Capitolo 12
Sono seduta al mio posto in aula quando suona la campana dell'una. Mi avvio verso la mensa mentre cerco di non impigliare la maglietta nuova dei Suicide Silence nelle maniglie delle porte.
Sono di cattivo umore da stamattina presto. Il sonno mi tormenta, anche se oggi mi sono svegliata alle 8.30, perché iniziavo alle 10.
Dopo tre ore di Analisi, sono comunque sfinita.
Cammino pigra verso il mio solito tavolo. Non ho fame, quindi ho comprato solo una coca-cola.
Poco prima di arrivare al tavolo, un corpo mi si para davanti.
Sollevo lo sguardo, so già di chi si tratta.
-Ciao-, dico a Jack, e gli sorrido.
-Ehi-, mi fa.
-Ti vedo un po' giù. Successo qualcosa?-, chiede. -No... Sono solo stanca.
Gli avvolgo le braccia intorno al collo. Così, perché ne ho voglia e perché mi piace tanto sentire il suo profumo da vicino. Così lui ricambia l'abbraccio.
Come sto bene lì.
-Sei sicura che vada tutto bene?-, mi parla, ma quando lo fa la sua voce è diversa dal solito. È più bassa e roca. Mi domando se lo fa apposta o se gli viene naturale. Fatto sta che mi fa venire la pelle d'oca.
In pratica mi sciolgo. Non mi ricordo quasi più cosa devo dire.
-Sì...
-Okay...-, di nuovo quella voce.
Come se non bastasse quello, mi lascia un lieve bacio sul punto tra il collo e l'orecchio.
Cos'è, mi vuole morta adesso?
-Se continui così, ti svengo tra le braccia-, gli dico, schiacciata contro il suo petto.
-Ah, sì?-, continua, e sento che sorride.
-Allora dovrei proprio smettere...-, stavolta mi parla direttamente nell'orecchio, sussurrando. Mi dimentico per un attimo della sala mensa. Poi torno alla realtà.
-Almeno qui sì.-, faccio seria, e mi sciolgo dall'abbraccio.
Jack mi sta guardando, con un'espressione di trionfo sul viso. È adorabile.
-Perché quella faccia?-, gli chiedo.
-Perché adesso so che hai un punto debole che posso sfruttare.
Furbo, il ragazzo. Però ha ragione. Ha un aspetto fisico e un modo di fare ai quali non resisterebbe nessuno...
-Non mangi?-, mi chiede, mentre ci sediamo al tavolo.
-Non ho appetito. Ho solo sete e sonno.-, rispondo, appoggiando la guancia sul tavolo e guardando fuori dalla finestra.
-Capisco.
-Neanche tu hai del cibo con te- osservo, alzandomi dal tavolo.
-Io non pranzo mai. Al massimo faccio colazione o merenda all'ora di pranzo.
-Ma che differenza c'è allora?-, chiedo perplessa. Che tipo strano.
-Non lo so... è un dato di fatto, prendilo per buono. So cosa stai pensando-, aggiunge, vedendo la mia espressione perplessa.
-Neanche io mi capisco, a volte.
-Ah, allora okay-, dico, e inizio a ridere.
Jack intanto mi guarda. Mi viene in mente il discorso che ho avuto ieri pomeriggio con Catia, e decido di chiedergli qualcosa.
Perché voglio sapere, dato che sono più che confusa in questo periodo.
-Senti...-, inizio.
-Ti ascolto.
-Vorrei chiederti una cosa.-, faccio, e poi tutto d'un fiato: -Ma noi due cosa siamo?
Jack si porta le braccia al petto e le incrocia. Poi si stringe nelle spalle, Come se non sapesse cosa dire, ma nei suoi occhi vedo che nasconde qualcosa.
-Dipende solo da te. Cosa vorresti che fossimo?
-Questa domanda è diversa. E se ti rispondessi che vorrei che fossimo solo amici?
Lui si porta una mano sul mento. Poi, lentamente, si piega in avanti. Copre più della metà della distanza che inizialmente c'era tra noi, in quel modo.
-Non me lo dirai.
Come, scusa? Potrei anche farlo.
Stavo per dirglielo, ma poi lo guardo bene, e vedo che è tremendamente serio, e spaventosamente vicino. Ho l'impulso di arretrare, ma i suoi occhi sono una calamita, e mi tengono ancorata al suo sguardo.
-Coraggio-, mi fa, con la voce di prima, quella capace di mandarmi in frantumi il collegamento cervello - resto del corpo.
-Puoi dirmelo, se lo vuoi.
Parla molto lentamente. È talmente serio che sembra una minaccia. Un brivido mi percorre la schiena e le braccia.
Mi ricordo di cosa mi ha detto Catia... E lo confermo. È davvero molto, molto attraente. Forse troppo.
Non riesco a formulare nessun tipo di pensiero, se non 'ndajdbdosksil', e non credo sia una cosa molto intelligente da dire, quindi sto zitta e continuo a guardarlo.
È ancora molto serio. Però, improvvisamente, lentamente si apre in un sorriso, che si fa man mano sempre più largo e trionfante.
-Te lo dicevo!-, mi fa poi.
Non riesco ancora a parlare. Riprendo il controllo delle mie facoltà mentali e stringo forte la mano destra.
Sono una debole. Debolissima.
Non ci siamo ancora mossi dal punto in cui eravamo prima.
-Quindi dimmi-, adesso torna a come era seduto prima. Ma come fa a cambiare modus operandi così in fretta?
-Io...-, inizio, ma non sono neanche lontanamente convinta di quello che sto per dire. Mi blocco.
Poi trovo una soluzione.
-Dimmi prima tu. Così mi regolo.-, dico, e sono sicura di averlo in pugno.
-Piccola, mi sembra chiaro che con te voglio saltare tutta la parte che riguarda l'amicizia.
Ha un'espressione giocosa, mentre si guarda in giro e poi si sofferma su di me, che probabilmente ho un'espressione idiota tipo 'cosa?' dipinta in faccia.
-Dipende solo da te-, ripete.
-Sono aperto a tutte le possibilità. Ricordati che però-, si blocca un attimo, si allunga sul tavolo e mi carezza la guancia. È un tocco dolce come il sorriso che ha in volto. Non conclude la frase, ma credo di sapere come andrebbe a finire.
-Io...-, ripeto, questa volta intenzionata a finire la frase.
-Credo di essere d'accordo con te.
Sono convinta. Cosa potrebbe andare così tanto storto?
Quindi, Jack mi prende la mano destra e se la porta alle labbra. La bacia delicatamente.
-Hai fatto la scelta giusta.-, mormora, con una voce che mi ricorda quella del computer quando scegli l'alternativa corretta in un test a crocette. Però davanti a me non c'è un PC. C'è Jack. E non stiamo parlando di un semplice test a crocette... Ma della nostra vita.
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