-- Capitolo 55 -
- ALESSANDRO. -
Mi rigiro nel letto aprendo gli occhi e trovo Marta fissarmi. Le sorrido, ma lei ricambia debolmente. Non mi aspettavo un risveglio del genere dopo la notte passata. Lancio un'occhiata alla scrivania, ma i nostri cellulari sono entrambi ancora appoggiati lì, quindi non ha ricevuto nessuna chiamata, o messaggio preoccupante.
«Cosa succede?» chiedo schiarendomi la voce.
Prende un profondo respiro. «Ti va di parlare?»
Annuisco, anche se non ne sono sicuro.
Di solito è una frase per liberarsi dell'altro. Non credevo che volesse smettere di vedermi, le cose stanno andando a gonfie vele. Io pensavo persino di chiederle di diventare la mia ragazza! Ho sbagliato così tanto su di lei? Non mi ha mai dato motivo di credere che volesse chiudere tutto. Lo so che ci siamo ripromessi che sarebbe stata una relazione solo fisica, niente scenate di gelosia da coppietta, ma io voglio di più che dividere il letto. Ogni volta mi trattengo dal baciarla davanti agli altri, o lo faccio quando sono sicuro che nessuno ci vede. Lei non vuole questi gesti, ma io inizio a sentirne il bisogno.
Voglio tenerle la mano intrecciando le nostre dita, baciarla sulle labbra quando ne ho voglia e vorrei -assurdamente, lo so- provare la gelosia.
Cerco di non andare in confusione e mi metto a sedere puntando i miei occhi nei suoi.
«Volevo parlarti di mio padre.»
Suo padre. La stessa persona che la rende triste e capisco quando sua madre chiama per parlare di lui, o quando pensa a lui. I suoi occhi si spengono, quel castano caldo si raffredda e perde il contatto con la realtà.
Vorrei non accadesse mai.
«Certo.» dico appoggiandomi alla testiera del letto. «Puoi dirmi qualunque cosa.»
Sospira spostandosi i capelli dietro alle orecchie. «Capirò se poi... poi vuoi andare via.»
Come può essere tanto preoccupata della mia reazione? Come può pensare che io possa allontanarmi da lei?
«Non vado via.» affermo sicuro.
«Aspetta a dirlo.»
Alzo gli occhi al cielo. «Marta, non essere stupida.»
Mi sorride dolcemente. «Prima fammi raccontare, credo di...» si ferma per poi scuotere la testa. «Voglio parlartene, mi sembra giusto che tu sappia qualcosa in più su di me.»
«Non devi sentirti costretta.»
«Non lo sono.»
Le sorrido perchè sappiamo entrambi che sta mentendo. «Marta, non importa se non me lo vuoi dire.»
«Non avrò mai il coraggio di farlo.» dice sospirando. «Me lo sono imposta, voglio dirtelo... però... però abbi pazienza.»
«Abbiamo tutto il giorno.» affermo sperando di infonderle un po' di coraggio. «Anche domani e il giorno dopo ancora se ti serve.»
Mi sorride sollevata. «Grazie.» il sorriso le si spegne e rimane in silenzio qualche istante prima di riprendere a parlare. «Mio padre non è una cattiva persona e non lo dico solo perchè sono sua figlia. Prima aveva un lavoro, a quanto ne so era bravo nell'agenzia viaggi in cui stava. La situazione poi ha iniziato ad essere insostenibile e quindi è stato licenziato. Ha lavorato un po' saltuariamente, ma è da oramai cinque anni che non fa più nulla.» si ferma per riprendere il controllo della sua voce che inizava a incrinarsi. «Gli alcolisti anonimi non gli servono a nulla, ha provato persino uno psicologo, ma inutile dire che è stato un risultato ancora più scadente. Le cliniche... non sono mai state abbastanza buone da trattenerlo.»
«In quante cliniche è stato?»
«Un paio.» risponde stringendosi nelle spalle. «Ora è in una nuova clinica, ma non ho il coraggio di andare.»
«Non hai il coraggio di andare da sola?»
«Ho paura di trovarlo ridotto ancora peggio.» risponde con gli occhi lucidi.
Mi si stringe il cuore vederla in questo stato. Ha i capelli scompigliati, indossa solo una mia maglietta e gli occhi sono lucidi per le lacrime trattenute. Apre la bocca, ma non riesce a parlare e vedo tutta la sua tristezza che vorrei portare via.
