Capitolo 37
Dylan.
Corro nello spogliatoio, raccolgo le mie cose e corro a casa. Devo farmi una doccia, devo vestirmi e non lo so.
Devi sistemarti. Muoviti.
Parcheggio nel mio vialetto, apro la porta e corro in bagno, acqua fredda. Cazzo.
Quando esco assomiglio ad un ghiacciolo, manca solo il colorito celeste e siamo al completo.
Indosso un paio di jeans neri, una maglioncino bianco aderente e la mia classica giacca di pelle nera. Okay, sono pronto.
Sembro una quindicenne in calore, cazzo. Calma, calma, calma. Sono agitato, agitatissimo.
Scendo le scale e trovo mia madre in salone.
-esci tesoro?- chiede.
-si, ci vediamo dopo- la saluto.
-ehi, ehi, ehi- mi chiama e mi fa l'occhiolino. Okaaaay. Esco.
Cammino fino a casa di Victoria e suono. E se apre suo padre?
Sei un ragazzo morto.
Lo so. Cazzo.
La porta si apre e un uomo alto e dagli occhi chiari e freddi apre la porta. Ha delle stampelle e una gamba fasciata. È lui. Deglutisco fortemente.
-Dylan, ciao, entra- mi guarda, sembra incazzato.
Io scapperei.
Anche io, ma dopo tutto questo casino ho bisogno di uscire con lei.
-salve signor John- gli stringo la mano e sudo.
-cosa posso fare per te?- mi chiede.
-sono venuto a prendere sua figlia, le ho chiesto di uscire un paio di giorni fa e lei ha accet..-
-John, potevi chiamarmi, sarei andata io ad aprire- Victoria scende le scale e non appena la vedo rimango senza parole. Indossa un paio di pantaloni neri, un maglioncino beige leggermente più stretto dei suoi soliti e una giacca nera. È meravigliosa. Immaginavo non avrebbe indossato qualcosa di femminile e la cosa mi dispiace un pochino perché con la gonna sta molto bene e mi avrebbe permesso di vedere le gambe un pochino di più.
Maiale.
Sono un uomo, è normale.
-Dylan...ciao.- mi guarda e arrossisce.
-Dovete uscire?- domanda suo padre squadrandomi.
-si John, non ritorno tardi- gli sorride velocemente ed esce.
-lo spero- sussurra e sento improvvisamente freddo.
Ora mi colpirà con la stampella e morirò.
-a-arrivederci signor Mason, le riporterò sua figlia molto presto- ed esco anche io. Victoria mi segue fino ad arrivare al mio motore.
-cazzo che fifa- e lei scoppia a ridere.
-stavi tremando- mi sfotte.
-tu non eri tanto a tuo agio eh- le passo il casco e lo indossa.
-dove si va?- chiede sedendosi dietro di me e circondandomi l'addome con le braccia.
-cinema?- rispondo e lei fa una smorfia. Cazzo.
- bowling?- spalanca gli occhi.
-che ne dici di andare di nuovo al parco? C'è un po' di freddo però sarebbe bello, non trovi?-
-va bene, andiamo- dimenticavo che lei fosse strana.
Finalmente sono insieme a lei. Sono felice ed agitato. Sento la sua presenza dietro di me, il suo profumo, la sua semplicità. Meraviglioso. Quando parcheggio l'aria non è particolarmente fredda. Il sole è tramontato da poco e la luce fioca che rimane inonda il suo viso.
-sei davvero bella oggi- le dico mentre camminiamo verso una panchina.
-g-grazie- balbetta e io sorrido circondandole un braccio attorno alle spalle.
Sono felice, felice di averla qui vicino a me. Fra le mie braccia. Finalmente. Adesso sono più tranquillo.
Insomma.
Diciamo.
Arriviamo ad un chiosco nel quale vendono cioccolata o the o caffè, insomma robe calde, e mi avvicino per far qualcosa di carino.
Tu non sei più tu.
Da quando c'è lei non più.
Ed è proprio davanti alla cassa che io e lei abbiamo iniziato una discussione, come al solito.
