Prologo

«Non devi interferire con la nostra piccola missione...» L'ufficiale in nero rimproverò il soldato 011 con una cantilena senza fine. Lei, al solito impassibile sul posto, non accennava dispiacere o pentimento sul volto, come se le parole trapassassero il suo corpo freddo e scemassero nell'aria.

Al termine del fastidioso dialogo, entrambi indossarono nuovamente le proprie maschere e il soldato 011 si congedò.

Bastardi schifosi, le venne solo da pensare. I passi pesanti sul lungo stomachevole corridoio variopinto segnalarono la sua presenza ad altre guardie poco distanti, col simbolo a cerchio differenti dal suo. La salutarono con un semplice cenno per tornare alle proprie mansioni, mentre lei dovette riprender fiato prima di tornare a quei giochi discutibili e insensati.

Kang No-eul, conosciuta da loro come guardia 011, era una donna nord coreana fuggita dalla madre patria -che non riteneva più tale - ma col dolore dell'essersi separata dalla propria bambina. Con esperienza da soldato, il sangue freddo non le mancava e nessuno allora avrebbe immaginato che avesse lavorato due anni come figurante in un parco divertimenti. Il pensiero fisso dei soldi per trovare sua figlia le attanagliava la mente, accettando persino un ruolo come soldato in rosa in un'assurda isola sperduta, uccidendo i perdenti di una serie di giochi infantili.

Il flusso di coscienza si arrestò in contemporanea ai suoi passi. Ma che diamine... Si guardò i palmi delle mani, coperte da guanti neri. Nonostante la freddezza, quel giorno tremava appena.

Sospirò pochi istanti e si sistemò meglio la maschera sul volto, entrando nella stanza successiva: talmente grande, talmente caotica; ornata di colori pastello e vari arcobaleni su muri e pavimento formando due grandi cerchi. I giocatori lì presenti erano occupati nel formare squadre e lei si piazzò al proprio posto rimuginando sulle direttive date dai superiori: sparare ai perdenti. Preferiva ucciderli, colpirli in punti vitali e non risparmiarli per quelle vipere dei suoi colleghi.

Meritavano una morte rapida, non di soffrire. Quello era l'unico sollievo nella sua mente, per una scusa tanto frivola.

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