Apro le braccia in un chiaro invito e dopo secondi di esitazione, decide di concedersi il mio abbraccio. Si stringe a me forte affondando il volto nell'incavo del mio collo. Le accarezzo la schiena mentre sento le lacrime che sfuggono al suo controllo e mi bagnano la pelle. Vorrei fare qualcosa.
«Non voglio perderlo.»
«Sono qui.» dico stringendola a me, non sapendo che altro fare. «Non perderai tuo padre, ma non puoi scappare ed evitarlo.»
«Lo so.» mormora.
«Sono sicuro che vorrebbe che lo andassi a trovare. Se vuoi ti accompagno.»
Scuote la testa staccandosi. «Non voglio che lo vedi.»
«Voglio solo darti il mio sostegno.»
Sorride dolcemente asciugandosi gli occhi con i palmi delle mani. «Grazie, ma... io...»
«Puoi farti accompagnare da Gio, o Sabrina.» dico spostandole una ciocca dietro l'orecchio. «Sono sicuro che ti accompagnerebbero senza alcun problema.»
Annuisce. «Lo so, ma... forse è meglio che vado da sola.»
«Sei sicura?»
Scuote la testa. «Non sarò mai sicura, ma hai ragione. Devo andare da lui e poi ci sarà mia madre, non sarò da sola.»
Mi avvicino e la bacio dolcemente. «Stai tranquilla.»
Mi cinge il collo con le braccia non permettendomi di scostarmi. «Grazie per aver ascoltato.»
«Sono qui, te l'ho detto.»
La bacio ancora e mi perdo fra le sue labbra e il suo calore.
Volevo parlarle, chiederle di diventare la mia ragazza, ma non è la giornata giusta. Dovrò aspettare perchè ora non è lucida da poter pensare bene, lei vuole una relazione solo fisica, ma ci sono molti vantaggi in una relazione seria e glieli mostrerò.
Oggi non posso parlarle, non dopo avermi detto suo padre. É un alcolizzato e da quello che ho capito anche grave.
É tutta la vita che beve e Marta soffre per questo, chissà se lui se ne è mai reso conto. Mi chiedo come sia stata la sua infanzia, come posso darle sostegno in questa situazione. Non ho mai avuto problemi con i miei genitori, o con un mio parente. Per quanto mi riguarda non ho mai sofferto e mi ritengo estremamente fortunato e mi spiace per Marta. Spero che riuscirò lo stesso ad esserle di sostegno anche se non la posso comprendere fino in fondo.
- ALESSANDRO. -
Quando entro in casa trovo Giorgia con uno dei suoi imbarazzanti outfit da casa a trafficare in cucina e il bancone pieno di ingredienti. Ha optato per dei pantaloni della tuta un tempo neri, una maglia a maniche lunghe di un azzurro acceso e i suoi inseparabili calzettoni natalizi.
Le canzoni dei Chainsmokers risuonano nell'appartamento. Ha iniziato a cucinare un dolce, questo vuol dire che qualcosa la preoccupa e penso di sapere di cosa si tratta.
«Ciao.» la saluto appoggiandomi al frigorifero.
Alza la testa di scatto. «Ciao.»
«Cosa cucini?»
«Muffin al cioccolato con glassa al caffè.»
Lascio cadere a terra lo zaino e mi appoggio di nuovo al frigorifero. «Hai già sentito Marta?»
Sospira scuotendo la testa. «Dovrebbe chiamare fra poco.»
«Gio.» dico avvicinandomi e togliendole il mestolo di legno fra le mani prima che il composto schizzi via da tutte le parti. «Sarà andata bene.»
Abbassa lo sguardo annuendo. «Lo so, ma io e Sab ci siamo sempre state.»
L'attiro a me stringendola forte. «Tranquilla, fra poco chiama e vedrai che sarà andato tutto bene.»
«Se suo padre non avesse accettato?»
Già, se suo padre non avesse accettato? Non voglio pensare a questa eventualità. Suo padre deve aver accettato di vederla, non posso credere che sia tanto stronzo. É sua figlia.
«Sono sicuro che è andato tutto bene.»
Mi stringe più forte per poi allontanarsi. «Grazie.»
«Questo e altro per la mia coinquilina preferita.» dico sorridendo.
