Capitolo 2- present
"Annacquare di vita le semplicità di ogni azione, le stesse che costellano un'esistenza"
•••
_Vivere ciò che finalmente abbiamo_
Jeongguk finì di vestire MyungDae, alzandogli la cerniera del giubbino. Poi strinse gli occhi e lo guardò sottilmente, pizzicandogli una guancetta: «Mi raccomando, fai il bravo» lo ammonì bonariamente.
Il bambino si sistemò il cappellino morbido sulla testa che gli schiacciava le ciocche, facendogli prudere la fronte. «Si, papà» cinguettò con occhi limpidi.
Era il suo primo giorno di elementari, non era molto entusiasta di andarci, ma Jimin gli aveva promesso il gelato dopo scuola, nonostante fosse settembre, quindi aveva acconsentito: perché al gelato non si rinuncia mai.
«Mi dispiace non poter esserci» e Jeongguk sentiva di star perdendo qualcosa di importante ma non poteva fare altrimenti; quel giorno in azienda avevano richiesto la sua presenza e di mal grado aveva dovuto accettare, salutando così quel giorno tanto importante.
«Scatteremo tante foto a papà, vero Myung?» Jimin uscì dalla loro stanza raggiungendoli in sala, aiutando il bambino a infilarsi la cartella che aveva portato con lui.
MyungDae annuì vivacemente. Parlava ancora poco ma i passi avanti erano evidenti. Secondo Jeongguk era semplicemente taciturno, forse non sentiva l’esigenza di farlo costantemente, alla fine era in grado di farsi capire.
Il maggiore dei tre si abbassò per baciare l’amato, poi gli accarezzò la testa. Sentendo il cuore scaldarsi come ogni volta che si trovava davanti ai suoi occhi grandi che contenevano tutto il suo mondo.
«Tranquillo, ha appena iniziato. Hai tanto tempo per accompagnarlo a scuola» sussurrò, accarezzandogli uno zigomo, completamente ubriaco di lui. Era stato difficile spiegare a MyungDae cosa legava lui e Jeongguk, ed era stato ancora più difficile spiegargli che due uomini potevano amarsi come facevano un uomo e una donna. Il bambino era rimasto davvero titubante per circa tre giorni, prima di dimenticare ciò che lo faceva sentire confuso e tornare al suo solito stato d’animo frizzantino.
Avevano deciso solo recentemente di potersi lasciare andare a leggere effusioni davanti e lui e in compenso, non avevano avuto riscontri negativi. MyungDae amava vivere con Jimin ed era un bambino molto intelligente e sensibile.
Jeongguk annuì lentamente, osservandolo alzarsi e prendere il piccolo tra le braccia. «Non è la stessa cosa però» si lamentò, imbronciandosi apertamente e senza vergogna.
Jimin, sentendosi sciolto come burro al sole, sussurrò qualcosa all’orecchio del bambino e questo saltellò eccitato tra le sue braccia, battendogli il cinque.
«Papà viene con noi a mangiare il gelato!» e non era una domanda ma un’affermazione.
Jeongguk alla fine si aprì in un sorriso di zucchero e li raggiunse per baciargli entrambi sulle guance; non poteva resistere alle due persone più importanti della sua vita. «D’accordo» acconsentì «State attenti per strada».
«Tutto sotto controllo signor Jeon!»
«Pronti per la partenza?» chiese il maggiore, al bambino che lo stava già guardando.
«Pronti!»
MyungDae rise con Jimin mentre lo imitava nel saluto militare e finalmente si avviavano all’uscita, seguiti da Jeongguk sul pianerottolo, che rimase a guardarli finché non li vide scomparire nell’ascensore infondo al corridoio, prima di tornare dentro, avvolto nel silenzio della casa che avevano comprato (dopo aver compreso che non sarebbero riusciti a continuare dove era iniziato il disastro) quando erano tornati dal viaggio.
Sentì la preoccupazione salire inevitabilmente.
Erano appena usciti dal programma di protezione di dieci mesi e anche se era inutile, gli era impossibile non ricordarsi ciò che avevano passato e avere di conseguenza la guardia alta e una lieve preoccupazione addosso finché non si riunivano tutti insieme a casa. Jimin portava ancora una grossa cicatrice sulla pelle, scoperta dopo aver tolto il gesso e nelle loro menti sarebbe per sempre rimasto stampato il trascorso vissuto.
Era impossibile dimenticare, andare avanti si, ma dimenticare no e andava bene così, erano l’uno la forza dell’altro. Avevano trovato e costruito la loro famiglia attraverso le loro forza e la prepotente voglia d’amarsi e c’è l’avevano fatta.
Faticava ancora a credere che adesso lui e MyungDae avessero un’altra figura costante e che ora fossero davvero come una famiglia. Faticava a credere davvero che ogni mattina si svegliava e si trovava il volto addormentato del suo amato al suo fianco. Faticava a credere che stessero davvero vivendo quella vita tanto voluta. Faticava a credere che avessero davvero vinto contro quella società.
