Mi sento come un'allestimento asettico dell'Ikea.

Ho un milione di stanze, dentro di me.
Ognuna aspetta solo che essere abitata.
È solo che, da lungo tempo, un tempo che pare infinito, queste stanze non sono che diventate un'accozzaglia di oggetti ammassati in quattro finte mura, come su una di quelle riviste plastificate che si trovano periodicamente dentro alla cassetta della posta.
Ognuno di quegli allestimenti sono messi lì per fare bella figura ai visitatori, per permettergli di scegliere quello che preferiscono, per scegliere il pezzo d'arredamento che gli piace di più.
Ma nessuna di quelle stanze riesce ad essere davvero abitata. Sono messe lì, in costante attesta, in costante bella mostra. Nessuna di quelle esposizioni ha davvero dei fondamenti, quelle che li possiedono sono basate su principi, studi, razionalità. Ma nessuna comprende un'emotività abitabile. Sono belle, indubbiamente, ma prive di calore.
Ed è così che, ogni tanto, un po' ci si sente: privi di calore, di atmosfera d'amore, di semplice atmosfera vivibile, anche solo che per una persona sola.
E no, non ho paura di vivere qui, nel mezzo di questa rivista; ho il timore che questa rivista sia diventata la mia nuova quotidianità.
Una volta era tutto diverso, oggi non c'è più calore, solo un gelo perenne, fondali di pozzi inesplorati, con la melma colante sui diversi strati di intonaco; intonaco di mura impregnate di niente e di tutto, di niente che possa reggere e di tutto un miscuglio di materiali indefiniti messi lì con una breve scadenza.
Da un lato amo sfogliarmi, immaginarmi in ogni piccolo e artificiale ambiente, dall'altro non capisco come io possa pretendere di continuare a vivere in una banale aspettativa di vita molto stretta, basata su prototipi e convenienze. Vorrei ritrovare la parte di me che era in grado di accendere le candele dei centro tavola, che era in grado di appannare quei finti vetri di plexiglass, quella polvere che si annidava sopra ai tavoli che mai sarebbero stati vissuti.
Che io un vissuto ce l'ho, ma nel corso del tempo si è perso, lasciando dietro di sé una strascicante idea di benessere perfetto agli occhi ma vuoto dentro.
Non è ciò che vorrei essere, ma è ciò che mi resta per difendermi.
Che in questo momento è come se non esistesse più nulla. Sono consapevole ma, a tratti, come ora, incapace di provare. È come se quel comodino laccato bianco nell'angolo della stanza del seminterrato di pagina ventotto del mio listino prezzi, sia vuoto, sbarrato fuori per impedirvi di entrare, laccato per riflettere ma per non trasmettere.
Mi guardate, mi guardano, ma non c'è più nulla da cogliere.
Quindi sì, mi sento come un'allestimento asettico dell'Ikea.

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