliera, le gambe raccolte, le ginocchia contro il petto, immobile e in silenzio, a guardare l'ultima luce del giorno che filtrava attraverso le tende.

Scese la notte e scesero anche le ombre. Una si piazzò dietro di lui, lo avvolse tra le sue spire, grande e scura, un alito caldo ad accarezzarlo sul collo.

Sei un animale...

Non chiuse gli occhi, neanche una volta, per tutta la notte.

***

La mattina dopo si trascinò in cucina perché Magda aveva bussato alla porta della sua camera tre volte e poi, quando anche Aisha si era unita, Ilyas si era deciso ad alzarsi e tentare di entrare nel giorno. Appena lo vide sbucare dalla stanza sua sorella lo portò davanti alla tavola imbandita.

«Abbiamo preparato una torta.» Era allegra, la sua voce, come non si mostrava spesso. «È al tuo gusto preferito: cioccolato fondente.»

Ilyas guardò il dolce al centro del tavolo, grande e poroso, ricoperto da un vistoso strato di panna, e sentì lo stomaco contrarsi.

«Grazie» mormorò e si sedette con Aisha che prendeva posto di fronte a lui.

Sua sorella sembrava in vena di parlare quella mattina e anche quello era un evento abbastanza raro.

«Voznjak è uscito, fra poco torna. È andato dai vicini per aiutarli con un infisso o non so cosa. A proposito dei vicini: ci stiamo organizzando per andare in gita al mar Caspio tutti insieme questo finesettimana.»

«È una cosa che abbiamo in mente da tanto, in realtà, ma abbiamo aspettato te» disse Magda in piedi davanti al tavolo con dei tovaglioli in mano. «Come ti ho detto ieri: eravamo sicuri che avresti superato il test e volevamo approfittare dei tuoi giorni di licenza.»

Ilyas alzò appena gli occhi dal piatto vuoto. «Non c'è bisogno di un permesso speciale per me e Aisha?»

«Voznjak ha già pensato a tutto. E poi ora che sei entrato ufficialmente nell'esercito non ci sarà più bisogno di lasciapassare speciali.» Magda distribuì i tovaglioli e lo guardò. «Hai un'aria stanca, caro. Hai dormito?»

«Non molto.»

«Beh, oggi puoi riposare fin quando vuoi. Non ti corre dietro nessuno.» Lei sorrise e andò ad afferrare un coltello nascosto dietro la torta. «Quante fette vuoi?»

Lui non rispose. Fissò il coltello.

«Prendine almeno due, non hai mangiato niente ieri sera.»

Era un coltello da cucina, diverso dai suoi pugnali, dalla lama grande, affilata; la poca luce che filtrava quella mattina dalla finestra si rifletteva sul filo come un barbaglio sull'acqua.

«Ilyas?»

«... una va bene» mormorò lui e aspettò che lei la tagliasse senza distogliere gli occhi dalla lama che affondava nella superficie scura e spugnosa della torta, ne tagliava un pezzo, sfaldando la cioccolata e la panna e facendo ricadere un po' di quest'ultima ai lati.

Magda gli mise la fetta nel piatto. Sorrideva. «Assaggiala, dicci se ti piace.»

Ilyas sollevò la forchetta e prese un pezzo.

«È buona» dichiarò e le altre due parvero soddisfatte.

Magda tagliò una fetta anche per sé e Aisha e si sedette. «Cominciamo pure, non c'è bisogno di aspettare Voznjak.»

Lasciò il coltello al centro del tavolo.

Mentre loro parlavano, Magda che spiegava i dettagli della gita al mar Caspio – sarebbero andati per un paio di giorni, prenotando in un albergo che conoscevano lei e Voznjak –, e Aisha rispondeva con brevi frasi di pacato entusiasmo, Ilyas fissava il coltello. La lama d'acciaio, grigia, lucida e inerte, il manico di legno adatto a essere impugnato con facilità.

«... speriamo il tempo non sia come qui. Guardate che cielo grigio oggi! Fra poco pioverà, ci scommetto.»

«Un giorno magari ci andremo d'estate.»