Ma era tutto vero, non era un sogno. Stava davvero vivendo la vita sperata, e anche se all’inizio era stato difficile adattarsi e sentirsi normali con un programma di protezione addosso, che aveva avuto lo scopo di proteggerli finché l’attività era stata completamente smantellata, avevano preso con entrambe le mani ciò che avevano davanti ed erano andati oltre.
Il nome di Jimin non era stato fatto e in compenso, oltre allo scivolone per evitare di farlo finire in prigione, gli era stata anche apportata una tangente somma di denaro per un sincero ringraziamento dal governo stesso.
Da quel giorno non sarebbero più morte persone sotto l’Animal Activity e la Corea del sud sarebbe stata più vivibile, tanto che si era alzato anche il tasso di turismo e tutto questo grazie ai vecchi Gatto e Tigre che avevano onorato anche la morte del loro carissimo fratello.
Era evidente quanto dovessero essere grati ai due per averli aiutati con quella società che squassava la tranquillità cittadina da anni, senza di loro, ne erano consapevoli, non sarebbero mai riusciti ad arrivare al nucleo per estirparlo dalla radice.
«Finalmente sei tornato» sbottò Jeongguk, abbracciando stretto il suo amico che aveva appresso una moltitudine di valigie e in testa un cappello ben calcato. Gli occhi erano coperti nonostante non ci fosse sole.
«Gguk» Jin ricambiò l’abbraccio «La mia Corea!» si staccò e allargò le braccia, facendo un giro su se stesso. Quasi non si riconosceva con tutti quei vestiti addosso a farlo sembrare una pallina dritta. «Mi siete mancati tutti, il vostro Jin è finalmente tornato»
«C’era bisogno di portare qua le valigie?» Jeongguk rise apertamente e lo spinse dalla schiena dentro casa
«È quello che gli ho detto anche io, ma non ha un briciolo di pazienza» Taehyung si levò gli occhiali da sole e se li infilò nel colletto della camicia a righe.
«Merda» perse quasi fascino quando rischiò di cadere per un borsone buttato a terra.
Raccolse ciò che poteva mentre si rimetteva dritto, trovando compostezza: «Ma Jeongguk di là, MyungDae di qua… mi stava scoppiando la testa, a momenti lo buttavo giù dall’aereo» si lamentò con voce da bambino mentre Jeongguk lo raggiungeva per aiutarlo pietosamente. Si guardarono di sfuggita e si scambiarono un saluto amichevole, avviandosi.
«Oh, il mio piccolo nipotino» sentirono urlare Jin che aveva bellamente ignorato i due dopo aver alzato il medio al suo ragazzo «Vieni da zio»
Quando entrarono lo trovarono abbracciato a MyungDae che cercava di scollarsi dalla presa mortale. «Ma quanto sei cresciuto? Piccolo di zio»
Jeongguk guardò il figlio, avvertendolo con lo sguardo di star buono se non voleva essere stretto ancora più forte. «Non lo vedi solo da tre mesi, Hyung» sospirò alla sua solita drammaticità.
Certe cose non sarebbero mai cambiate.
«Sembra già troppo tempo» si difese Jin, alzandosi mentre Taehyung batteva cinque alla vittima dell’abbraccio troppo amorevole.
«Effettivamente sembri più alto, sei quasi un ometto» si complimentò, abbassandosi alla sua altezza, addolcendosi sotto al suo sorriso gongolante per i complimenti.
«Guarda qua» sussurrò tra di loro, porgendogli una caramella alla fragola presa dal giaccone.
Jeongguk finse di non notarlo, lasciandolo scappare in cameretta anche se era quasi ora di cena.
«Hoseok quando torna?»
«Il tour finisce la prossima settimana» rispose, rimembrando l’ultima chiamata avuta con lui.
«Tu come stai? Anzi, come state?» Jin accarezzò la guancia del suo amico, baciandogli dolcemente la fronte mentre si toglieva il giubbotto. Il suo ragazzo glielo appese con il suo e tutti e tre si avviarono in cucina, dove il cibo era ancora in pentola.
«Stiamo benone. Sembra ancora assurdo tutto questo» Fece Jeongguk sognante, con il cuore pieno di tutto.
«Tu e Dae meritate solo il meglio» Jin si lavò le mani e sbirciò cosa stesse cuocendo «Con Jimin siete fantastici»
«A proposito, dov’è adesso?» Taehyung si sedette a una delle sedie intorno al tavolo e guardò il suo ragazzo aprire il frigorifero. Erano appena tornati da un viaggio di lavoro a Tahiti, dopo il loro primo set fotografico insieme, spesso erano richiamati a lavorare in coppia. Era stato un viaggio da favola, avevano vissuto quei giorni come in un romanzo, ci sarebbero tornati però, avevano voglia di viversela completamente.
Jeongguk si toccò il piercing al sopracciglio: «Dovrebbe essere qua a momenti. In azienda gli hanno chiesto gli straordinari ora che è passato al fianco del capo» informò, con estremo orgoglio. Stava praticando ore socialmente utili ma continuava a lavorare, mostrandogli quanto tenesse alla seconda possibilità avuta.
