quella brutta vecchia nuova tazza

da una prima idea di una delle persone più belle a 'sto mondo

leggete lei, è meglio



È di una tazza da caffé americano che si sta parlando e delle sue decorazioni geometriche. Dei triangoli azzurrini accanto al manico storto, una stella che esplode nel centro - perché non puoi proprio sbagliarti - e una frase di Nietzsche che solo il caos può generare una stella dominante.

Poetico, certo. Peccato che sia così tanto vecchia e il suo manico così consumato, che ora si legge solamente solo caos dominante. Vedi un po' tu, il destino. O la casualità. O l'ordine delle cose. Vedi un po' tu ciò che ti pare --- ti sembra che questo testo sbadato e sbiadito abbia una qualche pretesa?

La tazza Daisy - che vuol dire margherita e la margherita è quella che sembra trovarsi sullo scatolino della camomilla --- peccato sia una tazza da caffé americano che di solito viene usata da un certo ragazzo per del té scadente, pertanto ha nulla a che fare con la camomilla o le margherite. Nulla a che fare con il ragazzo, ma alla tazza di nome Daisy - appunto, margherita, - non dispiace per niente ritrovarsi in quelle mani sottili e dalle dita rovinate.

Troverebbe confortante (se solo le tazze avessero un'anima o un pensiero o un'esistenza) il contatto con le pellicine e avrebbe trovato esilarante quando a prenderla erano sempre le solite mani, ma con le dita annerite per via di una stramaledetta porta, avrebbe amato quando al di sotto del suo fondo sporco vi si trovava un bel libro di filosofia o un computer o un telefono o un semplice banco di legno. Amava quelle mani e tu potresti pensare che le tazze non hanno una dignità o una volontà e siano incapaci, invisibili, semplicemente utili. Ma vi accorgereste - se fossimo tutti delle tazze - che non amereste di meno. Sareste soltanto meno consapevoli del vostro scopo o dell'eventuale sfortuna che aleggerà nella vostra vita.

Come un gatto. Mica se ne preoccupa del fatto che sonnecchia per i due/terzi del suo percorso e che la sua libertà è provvisoria o dipendente dal cibo o dalle persone o che non c'è libertà e in questo caso potrebbe essere privato perfino del suo misero istinto, dei suoi impulsi e della sua capacità di essere attratto. Il gatto non ci farà caso, ma ciò non gli impedirà di ascoltare il rumore delle crocchette lasciate cadere nel piatto o il fruscio che una lucertola ferita scatenerà nella paglia raggrinzita. Percepirà il pericolo se un'auto passerà noncurante e - nei casi in cui al gatto va proprio bene - il richiamo di un amante provvisorio. Anche se ho sentito dire che sono animali abituali -- insomma, si affezionano al partner. Ma prendetelo con le pinze.

Dov'è che eravamo? Certo, non avete idea di cosa voglia dire essere una tazza o vivere nella polvere. Ma la tazza ha uno scopo, e voi? La tazza ha sedentarietà, un effettivo lavoro - l'essere affascinante per incrementare le vendite - e un motivo per cui condurre la propria esistenza fra i vari cocci di altre tazze sfortunatamente rovinate.

Un giorno la tazza Daisy fu inconsapevolmente abbandonata dalle mani gentili e insicure della sua persona e si crogiolò per del tempo fatuo nella polvere e nelle griglie del lavello. Chiunque aveva voglia di bere un té o una camomilla - nonostante lei fosse una tazza da caffé americano - la utilizzava con noncuranza e la risciacquava con l'acqua più gelida o calda o tiepida possibile.

Il concetto è semplice: era e tutti se ne sarebbero potuti approfittare, senza curarsi delle crepe che piano piano prendevano piede nella ceramica vecchiotta. Ma era lì, c'è sempre stata, con la sua flebile vocina e una storia da raccontare una volta che quelle mani delicate e incerte l'avrebbero accolta nuovamente.

Ma accadde il non immaginabile e gli astri si unirono e non so che cazzo sia successo, ma delle mani diverse, quasi impacciate, la presero un giorno d'estate e quella tazza ebbe un nuovo scopo. Quelle mani, pur non amando il caffé americano e nonostante non fossero a loro volta una tazza, la utilizzarono per quel che le spettava. Del languido caffé allungato che disgusta la maggior parte dei personaggi di questa storia. E la tazza si piacque di più. E le parve di poter amare se stessa ed il suo scopo fino ad ora ignorato. E le sue crepe.