Volevo pagare io mentre lei insisteva per pagare almeno la sua bevanda. È assurdo.
Per soli pochi dollari lei si è messa a fare un caos assurdo facendo ridere perfino la moglie di quel santo signore che continuava ad alzare gli occhi al cielo.
-pago io-
-no, pago io- ribatteva.
-perché?- le ho chiesto.
-perché sono più intelligente-
-non è vero-
-invece sì- risponde.
-levati dai piedi- l'ho spinta un pochetto e ho pagato.
-sei un molestatore- mi punta il dito contro.
-e perché mai?- domando mentre ci avviamo ad una panchina poco distante.
L'aria adesso sembra essere aumentata e, anche se non è molto fredda e forte, riesce comunque a spostarle i capelli rendendoglieli ancora più scompigliati.
-non si spinge una ragazza in quella maniera- sentenzia.
-tu sei una ragazza?-rido.
-tu hai cervello?-
-e molto di più-
-non sembra-
Non capisco come devo fare con lei. Ora lei mi tiene il broncio. Ho voglia di baciarla. Ora.
Su questa panchina, e non è detto che non lo faccia.
L' ultima luce che il sole emana la illumina di diversi colori.
-come va?- le chiedo.
Perché le chiedi come va?
Non lo so, c'era troppo silenzio..
-bene..tu?- sembra stranita da questa domanda ma non sapevo che dirle.
-anche, adesso si-
-hai giocato bene oggi- mi dice.
-ho giocato anche meglio,ma l'importante è che io abbia vinto-
-ciò non toglie che tu sia un molestatore- dice sorseggiando la cioccolata.
-non sono un molestatore. Ti ho solo leggermente spinto per pagare-
-potevi anche benissimo parlarne, no?-
- come se non ci avessi provato. Chi parla con te, parla con il muro-
- non è vero! Io ascolto sempre quello che mi dici- dice osservandomi. Io alzo le sopracciglia per dire "ne sei sicura?"
- okay, okay..non sempre..però ascolto- ammette dopo.
-raramente-
-meglio che mai,no?-
Continuiamo a parlare del più e del meno e tutto per lei si continua a collegare al fatto che io sia un molestatore.
Lancio un sasso verso una rondine che si è appena appoggiata per terra e sono un molestatore, osservo un bambino che gioca e sono un pedofilo e poi silenzio. Non un brutto silenzio. Solo silenzio.
Il lago di fronte a noi rispecchia gli ultimi stralci di sole e si muove leggermente con il vento. Lei l'osserva e ogni tanto i nostri occhi si incrociano dando vita sul nostro viso ad un sorrisetto.
È ora. Mi stiracchio e le metto un braccio attorno alle spalle. Non fa nessuna piega. Sembra essere a suo agio. Bene. Meglio così.
-come sei prevedibile ,Vuller- sorride leggermente
-perché?- le chiedo.
-diciamo che ho notato lo stiracchiamento- ride.
-ah..se ti da fastidio..- cerco di punzecchiarla.
-non mi da fastidio- si volta verso di me e i suoi occhi mi incatenano. Io non resisto e mi avvicino. Lei non indietreggia, resta lì, come se mi aspettasse. La bacio. Finalmente. Le nostre labbra si incontrano e il mio cuore esplode. Sono felice. Tanto felice. Non badiamo più a niente , io almeno non ci faccio caso, la osservo e l'ammiro nel suo rossore.
Lei sembra sorpresa, stranita. I suoi occhi guizzano dai miei al lago come se volesse scappare.
Forse non dovevo baciarla?
Victoria.
Mi ha baciato. Di nuovo. Non c'è stata sensazione più bella. Le nostre labbra si sono unite per un istante meraviglioso che vorrei ripetere altre milioni di volte. Mi ha chiesto dove volessimo andare e mi ha proposto il cinema.
E tu gli hai risposto di no.
Già. sembra che tutti gli appuntamenti debbano essere tutti e per forza al cinema ogni volta.
È romantico.
Bleh. Poi ha chiesto di andare al Bowling.
Hai risposto sempre di no.