«Certo, Aisha, ci andremo anche d'estate e vedrai quanto sarà bello.»

«Hai sentito, Ilyas? Magari il prossimo an... Ma non ti piace la torta? Ilyas?»

«Che c'è?» chiese lui, forzandosi a sollevare lo sguardo.

«La torta.» Aisha indicò il suo piatto. «Non ti piace?»

«Sì che mi piace.»

«Non la stai mangiando però» obiettò lei in un lieve pigolio, un po' incerto e forse affranto.

Ilyas in tutta risposta prese un'altra forchettata e la ingoiò reprimendo un conato di vomito. «È buonissima, l'ho detto.»

Aisha allora sorrise, rassicurata, e si voltò verso Magda per chiederle se al mare avrebbero potuto fare il bagno.

«In questo periodo direi proprio di no, ma d'estate sì. Come non sei mai andata al mare, cara? Ah, ma bisogna rimediare subito!»

Si sentì il rumore del chiavistello che si apriva e subito dopo venne la voce di Voznjak dal corridoio.

«È rimasta un po' di torta per me? Non sono affatto sicuro di trovarla!»

Magda rise mentre Aisha nascose un sorriso dietro la mano. Ilyas ritornò a guardare il coltello.

Smettila di fissarlo, si disse, ma non ci riusciva; non riusciva a distogliere lo sguardo. Era come se una forza invisibile lo portasse lì, a inchiodare gli occhi sulla lama pulita a parte alcuni sbuffi di cioccolata. Sembrava così innocua, posta al centro del tavolo, in mezzo a chiacchiere leggere e tintinnanti. Così normale. Inoffensiva.

Non voglio rovinarti.

Un'intensa fitta al basso ventre lo fece piegare leggermente in avanti. Si passò un braccio sulla pancia tesa e, quando abbassò gli occhi, vide due chiazze rosso vivo che iniziavano ad allargarsi sulla maglia che indossava, all'altezza dei fianchi, come petali che si schiudono al bagliore del sole; gli impregnarono velocemente tutta la stoffa della maglia e dei pantaloni finché il sangue non cominciò a sgocciolare sul pavimento. Lui lo sentiva, pop, pop, nelle orecchie e nelle narici, e si chiese se quelle pillole che aveva ingoiato la sera prima avessero anche quell'effetto allucinatorio o fosse lui ormai incapace di distinguere la realtà da quel che la sua mente partoriva.

«Cosa voleva Dusan, Voznjak?»

«Oh, niente di che. Un problema alla caldaia perché non capiva bene le scritte del quadrante. Gli ho fatto un po' di consulenza di cirillico, toh.»

Sangue. Era di nuovo dappertutto, sui suoi vestiti, sui suoi fianchi, in mezzo alle sue gambe, anche sulla lama al centro del tavolo sotto cui stava cominciando a spandersi una pozza scura.

«Stavamo dicendo a Ilyas della gita al mar Caspio.»

«Oh, certo! Ti piace l'idea, ragazzo? Non ci sei mai stato, immagino. Prenotiamo per un paio di giorni. C'è un mio vecchio commilitone che ha messo su un alberghetto niente male nell'isola di Tjulenij, nel Daghestan. Ah, dovrei pensare anch'io a qualcosa di simile quando verrà il momento della pensione.»

«Caro, non riesci a fare la spesa quasi, figuriamoci far quadrare i conti di un albergo.»

«Per questo lo farei solo se ci fossi anche tu nell'impresa, lapushka. Sai che sarei perso senza di te.»

Con una mano che si teneva il fianco per frenare il gettito di sangue – non sta accadendo non sta accedendo non sta accadendo –, Ilyas posò la forchetta al lato del piatto e fu tentato di alzarsi. Doveva andarsene. Non poteva restare lì, in mezzo a tutto quel sangue, mentre loro chiacchieravano e lui perdeva la testa. Perché la stava perdendo, tutto quello non era reale...

«Allora, Ilyas.» Sentì un movimento dietro di sé. «Cosa ne pensi di Tjulenij?»

Un tocco. Sulla spalla, caldo e asciutto. Il palmo di una mano.

«Ilyas!»

