Capitolo 9
"Credi che fingere che un problema non esista lo faccia scomparire?"
•••
_La vita arranca_
«Che stai facendo?» Jeongguk ebbe solo la forza di alzare una palpebra, ancora affondato tra le coperte.
Che ora era?
«Vado a lavoro» proruppe Jimin, guardandolo mentre passava la cintura nei passanti dei pantaloni, vestito e pulito di tutto punto. Sembrava un sogno realistico vederlo in piedi, dopo che il giorno prima lo aveva passato completamente a letto alzandosi solo per andare in bagno.
Come a colazione, durante il pranzo e la cena, dove aveva dovuto costringerlo a mangiare. Il giorno prima era volato, ricordava di aver cercato di fare avvicinare i due bambino, senza risultato visto che poi si erano entrambi chiusi nelle proprie camere, poi aveva provato a parlare con Jimin, altro risultato fallito e poi, dopo cena, aveva semplicemente mollato tutto per sdraiarsi e dormire visto che si sentiva completamente stressato: ritrovandosi con la testa che a momenti scoppiava.
Si era sdraiato con la schiena di Jimin davanti agli occhi, senza nessun cambiamento sul suo volto. E nel silenzio della notte aveva sentito il proprio cuore tremare pericolosamente.
Quella mattina si sarebbe aspettato tutto e niente, ma non di svegliarsi per Jimin che faceva rumore per prepararsi ad andare lavorare come se… non fosse successo niente. Come se stesse eliminando i due giorni in cui non aveva fatto altro che starsene chiuso in quella stanza sotto le sue cure.
«Come?» sbiascicò con la bocca ancora impastata mettendosi seduto per studiarlo meglio mentre sceglieva attentamente la cravatta, voleva sentirsi felice per quel cambiamento drastico, ma una sorta di inquietudine gli attorcigliò le viscere, facendogli stringere nervosamente le mani tra sé.
Sembrava davvero troppo normale. Non poteva essere uscito così dal nulla da quel lombo torbido.
Che stava succedendo esattamente?
«Jimin?» lo richiamò «Dovremmo parlare» provò, approfittando nel vederlo in parte lucido.
Jimin finì di annodarsi la cravatta e si infilò il secondo pezzo del completo, avvicinandoglisi mentre si sistemava i polsini: «Ora devo andare, o farò tardi» lo bloccò con una sorta di sorriso morbido sulle labbra.
«Ma…» cercò di bloccarlo mettendosi seduto, ma le parole vennero interrotte da un bacio prima che si allontanasse nuovamente.
«Ci vediamo più tardi, riposa ancora un po’: è presto» esitò davanti alla porta e dopo un sospiro uscì.
Jeongguk rimase immobile finché sentì anche la porta dell’ingresso chiudersi, poi si stropicciò pigramente il volto, osservando la porta.
Cosa diavolo stava facendo Jimin? Perché ora si comportava così?
Dovevano parlare anche di Jaesang, non potevano rimandare ancora a lungo. Cosa doveva fare con lui?
Non aveva idea di come comportarsi.
Il flusso di pensieri che lo stavano intorpidendo venne interrotto da uno spiraglio che si aprì facendo passare il volto di suo figlio. Non ebbe la forza di sorridere ma allungò le braccia, invitandolo sul letto.
MyungDae non se lo fece ripetere e velocemente si accomodò sul suo grembo, nascondendosi anche lui tra le coperte.
«Stai bene, papà?» domandò, accarezzandogli un braccio.
Jeongguk si appoggiò alla spalliera del letto e sbadigliò. «Sono un po’ stanco, ieri notte non ho dormito tanto. Tu come stai? Perché ti sei svegliato presto?»
Il piccolo alzò le spalle «Perché non hai dormito tanto?» e si strinse sul suo petto, socchiudendo gli occhi.
«Sono un po’ preoccupato» sussurrò Jeongguk, ammettendolo davanti al figlio. «Ma non è niente di che, ogni tanto succede» lo sentì annuire e lentamente lo fece sdraiare, seguendolo a sua volta per osservarlo in volto. «Il mio MyungDae non è triste, vero?»
