Parte 16


I mortali, ignari del loro destino, si affannavano in futili preoccupazioni, distratti da falsi profeti che li continuavano a portare lontano da Dio. Vivevano come se la morte non esistesse e l'apocalisse fosse solo una stupida leggenda.

Osservavo i biechi intrighi di cui si occupava Antonio, alquanto disgustato, e la sterile esistenza che conduceva Roberto, estremamente annoiato. Non mi era dispiaciuto quindi, scrutando nel loro futuro, osservare che non tutto era chiaramente definito e c'era una buona probabilità che le loro vite potessero virare in maniera imprevedibile. Non mi preoccupai più di tanto delle conseguenze perché, nonostante tutto, il destino dell'umanità era segnato e non sembrava subire sostanziali cambiamenti, ma per sicurezza decisi di mettere in guardia il parroco.

Roberto, prima di addormentarsi, aveva aperto delle pagine a caso della Bibbia, nella superstiziosa speranza di ottenere risposte dall'alto. Sfruttai questa occasione per indicargli quale tremendo futuro incombeva sull'umanità, attraverso i due passaggi più significativi del libro dell'Apocalisse.

«Alla fine dei 1000 anni, Satana verrà liberato, sconfitto nuovamente e poi gettato nel lago di fuoco» (Apocalisse 20:7-10).

«E vidi una donna seduta sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi e di bestemmia, e che aveva sette teste e dieci corna. La donna era vestita di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle. In mano aveva un calice d'oro pieno di abominazioni e delle immondezze della sua prostituzione. E vidi che quella donna era ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù» (Apocalisse 17,3-6).

Il Parroco lesse e non riuscì più a dormire.

Quella stessa notte Adolfo, nel suo caldo e confortevole pub, confidava ad Antonio la sua "vocazione" a essere padre, realizzata nonostante le tante difficoltà affrontate. Era un fiume in piena che inondava di emozioni il cuore arido di Antonio, che ascoltava in silenzio. Descrisse con passione: gli anni passati nell'attesa e nella speranza che Anna, la moglie e l'amore di tutta la sua vita, rimanesse incinta; la prima fastidiosa visita specialistica, il successivo imbarazzante esame del liquido seminale e il dramma immenso affrontato quando ebbe il risultato; i successivi consulti medici ed esami diagnostici e le altrettante amare conferme.

Gli era stata diagnosticata una patologia che lo rendeva quasi sterile. Dovette intraprendere, nella speranza di ottenere qualche miglioramento, un delicato intervento chirurgico, che risultò tanto doloroso quanto inutile. Le inimmaginabili frustrazioni con cui si era dovuto costantemente confrontare e scontrare, finirono per annichilirlo.

Spiegò la sofferta decisione, maturata insieme alla donna che amava, d'intraprendere una procedura di inseminazione artificiale, nonostante prevedesse l'utilizzo di prolungate e pericolose dosi di farmaci. Un tentativo intrapreso nonostante la paura che qualcosa potesse andare storto e, soprattutto, a dispetto dei dottori, che avevano escluso qualsiasi possibilità d'esito positivo.

Ogni domenica si recava in chiesa per pregare, nella speranza di ottenere un miracolo. Poi, durante la terapia, che prevedeva che lui facesse tre volte al giorno una siringa di medicinali a base di ormoni sulla pancia della moglie, successe qualcosa di inatteso. I valori delle analisi risultarono completamente fuori norma. Fu impossibile procedere all'intervento di inseminazione artificiale e i medici li convocarono d'urgenza per una visita. Fu sopraffatto dal panico.

Arrivati nella clinica, l'ansia aumentò ancora di più. La preoccupazione per le inspiegabili anomalie era condivisa anche dell'intero gruppo di specialisti che li seguiva, tutti stranamente presenti quel giorno. Adolfo era pronto al peggio.

Iniziarono con una semplice ecografia, era solo il primo di una lunga serie di accertamenti da fare. Durante il corso dell'analisi si sentì un rumore intermittente che non ci sarebbe dovuto essere, l'espressione dei dottori cambiò: erano increduli.