«Parliamo di MyungDae ma quello davvero cambiato sei tu» Jin, che si era messo a fissare la schiena di Jeongguk mentre tritava un pomodoro, si riscosse. Durante quel tempo, non c’era più traccia del corpo morbido e tenero. Ora al suo fianco era sbocciato un giovane uomo che aveva lavorato sui propri muscoli duramente, aveva piercing al labbro e al sopracciglio e si era iniziato a tatuare sulle braccia. Era incredibilmente diverso da com’era prima che trovasse Jimin.
Ma quelli erano tutti miglioramenti. Jeongguk aveva sempre avuto il difetto di trascurarsi, specialmente per il tempo che relegava per il figlio. Con Jimin invece sembrava poter tenere la sua intera vita tra le dita. Era stupefacente come i due si adattassero così bene l’uno all’altro, come se fossero nati solo per incontrarsi, tirando fuori il meglio in sé.
«Ormai dovresti essere abituato» lo prese in giro Jeongguk, porgendo a Taehyung un pezzo di carne che accettò molto volentieri, affamato per il volo.
«Non mi abituerò mai a quanto sexy sei diventato»
«Ammazzati»
Seokjin scoppiò a ridere al tono aspro di Taehyung e si voltò solo per baciarlo volante sulla bocca. «Tu sei il più sexy di tutti, lo sai» lo riprese, premendo il naso contro al suo.
«Sono a casa» il momento venne interrotto dall’entrata di un Jimin stanco, accolto da quella scena amichevole. Si avvicinò a Jeongguk che lo guardava, come al suo solito, troppo intensamente, per rubargli un bacio a fior di labbra e si sbilanciò per abbracciare Taehyung strettamente, senza dare conto al tavolo tra di loro. Aveva la voce allegra nonostante la giornata movimentata.
«Finalmente vi siete degnati a tornare. Le vacanze sono finite da due settimane ormai» gli riprese, accarezzando la spalla di Seokjin che le scrollò divertito.
«Il marmocchio?»
Jeongguk lasciò il cucchiaio di legno sul bancone e bloccò un polso a Jimin per spingerselo contro. Gli baciò la fronte e gli scostò dagli occhi i capelli che aveva lasciato lisci e morbidi, in quella classica pettinatura che gli conferiva un’aria bambinesca.
«È in cameretta. Fatti una doccia veloce che è quasi pronto»
Jimin rimase a fissarlo qualche momento di troppo, contagiato da quel prendersi cura di lui. Senza riuscire a togliersi da quel calore che gli donava senza pretese, poi annuì, gli baciò il palmo e uscì dalla cucina.
«Pensavo che qua l’unico sposato fosse Namjoon» Taehyung si coprì la bocca, nascondendo la tenerezza che evaporava dagli occhi.
Jimin li ascoltò battibeccare, sentendosi bene in quell'aria famigliare che aveva iniziato a nascere, mentre raggiungeva la stanza del minore dove lo trovò seduto a terra a giocare con una piccola bambolina di pezza. Gli si sedette davanti, sul tappeto blu, aspettando che alzasse il volto gattonandogli incontro per sedersi in braccio, lasciandolo accarezzare i capelli spessi del suo giocattolo.
MyungDae aveva mostrato interesse sia per i giochi maschili che per quelli femminili e i due non avevano quindi perso tempo a dargli ciò che cercava, per nulla intenzionati a sopprimerlo. Il maggiore non avrebbe mai e poi seguito le ore di quello che doveva essere suo padre.
«L’hai già spazzolata?» lo vide annuire, quindi si alzò tenendolo stretto e lo aiutò a poggiare la bambola sul letto, dove il piumone con i dinosauri spiccava sulla vernice bianca del legno.
«Andiamo a farci il bagno? è quasi pronto da mangiare» chiese, aprendo uno dei cassetti, da dove insieme scelsero il pigiama, prima di avviarsi lungo il corridoio in silenzio.
Jimin amava quel bambino, tanto quanto amava Jeongguk.
I due gli avevano dato una famiglia che aveva perso molto tempo prima ed era la famiglia migliore che potesse desiderare. La sua vita volava su direzioni brillanti dopo essersi levata dal suolo sporco e polveroso. Ogni piccola cosa, ogni piccolo dettaglio, lo assaporava a pieno, riscoprendolo lentamente, lasciando che la sua vita si congiungesse con quella di loro due.
La dolcezza delle carezze del suo amato Jeongguk, colui per cui aveva combattuto a spada tratta. La tenerezza dei gesti muti di MyungDae che richiedeva amore inconsapevolmente.
Erano le sue persone. Tutto ciò che possedeva e voleva possedere al mondo, custodito teneramente nell’anima e nel cuore, dove un'ombra alta cercava sempre di fare dolorosamente a pugni.
Jeongguk era diventato il suo lenitivo, anche se si rendeva conto di star nascondendo qualcosa che non aveva ancora il coraggio di ammettere a sé stesso. Non si sentiva abbastanza forte per risucire ad affrontarlo e non sapeva se lo sarebbe mai stato davvero.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top