Questa era la voce di Aisha, spaventata. Anche Magda gridò, mentre Voznjak trattenne un gemito di dolore. La sedia su cui un attimo prima Ilyas era seduto si rovesciò a terra e il rumore si unì a quello del piatto infranto sul pavimento in uno scrosciare di cocci per come era scattato nel voltarsi e allontanare la mano di Voznjak, rigirandogli il polso e sbattendolo violentemente contro il duro legno del tavolo.

Magda si alzò. «Voznjak?»

«Ilyas, che ti prende?» Aisha si alzò a sua volta. Le pupille dei suoi occhi erano agitate e la sua voce tremante. «Che fai?»

La vista di lui sembrò snebbiarsi solo in quel momento. Per un attimo, l'istante in cui era scattato contro Voznjak, gli era sembrato di essere immerso in una nebbia livida e appiccicosa, senza alcun riferimento, né appiglio, ma tornò in se stesso, nell'ambiente caldo e accogliente della cucina, con sua sorella che lo fissava incerta e Magda che aggirava il tavolo per raggiungere il marito che si teneva il polso destro con l'altra mano.

«Voznjak, tutto bene?»

«Sì, sì, non è niente, è solo una bottarella. Queste vecchie ossa reggono ancora.» Voznjak roteò il polso e agitò la mano. Cercò di sorridere, ma non gli riuscì molto bene. Il suo volto era teso; alzò gli occhi su Ilyas, che si era andato ad addossare contro il muro dall'altra parte del tavolo, e lo guardò con apprensione. «Ilyas, cosa c'è? Sono io.»

Lo so che sei tu, avrebbe voluto urlare lui. Sono io che non sono più io.

«Non...» iniziò, ma la voce gli tremò, il fiato gli rimase incastrato in gola e le parole si aggrovigliarono come in un roveto sul confine spinato delle labbra.

«No cosa? Cosa vuoi dire?»

Non toccarmi, non voglio che mi tocchi, non voglio che nessuno mi tocchi più...

«Scusate» farfugliò senza guardare nessuno, tantomeno sua sorella. Scosse la testa e aggirò il tavolo. «Non ho fame. Devo andare.»

«Ilyas, aspetta!»

Provarono a fermarlo, ma lui era già uscito fuori dalla porta della cucina. Attraversò il salotto e raggiunse il corridoio a rotta di collo. Senza cambiarsi, afferrò solo le scarpe che aveva lasciato all'angolo dell'ingresso la sera prima, se le infilò e si precipitò fuori dall'appartamento prima che Voznjak comparisse sulla soglia per gridargli di tornare indietro. Fu in strada nel giro di pochi secondi, il tempo di scendere le scale del primo piano e ritrovarsi nell'aria fredda di quel mattino plumbeo, con il cielo gravido di nubi che aveva già cominciato a stillare le prime gocce di pioggia.

Iniziò a correre.

Correva senza sapere dove stava andando, l'importante era solo allontanarsi, fuggire via da lì, dallo sguardo trasparente di sua sorella, dalla paura che per un attimo le aveva attraversato gli occhi, così scoperta e vulnerabile. Aveva promesso a se stesso, anni prima, che non l'avrebbe mai ferita, ma ora non era più sicuro di niente, neanche del proprio corpo che macinava l'asfalto sotto le scarpe, quel corpo che non gli apparteneva più, che non sentiva più suo, perché era un falso; era tutto falso, anche se gli altri dicevano che quella era la realtà, lui sapeva che non era così, che la realtà per come era davvero l'aveva lasciata in quella cantina, che là, nel buio, nel sangue, aveva visto la verità.

Vuoi dire qualcosa?

La pioggia batteva singhiozzante contro il suolo, l'aria densa di umidità che si avvolgeva in viticci sottili.

Se dovessi essere catturato da qualcuno, Ilyas, promettimi che fermerai la simulazione.

Una goccia, due gocce, tre. Gli scesero lungo il viso, mischiandosi al sangue per come si era morso ferocemente le labbra.

Che cosa ho fatto? Cosa cazzo ho fatto?

Avevano un sapore strano sulla pelle, come di sale, come di lacrime.

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