Parte 4
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ATTENZIONE: Questa è solo una bozza embrionale, da cui si può solo intuire il successo editoriale di "PREDESTINATI PER SCELTA"
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Continuavo instancabile a sorvegliare i mortali, i quali vivono in una fallace percezione del tempo, che appare loro come un fiume che scorre impetuoso e senza controllo. Si angosciano per il loro futuro, ignorando che, per ognuno di loro, il destino è già stabilito. Se avessero potuto vedere la realtà attraverso i miei occhi avrebbero visto le linee, mirabilmente tracciate, che collegano ciascun avvenimento del passato con quelli del futuro, un grande arazzo tessuto da Dio. Tutto si riduce a un banale concatenarsi di eventi, in cui il presente, che ha salde radici nel passato, determina il futuro.
Qualche volta, però, poteva accadere che qualcosa rimescolasse le intricate trame di quest'arazzo. Roberto e Antonio erano predestinati a morire durante il terremoto del 1980, invece quell'evento terribile rafforzò la loro amicizia e indirizzò le loro vite verso rotte antitetiche e del tutto impreviste.
Il primo cercò conforto nella fede, nella preghiera e nel senso di appartenenza alla comunità Cattolica. Diventò sacerdote, nonostante le innumerevoli fobie che lo perseguitavano; era convinto di essere destinato a fare qualcosa di memorabile e sognava di raggiungere la santità. Il secondo, invece, si fece sedurre dai facili guadagni e dall'illusione di poter vivere senza e persino al di sopra di Dio.
Antonio era poco più di un bambino quando iniziò, nelle Vele di Secondigliano, a essere sfruttato, prima come vedetta e, a distanza di pochi mesi, come corriere, da uno spacciatore di droga che si faceva chiamare Puparuolo. Era un uomo minuto, viscido, con un viso che, a causa dei denti superiori molto sporgenti, ricordava quello di un ratto. Conduceva una vita appropriata alle sue fattezze, sempre rintanato in uno squallido scantinato. Lo aveva trasformato in bunker, in cui preparare le dosi di cocaina e custodire i suoi guadagni.
Per il quattordicesimo compleanno di Antonio, gli permise di entrare nel suo fetido nascondiglio e, dopo avergli offerto un bicchiere di limoncello allungato con vodka, gli consegnò una pistola. «Auguri e fanne buon uso. Mocciosetto» disse, ridendo.
Non passò nemmeno una settimana che il ragazzino la usò contro lo stesso Puparuolo, con una freddezza innaturale lo crivellò di proiettili. Il primo colpo lo sparò per uccidere, al centro perfetto della fronte, gli altri solo per il piacere di farlo. L'accaduto ovviamente non passò inosservato. La notte successiva lo assalirono nel sonno, lo incappucciarono e lo portarono innanzi a un individuo che non aveva mai visto prima, ma che conosceva benissimo di fama. Antonio sperava solo in una morte veloce e indolore, perché aveva sentito parlare di persone sciolte vive nell'acido per molto meno.
Il malvivente, che aveva l'aspetto rassicurante di un ragioniere di mezz'età, estrasse una pistola di grosso calibro, si avvicinò lentamente ad Antonio e rise compiaciuto nel vedere il terrore negli occhi della sua vittima.
Puntò l'arma alla tempia di Antonio e iniziò il conto alla rovescia. Quando arrivò a zero ci fu un lunghissimo attimo di silenzio. Tutti i presenti si aspettavano di vedere il ragazzino piangere e implorare pietà. Lui invece, che aveva almeno tanto orgoglio quanta paura di morire, rimase immobile con un'espressione sprezzante.
L'uomo si grattò il capo stempiato, aggiustò il colletto della camicia e abbassò la pistola. Era visibilmente contrariato, perché non aveva potuto recitare la sua parte preferita in quella pantomima: come un Dio, che può decidere vita o morte a secondo dei suoi capricci, lo avrebbe perdonato, mostrando misericordia e concedendo una via d'uscita.
«Guaglione hai fegato! Lo devo ammettere. Dimostrami però che ho avuto ragione a lasciarti vivere», disse prima di consegnargli la pistola che impugnava e una lista di nomi. Fu così che quel ragazzo, dal carattere indomabile, si avviò a diventare un killer tanto spietato e temuto da guadagnarsi il soprannome di "Angelo della Morte".
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