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La palestra nella quale si svolge l'incontro con gli addetti dell'osservatorio astronomico è gremita di gente.

C'è perfino la preside, che non appena mi vede entrare mi saluta affettuosamente con la mano. Seduto, di fianco a lei, mio padre.

Ricambio il saluto della preside con un cenno del capo, mentre vedo mio padre alzarsi e venire verso di noi.

«Come ti senti?» mi chiede, dandomi una pacca sul braccio.

«A parte il dolore alla bocca e il fastidio quando parlo... sto bene, grazie»

«È esagerato, professò! Lo fa solo perché sa che poi lo coccolo.» dice Manuel, con il solito fare plateale.

«E certo, lui se ne approfitta!» risponde subito mio padre, scoppiando in una risata complice alla quale Manuel si unisce.

Lascio Manuel prendermi in giro, guardandoli ridere.

So che lo fa per sdrammatizzare e per far sì che mio padre non mi stia troppo addosso.

Papà è diventato un tantino apprensivo dalla notte dell'incidente, un tantino troppo.

Ed è bello che lui riesca a rendere tutto più leggero.

Lo osservo mentre saluta mio padre, che torna a sedersi tra gli altri docenti, mentre Manuel si guarda nervosamente intorno, prima di sollevarsi sulle punte dei piedi e sporgersi verso di me, lasciandomi un piccolo bacio sulla punta del naso.

Amore mio, come ti amo.

Gli sorrido per quanto mi è concesso dal dolore che si irradia lungo le guance, la sensazione è quella di tanti piccoli spilli che ti pizzicano la pelle.

Istintivamente, stringo più forte la mano di Manuel, nel tentativo di catturare la sua attenzione, ma credo sia distratto dal cercare dei posti a sedere. Il suo sguardo saetta da una parte all'altra della stanza.

Il microfono dal quale parlerà la professoressa Girolami viene acceso, producendo un fischio assordante.

Perfetto, mancava solo questo a martellarmi il cervello!

«Bene! Finalmente ci siamo tutti.» dice, dopo aver tamburellato con le dita sulla fitta rete metallica che lo ricopre. «Prendete posto, per favore!»

«Simò», mi richiama Manuel, «vieni, non ce stanno due posti vicini.»

Mi lascio guidare e in pochi passi raggiungiamo i banchi che stanno disposti in fondo alla stanza.

Date le condizioni, sembrano essere da buttare. Gli angoli sono malridotti e la lamina verde che li ricopre è scheggiata a tal punto da risultare tagliante contro il jeans che indosso.

Sposto di scatto la gamba, quando un angolo particolarmente appuntito mi punge il Manuel coprire quella parte con la sua mano

«Puoi mette la gamba sopra.»

Lo guardo stranito. «Ma amore, ti fai male»

«Tu poggia, nun te preoccupà.»

Tentenno ancora un attimo, prima di fare come mi ha detto, cercando comunque di non schiacciare troppo la sua mano contro il banco.

Non voglio si procuri ulteriori tagli, oltre a quelli che ha già per il lavoro in officina.

«Ragazzi, vi presento il Dottor Rossi e la Dottoressa Longo. Sono entrambi ricercatori presso l'osservatorio astronomico di Roma e oggi ci racconteranno le loro attività all'interno dell'osservatorio stesso e ci guideranno oggi presso la nostra piccola visita interattiva.»

La voce della Girolami ci richiama all'attenzione, passa il microfono ai due che ci ringraziano della nostra presenza - beh, prego. Anche se vorrei essere a casa, possibilmente a letto. - e iniziano a proiettare immagini di galassie sul telo del proiettore che è stato preparato per l'occasione.

Quel martellante mal di testa non ne vuole sapere di darmi tregua e ascoltare la presentazione risulta essere praticamente impossibile, riesco a captare solo un paio di parole dal suono ovattato ma che in realtà già conosco.

"Galassia", "via lattea", "costellazioni", "polvere interstellare"..

Guardo solo le foto, queste immense distese di stelle che stanno così vicine l'una dall'altro che viene voglia di accarezzarle piano con le dita, poi prenderne una manciata e pffff , soffiarle verso la persona che amiamo.

Soffiarle verso Manuel.

Mi giro a guardarlo, sembra molto attento all'ascolto.

Ha perfino annotato qualcosa su quel piccolo blocco note che si porta sempre dietro ultimamente.