Anna iniziò a piangere.

Adolfo era ormai l'unico a non essersi reso conto di ciò che stava accadendo. Gli ripetevano di ascoltare quello strano suono e di guardare nel monitor, ma lui sentiva di aver già toccato il fondo e non riusciva a sprofondare ancora più in basso. Anche quando il ginecologo si avvicinò a lui per spiegargli l'accaduto, non riuscì a comprendere le sue parole, era come se il suo cervello si rifiutasse di comprendere. Continuava a guardare come un ebete nel monitor quella strana immagine che non riusciva a interpretare, mentre un suono leggero e cadenzato rimbombava nella sua testa. Fu Anna a scuotere Adolfo dal torpore in cui era sprofondato, rivelandogli che stava ascoltando il battito di un piccolo cuore.

Avevano concepito un figlio e la felicità si rivelò con la potenza di una folgore, ma anche con la stessa durata, infatti l'ansia prese immediatamente il suo posto. I farmaci, presi fino al giorno prima, potevano indurre un aborto o avere conseguenze gravissime sullo sviluppo del feto.

La paura fu la compagna costante del periodo di gestazione, nell'interminabile attesa del travaglio. Anna rimase il più possibile a riposo, ogni suo movimento era misurato e viveva nel terrore che quel meraviglioso sogno si trasformasse nel peggiore degli incubi. Uscì di casa solo per i controlli periodici, fonte continua di ansia. Le ecografie in particolare erano snervanti per la coppia, per il timore fondato di scoprire malformazioni nell'esserino che scalciava allegramente nella pancia di Anna.

Antonio era l'ultima persona con cui Adolfo avrebbe immaginato di condividere quelle emozioni. Era in lacrime e vergognandosi pensò di aver parlato troppo e si zittì, ma il suo silenzioso ascoltatore sgranò gli occhi e lo supplicò di continuare il racconto. Perplesso per l'attenzione suscitata, proseguì descrivendo il giorno più bello della sua vita: quando il suo sguardo incrociò, come in un imprinting al contrario, quello di una creaturina indifesa appena venuta al mondo.

Il ginecologo non aveva escluso il rischio di una malformazione da operare subito dopo il parto, invece la bambina nacque sanissima, per fortuna o per destino.

La felicità, finalmente, fu come una mareggiata prepotentemente intensa e lunga. Poter tenere tra le braccia quella vita appena sbocciata, così tanto desiderata e pure inaspettata, ripagava abbondantemente di tutte le sofferenze patite.

Nulla per lui fu più come prima, tutto il mondo apparve sotto una prospettiva completamente diversa e più gioiosa.

Adolfo concluse descrivendo lo stupore provato sentendosi, per la prima volta, chiamare papà e decantando la delizia di vegliare sulla crescita di un figlio, nei piccoli e grandi progressi di tutti i giorni.

Antonio sentii ribollire il sangue, quando si concretizzò nella sua mente una orribile certezza: quella bambina così tanto preziosa era in pericolo. Ormai il destino operava, insinuando prepotentemente nel suo immaginario e nel profondo della sua anima il germe di sentimenti inaspettati, inesplorati e alieni, ma terribilmente affascinanti.

Antonio non volle mai conoscere il padre, non sapeva nemmeno se fosse uscito di prigione; la madre la perse nel terremoto del 1980 e con lei perse anche il desiderio di avere una famiglia. Vedeva nelle donne solo degli oggetti con cui soddisfare i propri istinti e non aveva mai pensato ad avere un figlio. L'unico amico, Roberto, inoltre lo aveva profondamente deluso. Sembrava rassegnato alla solitudine, ma Adolfo, facendogli conoscere l'esistenza di emozioni che lui non immaginava nemmeno, lo aveva spinto a riflettere su prospettive diverse per il suo futuro, concedendogli la possibilità di dare una svolta netta alla sua tetra vita.

