Capitolo 15

Victoria.

La bambina del primo giorno, la bambina che giocava con il suo cagnolino, la stessa bimba che mi ha salutato non conoscendomi.
La stessa bambina che mi ha fatto riconoscere la spensieratezza e la dolcezza che solo i bimbi come lei possono possedere . Questo scricciolo mi ha portato dentro casa sua e sono meravigliata nel vedere è quasi identica alla mia. L'ingresso, il piccolo scalino che porta al salone, la cucina collegata...

-Vuoi colorare assieme a me?- chiede portandomi in salotto e sedendosi sul tappeto.

-certo- le dico- sai disegnare?-

-un pochino, tu?-

-anche io, un pochino- alle mie parole il suo volto si illumina e balza subito in piedi per poi sparire sulle scale e tornare dieci secondi dopo con enormi borsellini rosa colmi di colori e dei fogli bianchi.

-cosa vuoi che ti disegni?- chiedo dolcemente mentre lei con fare concentrato ripone tutto sul tavolino davanti a noi.

-non lo so, cosa sai fare?- mi chiede lei.

-quello che vuoi, vediamo...una principessa?- chiedo andando sul sicuro.

-sii!- batte le mani sorridendo.

Dylan entra in casa e mi osserva per un attimo che sembra interminabile: i suoi occhi percorrono la mia figura, per prima, e quella della sorella attentamente; sembra che ci stia studiando e con occhi profondi, molto profondi. Dalle maniche corte, come al solito, esce la sua solita e ben definita cicatrice chiara che risalta sulla sua carnagione leggermente abbronzata. È una delle domande che mi affliggono da quando l'ho conosciuto: come se l'è procurata?

-falle un vestito lunghissimo, per favore- la vocina della piccola bimba mi riporta a lei e, con la coda dell'occhio, vedo Dylan e la sua cicatrice scomparire dal mio campo visivo per ricomparire, qualche minuto dopo, con in mano tre bicchieri di succo. Si siede accanto a me inondandomi del suo profumo meraviglioso.
Quando eravamo in sella alla moto e io ero molto vicina a lui, il suo odore era meraviglioso, proprio come ora, seduto al mio fianco mi osserva come se volesse capire qualcosa di me.

Inizio a disegnare sul foglio bianco la sagoma di questa principessa e faccio in modo che il suo volto assomigli alla bimba di fianco a me. Con la fronte alta e il nasino piccolo affiancato da due occhioni grandi e scuri e una boccuccia carnosa e piccolina. Il suo corpo è minutissimo e il vestitino rosso che l'avvolge la rende ancora più piccola.

Mi guarda con occhi sognanti mentre disegno e posso dire che la stessa espressione si trova sul viso del fratello.
Immaginatevi: io seduta in mezzo fra una bimba di un metro, che osserva il mio disegno sognante, e un ragazzo, che potrei dire che superi il metro e ottanta, a gambe incrociate e con un'espressione spiccicata a quella della sorella che avrà sì e no sei anni.
Finisco di disegnare la lunga gonna, come sua richiesta, e lo consegno alla piccola Clarissa.

-adesso tu lo colori- le dico- voglio vedere come sei brava- sorrido poi.

-va bene- e inizia con il prendere il colore rosa, poi distoglie lo sguardo e con i suoi grandi occhi neri mi osserva per un attimo: non posso fare altro che notare come i suoi occhi siano così simili a quelli di Dylan; due perle scure incastonate in un piccolo, candido e splendido faccino di una dolce bambina. Sembra che con quegli occhi lei possa studiare le persone fino al midollo, che possa capire, con un solo sguardo, cosa tu stia pensando, provando e cercando di scoprire.
-sai che mia sorella Beatrice è all'ospedale?- chiede piegando leggermente la testolina verso destra.
Dylan ha un'altra sorella?

-Cosa?- chiedo scuotendo la testa.