Il cartoncino al quale sono attaccati i piccoli fogli è diventato un po' curvo, a furia di star chiuso nella tasca dei pantaloni, ma lui lo utilizza spesso e vederlo scribacchiare in giro è una delle cose che più amo fare, ultimamente.

Mi perdo osservando le sue ciglia lunghe, gli occhi castani sui quali sembrano apparire di tanto in tanto delle piccole sfumature dorate, la punta armoniosa del suo naso, le labbra schiuse.

Potrei restare così, tutto il giorno, in silenzio a guardarlo ma ad un tratto si gira a guardarmi ed incrocia il mio sguardo.

«Sei ancora tra noi? Che stai a pensà?» mi chiede, sbuffando una risatina beffarda.

Sento le guance andare a fuoco, e questa volta non per l'apparecchio. Sono sicuro d'essere diventato rosso e una timidissima risata sfugge via dalle mie labbra mentre abbasso lo sguardo.

«Si, ci sono. Penso solo che sei bello.» mormoro, giocherellando nervosamente con le mani.

Mi guarda scuotendo la testa, con un sorriso stampato sulle labbra.

«Core mio.»

Due parole e il mio cuore è il tilt.

Se due secondi ho solo distolto lo sguardo, ora per non mostrarmi così vulnerabile, vorrei si creasse una voragine sotto il banco, portandomi via.

Nascondo il viso tra le mani per qualche istante, giusto il tempo di ricompormi, massaggiandomi piano le tempie con la punta delle dita.

Per evitare di riperdermi nel guardarlo, mi inclino verso di lui, poggiando la testa sulla sua spalla.

«Posso stare un po' così?» gli chiedo, sicuro già della risposta che non tarda ad arrivare.

Infatti annuisce, stringendosi appena nelle spalle in un silenzioso "stai".

Le nostre mani si slegano e lui porta un braccio contro la mia schiena, facendo quasi da supporto.

«Ti fa male la testa?»

«Un po'.», rispondo a voce bassa.

Manuel resta il più possibile fermo per non disturbarmi.

Me ne rendo conto dal fatto che ha messo via carta e penna, rilevandole ad un angolo dietro di noi e ora guarda il video che viene proiettato.

Mi accoccolo ancora un po' contro il suo braccio.

Lascio che il suo profumo mi riempia le narici, chiudo gli occhi e mi lascio cullare.

Quasi mi addormento quando il video si conclude e il fischio del microfono che viene sollevato dal tavolo riempie la sala.

Manuel porta una mano contro il mio orecchio, lo copre senza fare pressione, solo riparandomi da quel suono.

Amore mio.

Il ricercatore riprende parola, voglio sperare siano le ultime spiegazioni, prima di congedarsi.

«Bene ragazzi! Ci sono domande?» chiede a tutti.

Con la coda dell'occhio, osservando i miei compagni da uno spiraglio creato tra le dita di Manuel che ancora mi coprono parte del volto, vedo qualche mano alzarsi.

Il dibattito inizia e parole che mi sembrano vuote riempiono quei minuti, coprendo il brusio di sottofondo.

«Vorrei sentire qualche altro pensiero da chi magari è più in fondo, di chi magari già dorme» dice, ad un tratto, l'uomo, tra le risate generali dei presenti.

«Tu! Laggiù, in fondo, con la felpa celeste.»

Ti prego, dimmi che ci sono altri con una felpa celeste.

La mano di Manuel interrompe di colpo le carezze sulla mia guancia.

«Amò, dice a te.» mi sussurra.

Ma perché proprio io?

Mi tiro sù ed è un colpo al cuore dover lasciare il calore e il profumo di Manuel.

«Io?» chiedo, indicandomi il petto con un dito.

Dimmi di no.

«Certo, tu! Come ti chiami?»

«Simone.»

«Simone, che ne pensi di questo immenso universo che abbiamo scoperto insieme oggi? Ti piacciono le stelle?»

«S-si. Mi piacciono le stelle.»

«Ti va allora di venire a fare un piccolo esperimento insieme a noi?»

Guardo Manuel, supplicandolo con gli occhi di andare insieme.

Lui mi incoraggia con un piccolo cenno della testa e un sorriso, poi sembra cogliere la mia preghiera.

«Posso venire anch'io?» chiede, ad alta voce. «Sennò m'annoio.»

«Certo! Tu sei?»

«Manuel.»

«Perfetto! Manuel e Simone. Potete raggiungerci, allora.»