Mica gliela raccontò subito, la sua storia, a quelle mani, ma pareva loro sapessero come maneggiare quel caos dominante. Con dolcezza, integrità, attenzione -- usandola per ció che lei desiderava. Assurdo. E poi durante una serata fresca, lui se ne stava seduto davanti alla finestra (non era uscito, strano) con le gambe dai peli lunghi incrociati e teneva la tazza vecchia fra le dita più certe di quella ceramica e fu come se glielo stesse raccontando, lei, «La mia intera vita è stata in una credenza, faceva schifo. Appena fatta, in un laboratorio nei pressi di Padova, hanno deciso che avevo dei difetti - non so se te ne accorgi, ma il mio manico è storto. Lo so, uno se ne accorge soltanto perché io lo dico, ma questo pareva un dettaglio essenziale e quello stronzo del dirigente mi mandò in un negozietto carino, tutto educato. Che ne sai, quei proprietari di merda potevano contare sulla mia unicità, ma non se ne sono interessati. Non ero perfetta e qualsiasi cliente fosse attratto dalle mie fattezze, loro se ne uscivano con "Che vuole che le dica, quel manico storto rovina tutto", e fran, nessuno era più convinto io sarei stata un buon acquisto. E poi, io non è che mi sistemavo bene. In quella credenza del cazzo attiravo tutta la polvere e poi volevo che si notasse quel manico, solamente volevo mi amassero nonostante questo. O no. La credenza era una cazzo di schifezza. E poi quelle mani. E le mani mi hanno abbandonato. Non fare lo stesso. Ti prego. Non lasciarmi. Faccio schifo, ma posso tenerti caldo il caffé americano come nessuno. Ti prego, non rimettermi nella credenza.»

Per un po' lui, difatti, non la tenne lì. Era felice della sua nuova-vecchia tazza da caffé americano e non si curò del parere altrui sul disgusto che una bevanda del genere poteva portare.

Non glielo disse per davvero, perché una tazza non è in grado di esprimersi se non tenendo caldo il caffé americano --- non è amore? Tenere caldo il caffé americano - pur se ti fa schifo - per qualcuno. E quel qualcuno lo berrà anche se gli fa schifo. Come starsene nella credenza per lui. Aspettare che lui ti prenda e ti dia una sciacquata, che dica alla mamma: "Ma', sticazzi se è tutta rovinata, tiene caldo il caffé caldo come nessun altro." No? Starsene nella credenza e aspettare. Forse proprio no ed è qui che la tazza Daisy è rimasta fottuta.

Per quella sera, le mani strinsero la presa e la tazza credette per davvero di avere trovato uno scopo che fosse personale, non condivisibile. Peccato non avesse tenuto conto del vecchio caffé tradizionale. Quello che tornerà sempre prima o poi e occorrerà la vecchia sempre nuova tazza che sarà sempre pulita e ben in vista.

Il problema dell'essere una tazza è che nessuno si ricorda che puoi essere rotta esattamente come un cuore. Ecco cosa sono i cuori, delle vecchie tazze con sopra una comica frase di Pirandello o una frase esistenzialista di Sartre. Bellissime. Rovinate. Alcune meno di altre. Quelle sono meglio. Quindi se sei una tazza rovinata, resta nella credenza.

Un giorno lui non la prese. E poi un altro. E poi un altro. E settimane su settimane volavano via e sebbene a lei piacesse credere che la colpa fosse di quella bellissima tazza del caffé serio, la spiegazione che le mancava proveniva da quelle mani che l'avevano tracciata con comprensione e dolcezza. Dov'era? Gliel'aveva detto la vecchia-nuova tazza, nessuno ti vuole. E tu vuoi quello che appartiene agli altri. Certo. Ti usano per pietà, a chi interessa il caffé americano? Fa schifo. È liquido, amarognolo - o così immaginiamo tutti - non vero caffé. Quello che porti tu, prima o poi, disgusta.

Allora le mani che di solito guidano una panda appartenuta al nonno - della cui morte ancora nega il dolore - non l'hanno più presa. E la tazza se ne stava neppure nella credenza, no no no, ma sul vecchio mobile. Senza motivazioni. Sola con la polvere. E si sarebbe fatta tutta la credenza sul manico storto con la polvere pur di ricevere quell'attenzione di nuovo.

Notti intere sempre in due, pensó, ma io non sono nel due. Non più.

E fran, un sera lei cadde a terra per un movimento sbadato delle mani e lui la raccolse senza rammarico. Si morse le unghie e «Peccato, ho ancora mezzo pacco di quel caffé di merda.»

E la tazza finì nella pattumiera. Come il mio cuore mentre scrivo questo pezzo di merda e senza senso.

Notti intere sempre in mille pezzi. L'unica cosa che non si ruppe fu il suo manico storto e fu tardi per capire che fosse il pezzo più forte. Peccato.

Rompete la cattiveria, non voi stesse.
Rompete il pregiudizio, non le vostre crepe.

Amate per prime il vostro caffé americano perché nessun altro lo farà per voi.

dal diario di Martina,

un breve pezzo scritto male

senza senso

proprio come una tazza scassata sul pavimento

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