Mi annoia tirare palle contro delle bottiglie.
Sono birilli, non bottiglie.
Hanno la forma di bottiglie.
Alla fine ho chiesto io stessa di andare al parco. È più bello e poi c'è una bella luce: un mix di colori dovuti al tramonto.
Perché sprecare una giornata così bella per andare a rinchiudersi in qualche struttura pubblica ad alto tasso di soffocamento precoce?
Tu non sei normale.
Sono strana, non ricordi?
Ci siamo appena alzati dalla panchina che fin ora abbiamo occupato e oltrepassiamo il chioschetto davanti al quale abbiamo litigato per un'ennesima cazzata.
-ti è piaciuto stare qui?- mi chiede sorridendo.
-moltissimo.-gli sorrido e lui sembra felice -a te?-.
- ma non è stato male- silenzio- soprattutto la parte finale- e i suoi occhi incontrano i miei. Continuiamo a camminare e lui afferra la mia mano.
Io la stringo senza vergogna.
In effetti non è stata affatto male la parte finale.
No, per niente male. Arrossisco tantissimo ma cerco di non farlo vedere.
Diciamo che non ho intenzione di passare il mio primo appuntamento con lui un momento imbarazzante e pieno di silenzi imbarazzanti.
-Adesso dove andiamo?- chiedo. Sono sicura di assomigliare ad una bambina impaziente.
-io sto morendo di fame-dice ridendo.
-In effetti anche io- ridiamo entrambi e la situazione sembra essersi sciolta.
-tu hai sempre fame..ristorante?- chiede.
-cosa? No,no, qualcosa di più semplice- ci penso.
Non ho voglia di fare cose forzate, cose programmate, banali.
Voglio stare solo con lui, insieme.
-ehi- Mi chiama- possiamo fare quello che vuoi-
-perfetto- mi è venuta un idea- possiamo andare a casa mia e lui sbianca- ordiniamo due pizze e stiamo in camera mia o in soffitta- dico. Mi sembra una buona idea ma nella sua faccia leggo il terrore. È bianco, e sembra agitato.
-a casa tua?- deglutisce sonoramente.
-si, qualche problema? Ti senti bene?-
-c'è tuo padre lì, non mi sembrava molto contento quando sono venuto a prenderti- si porta una mano dietro la nuca e io rido. Ha paura.
-hai paura- rido- hai paura di mio padre- lo sfotto.
-non ho paura, penso solo di non piacergli molto-
-hai paura, il grande e grosso Dylan che ha paura di John Mason- rido ancora.
-mi stai sfottendo alla grande- il suo sguardo è malizioso adesso.
Mi carica sulle spalle e inizia a parlare- allora, andremo a casa mia, visto che non c'è nessuno, ordiniamo una pizza e ci guardiamo un film che adesso scelgo io-
-Dylan! Mettimi giù!- urlo da sopra la sua spalla- ma che mangi tu?- chiedo.
-perché me lo chiedi?- risponde sotto di me.
-perché mi sollevi come se non pesassi un cazzo- e lo sento ridere sotto di me.
La gente che cammina tranquillamente per le stradine del parco ci guardano e ridono. Menomale che non indosso gonne già di mio, altrimenti mi si sarebbero viste tutte le mutande. L'ho sempre detto che le gonne lasciano il culo di fuori.
Da questa altezza riesco a vedere il suo sedere però. È pomposo.
É bello, sodo, wow. L'ho notato anche oggi nella sua divisa da basket. Carino anche il culetto. Complimenti alla mamma.
Eh già.
Arriviamo alla moto e lui mi mette a sedere su di essa.
-sei un cretino- lo insulto.
-grazie- mi stampa un bacio e partiamo per arrivare in pochi minuti davanti a casa sua. È buia, vuol dire che non c'è nessuno.
-non c'è nessuno- mi legge nel pensiero- sono a cena con non so chi- mi risponde -entra- apre la porta ed accende le luci. È come la ricordavo, molto simile alla mia, grande bella e spaziosa.
