Capitolo 11

Cerco di realizzare quello che sta succedendo, mentre mi nascondo sotto il cruscotto dell'auto, cercando di scivolare invano agli occhi di Catia.

Ricapitolando: io e Jack eravamo arrivati, poi ho guardato avanti e ho visto la mia cara amica Catia davanti alla porta di casa mia, con uno sguardo che penetrava nel parabrezza dell'auto e mi perforava il cranio. Ho cercato di nascondermi, ma ormai mi aveva vista.

-Perché ti sta guardando così male?-, la osserva Jack, e mi sussurra con una voce stupita.

-Meglio lasciar perdere... È meglio che vada.-, gli rispondo.

-Vuoi che scen...

-No! No, non disturbarti, non farlo. Potrebbe essere la tua rovina.

Conosco bene Catia. Gli avrebbe fatto domande equivoche fino la fine dei suoi giorni.

-Okay. Ti lascio subire la piaga.

Dopo aver detto questo, ride e scuote la testa.

-Andiamo... Non sarà così terribile, no?
Oh, tesoro, vorrei dirgli.
Non ne hai idea.

Ma mi limito a guardarlo, cercando di imprimergli il terrore che sto provando.

-Okay, okay. Ci vediamo domani.

Continua a ridere, ma quando mi allungo per dargli un bacio sulla guancia si rilassa.

-Ciao, e grazie ancora.

Chiudo la portiera e mi fa 'ciao' con la mano. Dopodiché, ingrana la retromarcia ed esce dal vialetto.

Non voglio girarmi.

-Tesoro caro, che piacere rivederti.

La voce di Catia ha quel tono che preannuncia un interrogatorio molto... interrogante.

Stringo gli occhi e mi giro, fingendo un amabile sorriso.

-Ciao, Cat! Che piacere averti qui!-, dico mielosa.

-Ah-ha. Tu mi devi spiegare un po' di cose.

-Cat, siamo solo amici-, le preannuncio mentre apro la porta di casa e entriamo.

-E gli amici si tengono per mano e si baciano sulle guancie?-, si mette le mani sui fianchi, come se questa affermazione fosse la prova inequivocabile di ciò che sta pensando.

Quindi, mentre chiudo la porta, le do un bacio sulla guancia e le stringo la mano.

Le sorrido, amabilmente.

Lei si mette a ridere.

-Vuoi dell'acqua?-, le chiedo mentre cammino verso la cucina.

-Sì, grazie.

Quindi vado verso la credenza e verso due bicchieri. Frizzante per me, naturale per lei.

Ci sediamo e iniziamo a bere. Ci voleva.

-Ti chiedo queste cose perché sai, sei la mia migliore amica e mi incuriosisci. Solo non capisco perché cerchi di sviare sempre dall'evidenza. Anche il paragone che hai fatto prima, quando mi hai preso la mano. Non ha senso perché primo: ti piacciono gli uomini quindi è diverso. Secondo: io non sono neanche lontanamente sexy quanto lo è lui.

Mi va di traverso l'acqua. Tossisco e sputacchio, mentre Catia sorseggia la sua con grazia e calma.

-Tutto bene, tesoro?-, mi chiede, quando appoggia il bicchiere.

-No! A volte mi sconvolgi.-, dico mentre scuoto la testa.

-Ti sconvolgo solo perché ho detto la stessa cosa che stavi pensando tu.

Se avessi continuato a bere, quella sarebbe stata la volta in cui mi sarei affogata definitivamente.

-No...-, faccio, molto poco convinta, pensando a come gli stavano quei pantaloni sabato sera.                 

Poi scuoto la testa e poggio il bicchiere sul tavolo.

-Andiamo, tutte le ragazze, e anche qualche ragazzo, lo stavano guardando, sabato.

-Ma cos...-, inizio, ma lei mi interrompe.

-No, è vero. Solo che tu non ci facevi caso, perché lo guardavi imbambolata...

-Basta-, dico, sospirando.

-Stai ingigantendo la cosa. Non è successo niente, probabilmente non succederà niente, e non guardarmi così perché te lo dice una che ha vissuto la vita sullo sfondo degli altri e di queste cose si intende. Siamo. Solo. Amici. È evidente che mi piace, ovvio, a chi non piacerebbe un ragazzo così? È simpatico e intelligente, al contrario di tutte quelle scimmie tirate a lucido che girano qui intorno. Quello che è successo è successo solo perché mercoledì ho ordinato una fottuta pizza e lui è il fattorino! Così ci siamo conosciuti e ora sono una delle poche persone che conosce quindi basta! Per favore, basta. Sono più confusa di te.

Mi accascio sulla sedia. Dire quelle cose mi ha fatto chiarire la situazione anche con me stessa.

Un ragazzo così non può farsi piacere un disastro come me. Le cose che mi ha detto probabilmente erano dette solo per convenienza... o ero io che le avevo interpretate male.

-Ter...-, inizia Catia, con un sorriso comprensivo sulle labbra.

-Ma cosa ti ha detto per farti confondere così?

-Nien...

-Eh, no! Non dirmi cazzate. So che ti ha detto qualcosa.

Glielo dico? Va beh, tanto.

-Parto dall'inizio?

-No, dalla fine! Da dove vuoi partire?-, mi fa, sarcastica.

Sorrido. In effetti, è una domanda stupida da fare.

-Ci siamo seduti e abbiamo parlato un po'.

Catia mi fa un cenno con la testa, come per dirmi "Okay. Continua".

Mi faccio coraggio e dico tutto d'un fiato.

-In pratica gli avevo chiesto dopo un po': ehi, dimmi un po' di te, e lui era un 'no, mi piace stare zitto e guardarti', e io ero tipo sto zitta o parlo? Così sono stata zitta, però lui ha iniziato 'sei diversa da tutti, sei strana' e roba varia, e io ero tipo wow ha ragione ma poi mi ha tipo sconvolta perché mi ha detto così, leggero leggero 'mi piaci', e io ero tipo cos? Ma lui continua ed elenca qualche mia stramba caratteristica. Quindi sono stata zitta e gli ho preso la mano e-, mi accorgo che non c'è più niente da dire, quindi concludo con un: -Basta.

Catia mi sta guardando male.

Aspetto tre secondi, ma non parla. Quindi inizio con un: -Ca...

-Ma come fai a non capirlo? Non ti facevo così ottusa! Non c'è niente di più esplicito di così, Teresa. Non vedo il motivo di questo tuo blocco nei suoi confronti.

Continuo a guardarla.

Ha ragione? Mah. Non capisco più niente.

-Non lo so, Cat. Non lo so.

Mi alzo dal tavolo e fisso per un po' il frigorifero.

-Ti va di cucinare?-, le chiedo, cercando di sviare, con un grosso sorriso sul volto. Da bambine cucinavamo spessissimo.

-Certo-, mi dice, e si alza contenta dalla sedia.

Sento che ci sarà molto da pulire.

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