L'entusiasmo con il quale ci invita è quasi fastidioso, ma ci facciamo comunque largo tra i nostri compagni, raggiungendo il lato destro della cattedra posta di fronte le file di sedie.

Il ricercatore ci indica una piccola struttura costruita in un angolo della sala. Ha dei tendoni neri all'esterno che le lasciano assumere una forma quasi circolare.

«Quello che faremo, cari Manuel e Simone, è quello di avere una piccola simulazione di una vera esperienza in osservatorio. » ci spiega, indicandola.

«Entrerete in questa struttura che ci permette di avere la totale assenza di luce e vedrete l'esatta disposizione delle stelle, intorno a voi. Poi, potrete sceglierne una, vi spiegherò come individuare le sue coordinate e potrete darle un nome.»

«Possiamo sceglierne solo una?» chiede Manuel.

«Sì, solo una. Dovrete mettervi d'accordo!» dice, ridendo «Mi raccomando, non v'azzuffate nella scelta, eh! »

L'ennesima risata generale riempie la stanza mentre Manuel scosta la tenda e mi fa cenno di entrare.

All'interno, la luce è davvero azzerata.

Che sollievo per i miei occhi.

Lo spazio è stretto, mi ritrovo subito abbracciato a Manuel. Le sue braccia mi circondano la vita.

«Amore, guarda.» mi dice, indicando un punto sul tendone sopra di noi.

«Guarda là, sta a spuntà 'na stella»

Metto a fuoco lentamente, un piccolo punto bianco lampeggia sul tendone che, lentamente, si ricopre di piccoli punti bianchi che riproducono i piccoli astri.

Restiamo a guardarle, ruotando piano per osservarne quante più possibile.

Ne indichiamo una simultaneamente e «Quella!» diciamo all'unisono.

«Quella è la più bella, vero?» gli chiedo.

«Sì, c'ha qualcosa de speciale che attira, che te dice che ne vale la pena.»

Gli sorrido, lo amo.

«L'abbiamo scelta!» dice per farsi sentire anche all'esterno.

Usciamo da quella struttura qualche minuto dopo. Manuel si avvicina alla cattedra e segna in una serie di carte la stella che abbiamo scelto.

«Ottimo! Ora, ci vuole un nome.»

«Per il nome non ce siamo messi d'accordo, però io uno ce l'ho.» dice Manuel, precedendomi.

«La vorrei chiamà Simone.»

Giuro d'aver sentito il cuore fare una capriola.

«La sensazione che m'ha dato è che fosse proprio 'na scelta giusta. E la scelta più giusta che ho fatto n'a vita mia se chiama Simone, quindi...»

«Quindi Simone sia.» conclude la frase, l'uomo.

Segna il nome Simone su di una sorta di pergamena prestampata, che arrotola e ci consegna come fosse un diploma.

Lo ringraziamo, mentre il suono della campanella decreta la fine del nostro incontro e la sala si svuota rapidamente.

«Hai visto amore? Una stella si chiama come te, adesso.» mi dice, mentre torniamo in fondo per recuperare i nostri zaini.

Annuisco e gli sorrido, mentre allungo la braccia verso di lui.

Mi abbraccia, stringendomi forte.

«Tu sei la scelta più giusta che ho fatto, Simone.»

«Tu sei l'amore della mia vita, Manuel.»

Le nostre labbra si uniscono in un piccolo bacio.

«Oggi devi andare a lavoro?» gli chiedo, giocandomi la carta del labbruccio per convincerlo a restare.

«No, oggi no. Oggi c'ho uno splendido fidanzato con un sorriso d'argento che vole 'e coccole.»

Annuisco tenendo il broncio e gli occhi più supplichevoli che posso.

«Mi fa ancora male la guancia»

Mi tira un po' da colletto della felpa, adesso i vostri visi sono alla stessa altezza.

Mi lascia tre baci sulla guancia, lievi, senza far pressione.

Solo le sue labbra che si posano piano.

«Va un po' meglio?»

«Adesso sì. »


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NOTE AUTRICE: "Sorriso d'argento" nasce come os, ma un nuovo capitolo si aggiunge a questa piccola storia.

Ringrazio come sempre tutti voi per aver letto e soprattutto @bespectacled98 perchè, senza il suo cc, questa storia non esisterebbe nemmeno.

Quindi grazie, grazie, grazie.

Spero vi sia piaciuta e come sempre, fatemi sapere nei commenti.

Un enorme bacio.

Vostra, G.











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