-andiamo di sopra- mi dice e io lo seguo su per le scale. Quando entro nella sua stanza il ricordo di quello che una volta mi ha fatto sul letto mi balena nella mente: mi ha baciato il collo ripetutamente e mi ha anche stretta a se. Avvampo e solo quando sento la risata soffocata di Dylan mi accorgo che sto osservando il letto.
-Vuoi il secondo round?- mi chiede.
-No- dico velocemente ma lui si avvicina a me.
Io faccio il giro del letto per poi saltarci sopra e scendere dall'altro lato ed uscire dalla porta. Menomale che non c' nessuno. Entro in una stanza rosa, ricordo che è di Clarissa e subito dopo riesco a sfuggirgli ed entrare in un'altra camera, ha un grande letto matrimoniale, un grande armadio in mogano e tappeti eleganti. Deve essere dei genitori.
-Non ti bastava il mio letto? vuoi quello dei miei genitori?- scoppio a ridere e scappo verso un'altra porta ma è chiusa. Cazzo. E ora?
-quella è la stanza di Bea- sussurra e io mi immobilizzo.
-mi dispiace, non lo sapevo- mi volto verso di lui che mi sorride.
-vieni- mi prende per mano e mi tira verso la stanza dei suoi genitori per poi lasciarmi sulla porta.
Si dirige verso un grande comò in tinta con il legno dell'armadio e dopo aver aperto il primo cassettone lo richiude con in mano una chiave.
Che cosa sta facendo?
Era talmente vicino a me prima.. e se solo avessi saputo che quella era la stanza di Bea, non sarei andata ne ora ne mai in quella direzione.
Non è la prima volta che immagino il dolore di Dylan nei confronti della sorella, e non solo il suo.
Anche quello del padre oppure ancora della madre. Di Matt. Sono certa che tutti soffrono. Tutti, anche Clarissa, che talmente piccola non sa dove si trova la sua sorellona.
Immagino il dolore di Dylan, non sarà stato affatto facile vedere con i suoi stessi occhi il corpo della sorella a terra poco lontano dal suo senza poter andare da lei a causa del dolore fisico inflitto da tutte le ossa rotte. Immagino, posso solo immaginare e forse neanche quello.
Si avvicina di nuovo a me e mi riprende la mano per trascinarmi davanti alla porta della stanza. Inserisce la chiave e la gira una volta. La mia mano automaticamente si posa sulla sua- non devi farlo se non te la senti- dico e i suoi occhi incontrano i miei.
È triste, si vede, forse per il ricordo, ma mi sorride, è un sorriso veloce, leggero, dolce che accompagna il secondo giro della chiave dentro la serratura. Eccola la stanza di Bea.
È bianca e viola. Un grande letto con delle coperte bianche, una grande finestra con il posto per potersi sedere, due librerie ricolme di libri, una scrivania bianca e molti, moltissimi pupazzi.
È tutto in ordine, tutto come lei deve aver lasciato quel brutto giorno.
Dylan entra dentro tirandomi leggermente con la mano. Senza fretta. Incrocia i suoi occhi con i miei. Leggo ancora dolore.
-non ho mai portato nessuno qui. Tu sei la prima- sussurra appena e sorride leggermente. Un sorriso semplice che racchiude tutto.
Dylan sta condividendo con me il suo dolore.
Spazio autice:
Ciao a tutti!❤
Inizio con il ringraziarvi per le visualizzazioni, le stelline e i commenti che ogni capitolo mi lasciate❤ siete una MERAVIGLIA!❤
Parlando della mia storia, inutile dire che siamo arrivanti ad un punto molto, molto importante. Dopo tanto tempo,finalmente il primo appuntamento e non solo💥...
Vi comunico che questa prima parte di storia si sta per concludere, mancano pochi capitoli e dopo una breve pausa, riprenderò questa storia con una seconda parte, sempre sul mio profilo❤❤.
Dopo ciò vi consiglio vivamente di andare a leggere " Sceglierei te: SEMPRE" sul profilo di AnnalauraBenaccc. È una storia che ha appena completato e che, vi prometto, renderà felici tutti.❤
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