Parte 26



 Osservavo Antonio Barracane allontanarsi, con uno strano ghigno sul viso, da una pizzeria e imboccare frettolosamente in un vicolo stretto, poco illuminato e maleodorante.

Si fermò davanti a una porta di ferro completamente arrugginita. Per aprirla usò le chiavi che aveva sottratto alla sua ultima vittima.

Si guardò intorno e cautamente entrò.

Distolsi lo sguardo onnisciente, distratto da un'idea che improvvisamente nacque in me. Non riuscendo a resistere alla possibilità di soddisfare immediatamente la curiosità, mi concentrai su un avvenimento che aveva segnato la vita di Roberto. Non era per nulla facile orientarsi nel complesso ed estremamente aggrovigliato intreccio di circostanze che si concatenavano fino a realizzare il destino, ma ciò non mi scoraggiava affatto e mi spingeva ad approfondire continuamente tutti quei fatti che apparentemente sembravano insignificanti .

Era l'anniversario in cui il santo più venerato di Napoli fu decapitato e puntualmente sul ceppo di pietra, su cui si consumò l'iniqua azione, le macchie di sangue tornavano al loro originario colore rosso vivo, come se il martirio si fosse appena consumato.

La reliquia, come da tradizione, era in bella mostra nella chiesa di San Gennaro alla Solfatara di Pozzuoli, in cui, da appena un mese, Roberto si era insediato come parroco.

Quella mattina, però, prima di aprire i massicci battenti del portone della chiesa, Roberto coprì con un drappo color porpora la pietra insanguinata. A lui trasmetteva un sentimento di repulsione misto a raccapriccio e mal tollerava il fervore religioso che i fedeli riservavano a quell'oggetto: ritenendole manifestazioni popolari poco attinenti alla religione e molto più simili a una sconveniente idolatria.

Mancò poco che scoppiasse la rivoluzione: urla, donne in lacrime, qualcuno si sentì male e qualcun altro minacciò di chiamare il vescovo o addirittura il Santo Padre.

Il drappo fu strappato via a furor di popolo e la chiesa fu addobbata da innumerevoli candele e lumini accesi, al fine di chiedere perdono a San Gennaro per il grave affronto patito.

Respirando a stento, per l'aria esageratamente satura d'incenso, e sopportando il brusio di sottofondo dei numerosi fedeli accorsi, Roberto presenziò la messa del mattino, come era suo dovere fare. Decise però di non proferire alcuna parola.

Il microfono fu appioppato a Enzo, un giovane seminarista che si trovava lì per caso, il quale fu, suo malgrado, delegato a recitare le preghiere e a pronunciare l'omelia.

Il ragazzo, basso e robusto, con una carnagione olivastra, capelli folti, barba ispida e un'invidiabile parlantina, dopo un primo momento di riluttanza, approfittò con entusiasmo dell'opportunità di condividere, con la folla presente, le convinzioni maturate nel corso della sua vita. Giunto al momento della celebrazione in cui aveva la possibilità di parlare liberamente ai fedeli, infatti, invece di parlare di qualcosa attinente a San Gennaro, scelse di trattare l'argomento che, in quel momento, gli era più a cuore. Si posizionò davanti all'altare e gesticolando disse: «Oggi vi voglio parlare della vocazione. Essa non è solo quella religiosa, ma può consistere nella predilezione per un'attività qualsiasi, a cui siamo stati inconsapevolmente destinati. Ognuno di noi ha una propria personale vocazione, che gli è stata donata direttamente da Dio. La cosa difficile è capire quale sia, spesso non basta un'intera vita per comprenderlo. Il mondo è pieno di persone che svolgono un lavoro che non gli piace, che conducono una vita che non li soddisfa, che non hanno avuto il coraggio di fare le scelte giuste. Io mi sono iscritto a giurisprudenza perché mio zio è avvocato e mio padre avrebbe desiderato che anch'io percorressi quella strada. Ho studiato, mi sono impegnato e sono riuscito a laurearmi con ottimi voti e in tempi brevi. La materia mi era congeniale ed ero attratto dall'idea di realizzare il desiderio di giustizia, che covavo in me. Iniziai con entusiasmo la pratica come avvocato, spinto dal desiderio di difendere il prossimo e applicare il diritto. Dopo circa un anno, mi accorsi di non essere felice».

Roberto ascoltava sbadatamente, restando un po' defilato. I suoi occhi non smettevano nemmeno per un attimo di osservare la folla di fedeli riuniti in chiesa. Eppure quelle parole, in maniera quasi inconsapevole, si facevano strada nel profondo del suo animo.

Enzo si voltò verso il parroco, in attesa di un cenno di approvazione che non arrivò, poi proseguì: «Fare l'avvocato non è per niente come l'ho immaginato. Consiste nell'applicare il diritto, ma non c'entra nulla con il fare giustizia! È un lavoro che ti costringe a tanti compromessi e a una condotta, per così dire, "professionale": sei costretto a mostrare la realtà non per quella che è, ma nel modo che ti può permettere di vincere la causa in tribunale; non devi interpretare la legge nella maniera più giusta, ma in quella che ti può risultare più utile. Ho scoperto che solo raramente difendi i più bisognosi, inoltre più diventi bravo e più i tuoi clienti dovranno avere le possibilità economiche per pagare profumatamente. Adesso che sono in seminario non devo più distorcere la realtà e farmi condizionare dai soldi: soccorro chi ha bisogno di aiuto e prego per gli altri. Non sento più quel senso d'insoddisfazione che da sempre mi perseguitava e, vi assicuro, mi sento davvero felice. Qual è il modo per comprendere la vocazione che abbiamo ricevuto? È molto semplice: se ti senti contento di quello che fai, allora hai trovato la strada che Dio ha tracciato per te. Solo se non fuggi dal tuo destino sarai felice!»

Tutti fecero un caloroso applauso, tranne Roberto, che con lo sguardo triste e rivolto verso il basso, era completamente assorto nei suoi pensieri. Era arrivato alla consapevolezza di aver sbagliato tutto. Essere un prete non gli dava alcuna felicità!

Tutto era più chiaro. Anche se sembrava un paradosso, non era stato Cristo a chiamare Roberto a svolgere il servizio sacerdotale, ma Lucifero. Era stato, sin dall'inizio, una pedina nelle mani del mio nemico.

La creatura però che maggiormente alimentava le mie preoccupazioni restava Susy, che si era rivelata estremamente determinata, con un carisma alquanto oscuro e, soprattutto, suscitava in me presentimenti funesti.

Dovendo quindi dissuadere entrambi dal perseverare lungo una strada che, nell'eterno scontro tra luce e tenebre, avrebbe potuto favorire le forze del male, intervenni nuovamente sugli eventi terreni.

Susy affrontava gli ultimi minuti di volo, convinta di essere ormai in salvo, ma un rumore secco e metallico, con vivido terrore, la faceva ripiombare nell'incubo da cui si era appena svegliata.





●■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■●

COME VOLETE CHE PROSEGUA LA STORIA?

☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆

Come prosegue la storia dipende da te!

SCRIVI, nei commenti, COME PROSEGUIRE O COSA CAMBIARE... CONTO SU DI TE!

(Potete proporre modifiche anche alle pagine precedenti)

GRAZIE

☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆


☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆

C'è uno "Spazio Collaborazione", per raccogliere idee, spunti, riflessioni e sensazioni nel capitolo "apocalisse".

GRAZIE ♡

♡♡♡♡

QUALSIASI CONSIGLIO E COMMENTO È BEN GRADITO, ANCHE QUI.



Ringrazio tutti i lettori♡

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top