Era così concentrato su Jimin e Jaesang che non aveva tenuto conto che quella situazione potesse essere stressante anche per il suo stesso figlio. Erano sempre stati loro due e ora, all’improvviso erano in quattro, di cui un bambino che non lo guardava neanche. Venne inglobato dai suoi occhioni ancora umidi di sonno e il suo cuore poté trovare una parte di pace persa. In un gesto che compiva spesso gli poggiò la piccola mano sulla guancia, infondendogli coraggio nonostante la sua giovane età.
Chiuse gli occhi, assaporando le sue carezze dolci e sincere.
«Tranquillo papà, basta che non ti dimentichi di me e puoi fare venire chi vuoi a casa nostra»
Jeongguk si sentì sprofondare e se lo spinse addosso, stringendolo amorevolmente. Gli baciò più volte il capo «Non potrei mai dimenticarmi del mio MyungDae, anche se dovessero venire a vivere con noi altre mille persone» gli pizzicò un fianco facendolo contorcere «Cosa credi, eh?»
E diede vita a una lotta di solletico che scombinò le lenzuola ma mise a posto il suo animo, grazie a quelle risate acute.
Si fermò qualche minuto dopo sotto alle sue proteste con le lacrime agli occhi e lo guardò con tutto l’affetto che riusciva a riversargli addosso. Così, con le guance che s'erano fatte più smilze nel tempo, arrossate, il sorriso che scopriva i denti e i capelli scombinati. All’improvviso la figura di un volto femminile, estremamente simile al suo, si sovrappose.
Addolcito glielo accarezzò, chiudendoli la punta del naso tra le dita: «Inizia ad andare a lavarti, facciamo colazione fuori, ti va?»
MyungDae non se lo fece ripetere due volte, già con la voglia di quelle crepes nel negozio aperto da poco, annuì e si mosse veloce per scendere dal letto e correre fuori dalla stanza.
E Jeongguk rimase con la testa china sul materasso prima di trovare la forza d’alzarsi, lavarsi, cambiarsi alla svelta e raggiungere la stanza della casa ancora chiusa. Lentamente abbassò la maniglia e sbirciò nel buio, accendendo la luce quando entrò completamente, osservando la piccola figura ancora addormentata tra le coperte.
Si sedette sul bordo del letto.
Era quasi come non averlo in casa. Usciva dalla sua stanza solo quando lo chiamava per mangiare e poi ci tornava, stando dentro fino al prossimo pasto o per usare il bagno. Non parlava mai, solo quando strettamente necessario, quando era a tavola con loro teneva la testa bassa e si nutriva, scappando subito dopo. Non sapeva cosa rispondere a MyungDae quando lo guardava confuso, quindi si trovava a stringere le spalle, finendo il pasto, con i pensieri diretti al piccolo.
Non aveva idea di cosa facesse tutto quel tempo nella stanza e quando sbirciava dalla porta per accertarsi che andasse tutto bene, lo trovava o seduto a terra, o sul letto, sempre in compagnia di Horn. Lo aveva anche visto sfogliare un libro di disegni, poi nient’altro. Non aveva idea di cosa pensasse, non aveva idea di nulla, neanche di come facesse a non annoiarsi essendo un bambino. Ma non voleva forzare la mano. L’ultima cosa che voleva fare era vederlo ritirarsi ulteriormente… si sentiva già abbastanza in pena.
Abbassò la coperta per scoprirgli il visino e lentamente lo scosse finché lo vide aprire gli occhi. Portò subito le mani in grembo, regalandogli un sorriso. «Buongiorno» Sussurrò per non infastidirgli il risveglio. Era da un solo giorno e una notte che era con loro, ma aveva subito iniziato ad affezionarsi. Era inevitabile davanti a quel viso.
Il piccolo Jaesang ci mise un po’ a focalizzare dove si trovasse, poi si mise seduto facendo cadere le coperte sulle gambe e inaspettatamente allungò le braccia verso di lui.