Alza gli occhi al cielo. «Sono anche l'unica.»
«Ne ho avute altre prima di te.»
Prende in mano di nuovo il mestolo mischiando l'impasto. «Prima di me c'è stata Caterina e gli altri sono stati solo ragazzi.» assottiglia lo sguardo verso di me puntandomi contro il mestolo gocciolante. «Preferisci quella che è andata a letto con Jack?»
Decisamente no. Non potrei mai preferire quella stronza a Gio, ma voglio divertirmi. «Non siete poi così diverse.»
Spalanca la bocca. «Non sono andata a letto con Jack!»
«Ma vorresti.»
«No!» esclama contrariata.
Scoppio a ridere. «Ammettilo che un giro ce lo faresti volentieri.»
«Solo se vuole una storia.»
«Quindi un giro lo faresti volentieri.» affermo.
Sbuffa, ma non risponde.
Sul serio, non capisco i miei amici. É chiaro che si vogliono, che si accoppierebbero anche davanti a tutti. Appena si vedono l'aria si riempie di tensione sessuale e non posso nascondere che se siamo solo noi tre non sia imbarazzante. Le ha scritto una canzone! Il titolo lascia a desiderare, ma la sinfonia è bellissima ed ha commosso anche me. Giorgia aveva le lacrime agli occhi ed era così scossa che se n'è andata prima di vederlo.
Credevo che dopo quella serata sarebbe cambiato il loro rapporto, ma ancora una volta mi sono sbagliato.
Sono fermi, ognuno sulle proprie idee e infondo non posso biasimarli perchè vogliono cose diverse, o così dicono. Conosco Jack e sono sicuro che mi stia nascondendo qualcosa, ma lo conosco così bene che se inizio a indagare si arrabbierebbe soltanto. Devo aspettare che sia lui a parlarne. Devo aspettare, anche se vorrei capire perchè non si sono avvicinati dopo il concerto.
Vorrei solo vederli sorridere. Prima o poi ci sarà un punto di rottura e uno dei due si allontanerà dal gruppo. Quel giorno non è nemmeno poi così lontano se continuano di questo passo.
All'improvviso il suo cellualre squilla e risponde lasciando cadere a terra il mestolo.
Si chiude in camera, probabilmente disturbata dalla musica che lei stessa ha acceso e alzato il volume.
Sospiro scuotendo la testa e spengo lo stereo. Spero che la chiamata sia da parte di Marta perchè anche io voglio sapere come sta.
Non ha risposto ai miei messaggi, ma spero che sia andata bene. Non voglio vederla triste, non voglio vedere le sue lacrime e averla lontano, senza sapere niente mi preoccupa. Éandata da suo padre a trovarlo per la prima volta nella clinica in cui è stato messo per combattere il suo alcolismo. Ha aspettato quasi un mese prima di presentarsi e spero che suo padre abbia accettato di vederla, che stia migliorando.
Raccolgo il mestolo da terra mettendolo nel lavandino e finalmente Gio esce dalla sua camera. Le vado incontro scrutando il suo viso, ma sembra serena. Incrocio le dita con la speranza di non sbagliarmi.
«Era Marta?»
Annuisce sorridendo. «Va tutto bene, sembra che suo padre si stia impegnando.»
Sospiro sollevato. «Te l'avevo detto.»
«Ti va di chiamare gli altri e cenare tutti insieme?»
«Certo.» dico prendendo il cellulare, ma non vedendo nessun messaggio di Marta.
«Le ho detto che eri qui con me.» dice toccandomi il braccio in modo rassicurante. «Ti chiama più tardi, doveva portare a casa sua nonna.»
«Chiamo proprio tutti?» domando sorridendole e sollevato che Marta poi mi chiamerà.
«Smettila con queste allusioni.» si guarda intorno. «Dov'è il mestolo?»
«Era caduto a terra.» rispondo e le prendo dalle mani la ciotola in modo che si concentri solo su di me e non su questo stupido dolce. «Gio, io lo dico per te perchè non voglio che vi allontanate.»
«Non accadrà, stai tranquillo.»
Vorrei poterle credere fino in fondo, ma non credo di poterlo fare. Le lascio la ciotola dell'impasto sul tavolo e vado in camera a cambiarmi per poi chiamare gli altri. Spero che Marta mi chiami presto, voglio sentire da lei che sta bene.
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