Per adesso però preferiva rimanere concentrato sull'obiettivo: eliminare la minaccia alla vita della bambina, che illuminava l'esistenza di Adolfo e di sua moglie. I giorni seguenti si mise all'opera per studiare il nemico. Prima di ogni altra cosa, come spesso amava dire, si deve arrivare a conoscere la vittima meglio di come si possa conoscere la propria madre, anche se, a dire la verità, lui la mamma l'aveva conosciuta poco. Lo aveva lasciato presto, per colpa del terremoto, ma già prima era completamente assente. Era ossessionata dall'idea di riuscire a trovare la figlia Annabella e si consumava lentamente, bevendo superalcolici d'ogni tipo.

Un ingegnere informatico, titolare dell'agenzia di investigazione Principe, in maniera tanto riservata quanto illegale, aveva raccolto le informazione presenti su qualsiasi server collegato a Internet, comprese quelli dei siti istituzionali, i dati degli spostamenti da Google Maps, le notizie presenti su Facebook, quelle archiviate nelle caselle di posta elettronica personali e nelle applicazioni di messaggistica. Antonio estrasse e sfogliò velocemente la relazione, contenuta nel voluminoso fascicolo magenta chiaro, appena ricevuto da un corriere.

Pino Di Masi, soprannominato "il Rosso" per via della folta capigliatura rossiccia, aveva cinquantadue anni, una moglie, due amanti stabili e una madre novantenne; non aveva figli o altri parenti. Risultava proprietario di diversi appartamenti a Posillipo, uno yacht ormeggiato al molo di Mergellina e diverse autovetture tra cui una Lamborghini Diablo verde pistacchio e una Ferrari Testarossa gialla. Era titolare di un'impresa di pulizie, che aveva ottenuto diversi appalti per scuole e ospedali della provincia di Napoli. La moglie era la sorella di un boss della camorra, in reclusione ai sensi del 41 bis. Aveva due procedimenti penali in corso per violenza e minacce presso il tribunale di Napoli. Era indagato per riciclaggio dalla Procura di Salerno. Socio del Rotary Club, del Circolo Nautico e presidente di un'associazione culturale denominata "La Rinascita di Bagnoli". Frequentazioni in ambienti politici... Era stato operato di appendicite nel...

Antonio tornò indietro di qualche pagina per rileggere un passaggio che aveva saltato: il soggetto si recava, tutti i martedì, a pranzo dalla madre.

Soddisfatto, Antonio posò la relazione sul tavolo in arte povera della sua cucina, di fianco al fascicolo da cui estrasse un altro dattiloscritto, che lesse con molta attenzione, prima di bere un caffè bollente e amaro. Dopo un attimo di perplessità, rilesse ad alta voce alcune frasi: «Il soggetto indossa sempre un giubbotto antiproiettile e non è mai disarmato. La sua guardia del corpo, un ex militare fanatico di armi automatiche ed esplosivi, non lo lascia mai solo».

Era consapevole di poter essere assassinato, non era sicuramente un obiettivo semplice. Ciò nonostante Antonio aveva già stabilito come, dove e quando avrebbe potuto ucciderlo, ma mancava ancora un passaggio fondamentale prima di agire. Pur essendo un killer seguiva una sua personalissima etica: prima di accettare un incarico, doveva giudicare se la sua possibile vittima fosse o meno degno di continuare a vivere.

Questo strano comportamento costituiva il vero motivo per il quale gli era stato affibbiato il soprannome di "Angelo della Morte". Da quanto aveva letto nella relazione e da quello che gli aveva raccontato Adolfo risultava che quest'uomo disonorava, con la sua stessa esistenza, l'intero genere umano e non ci poteva essere spazio per un verdetto diverso dalla morte, ma ciò nonostante, come faceva ogni volta, prese dalla tasca il medaglione di Annabella, lo portò di fronte al suo viso e gli domandò: «Devo uccidere "il Rosso"?»

Lanciò con il pollice il medaglione, che ruotò come una trottola nell'aria prima di cadere tintinnando in terra.

Come aveva previsto, uscì l'immagine dell'angelo contornato dalle fiamme.

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