Jeongguk sentì le mani tremare e incerto lo afferrò da sotto le ascelle per cullarlo sul proprio grembo, spostandolo dal suo posto. Era completamente sconvolto da quella razione ma evitò di farlo notare e lentamente gli accarezzò i capelli sottili, muovendo le gambe.
E poi sentì un singhiozzo e il suo cuore si rimpicciolì tanto da fare male nel petto. «Che succede?» gli chiese, cercando di guardarlo in volto. Ma il bambino si attaccò al suo petto, nascondendosi completamente.
Decise d’alzarsi in piedi ed esattamente come faceva con MyungDae dopo un incubo, iniziò a passeggiare nella stanza tenendolo stretto a lui.
Era il figlio di Jimin.
Qualcosa sussultò dentro di lui.
Avevano bisogno l’uno dell’altro.
E quella consapevolezza lo colpì di netto, mentre i singhiozzi iniziavano a farsi meno rumorosi e l’abbraccio intorno al collo meno stretto. Con gentilezza si allontanò e con una mano gli asciugò il volto bagnato. Trovando per la seconda volta in lui, l’innocenza e la delicatezza di ogni bimbo.
«Va tutto bene. Sei al sicuro qua» lo rassicurò, osservandolo tirare su con il naso. «Andiamo a lavarci e poi facciamo colazione fuori, ti va?»
Il piccolo annuì e lentamente poggiò la guancia contro la sua spalla. Jeongguk si sentì debole nel vederlo arrendersi così tra le sue braccia sconosciute e capì che Jaesang era stato molto probabilmente privato da troppo amore. Lo lasciò così mentre afferrava qualcosa per cambiarlo e raggiungeva il bagno.
«Papà, ci hai messo tanto tempo!» ribatté MyungDae quando lo vide entrare finalmente in bagno. Era ancora in pigiama e Jeongguk capì che non aveva fatto nulla... sicuramente aveva perso tempo a giocare. Gli strofinò la testa quando lo vide osservare Jaesang che scalciò per scendere dalle sue braccia, forse per evitare di farsi vedere così davanti a lui. Quel pensiero lo fece quasi ridere mentre lo superava per prendere lo spazzolino del figlio e quello di Jaesang, portato gentilmente da Hoseok visto che il giorno prima non aveva lasciato casa.
Quando aveva capito che la situazione sarebbe stata molto lunga, aveva chiesto un congedo per malattia dal lavoro.
«Hai preso i tuoi vestiti?»
Myung indicò il punto in cui gli aveva appoggiati e seguì con lo sguardo l’altro bambino andare a sedere sulla tavoletta dei sanitari. Aveva gli occhi rossi e le braccia incrociate al petto.
MyungDae si avvicinò al padre che spremeva il dentifricio e si alzò in punta di piedi per raccogliere qualche fazzoletto dalla scatola, poi si fece avanti, strofinandoli in volto a Jaesang. «Hai pianto?» domandò.
«Non ho pianto» ribatté, Jaesang scostandosi un po’ quando venne quasi accecato. Questa volta però Myung non venne spinto e decise che poteva stargli più simpatico, anche se aveva quella strana faccia su.
«Con delicatezza, Myung» rise Jeongguk, osservando orgoglioso quella scena. Passò ai due gli spazzolini che iniziarono a lavarsi i denti guardandosi in faccia mentre lui azionò l’acqua, regolandola.
«Se non hai pianto, allora perché hai gli occhi rossi?» sputacchiò MyungDae, infastidendo Jaesang che sta volta lo spinse, seppur meno violentemente della prima volta. «Ahia!»
«Non ti ho fatto nulla» Jaesang tornò con le braccia al petto e si beccò una smorfia.
«Jae, niente violenza, ricordi?» lo rimproverò Jeongguk, aiutandoli poco dopo a lavarsi la bocca dalla schiuma visto che ci stavano impegnando anche troppo.
«Lui non mi lascia stare» gorgogliò Jaesang quando fu il suo turno.
«Tanto lo so che hai pianto»
«Basta così» Jeongguk si asciugò le mani e alzò gli occhi al cielo per il battibecco, iniziando a spogliarli. «Entrate in acqua o al posto della colazione dovremo fare pranzo» asserì.
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