-ti piacciono i bimbi, eh?- chiede Dylan improvvisamente.

-si, molto, sono così spensierati, così dolci e ingenui. A me è mancata questa fase- dico senza pensarci, ma subito dopo mi maledico.

-ti è mancata?-

-sì, cioè no. Nel senso, sono nostalgica-

-non era quello che volevi dire, ne sono sicuro- mi osserva con sguardo fermo e duro.

-non ne voglio parlare-

-parlarne a volte fa bene-

-non voglio addossare i miei problemi agli altri- lo guardo per poi distogliere lo sguardo immediatamente.
I suoi occhi mi mettono in imbarazzo: sono profondi, sono belli, sono perfetti e proprio questo mi porta in fibrillazione. Mi guarda, mi osserva e mi studia. Vuole sapere di me e della mia storia. Quel colore scuro così simile al nero mi risucchia dentro ogni volta e sono certa che, se non avessi distolto lo sguardo, sarei ancora imbambolata in essi.

-io potrei aiutarti- dice serio distogliendomi dai miei pensieri.

Sempre collegati a lui.

- non mi va- concludo.

-vieni con me- mi prende per mano.

-dove?- mi fa alzare tirandomi leggermente le braccia.

-ora vedrai- dice verso di me- Clarissa, vai in cucina da Dorota e quando torniamo vieni da noi- si rivolge alla sorella che annuisce e sia allontana saltellando con il suo disegno mezzo colorato.

-vieni- con la sua mano cinge il mio polso senza troppa forza, mi guida fino alle scale, arrivando così in un lungo corridoio, molto simile a casa mia, percorriamo si e no dieci passi, poi mi fa entrare in una camera, la sua camera.
Cosa cavolo..?
Divertiti.

-Non ti spaventare- ridacchia osservandomi di sottecchi.

-Non sono affatto spaventata-ribatto.

-Non sembra così-

-dovrei avere paura di te?- rido.

-del luogo in cui ti trovi, più che altro- sorride maliziosamente- ma non siamo qui per questo, almeno per ora- si avvicina alla porta finestra e, dopo averla aperta, esce.

Almeno per ora? Avvampo violentemente.

-Vieni!- mi chiama e decido di seguire la sua voce oltre la tenda che svolazza al vento; un passo dopo l'altro sono sul suo balcone: lo stesso che ho ritratto quando lui era affacciato. E lo trovo ancora qui: appoggiato con il sedere alla ringhiera di cemento, con le braccia incrociate al petto e le gambe leggermente divaricate.

-io vengo qui quando c'è qualcosa che non va- dice avvicinandosi a me, con passi lenti -mi tranquillizza e, quando rientro, sono molto più rilassato-

-quindi ora dovrei rilassarmi io?- chiedo non capendo dove voglia arrivare.

-bhe, non del tutto, ma almeno provaci- mi tira verso di lui, afferra la mia mano e la fa appoggiare sulla ringhiera -chiudi gli occhi e rilassati- e lo faccio.

Dylan

Davanti a me c'è una chioma scompigliata di ricci marroni che svolazzano con la leggera brezza che tira, con gli occhi chiusi, rivolta verso il panorama che il mio balcone mi permette di vedere.

-Sei più rilassata?- chiedo avvicinandomi e mettendomi dietro di lei con le braccia appoggiate ai suoi lati. Lei sembra non accorgersene subito, ma non appena apre gli occhi e si volta, capisce di trovarsi fra le mie braccia.

-si, solo un pochino- balbetta aprendo gli occhi beandomi del suo meraviglioso color verde smeraldo che sembra mesciarsi al grigio e con una nota di giallo. Sì, proprio così, giallo, io almeno ne riesco a vedere una lieve sfumatura vicino alla pupilla.
Non me ne rendo conto, giuro, e la mia mano si poggia lentamente sulla sua guancia pallida che, al mio contatto, diventa rossa. La guardo ancora e la squadro meglio, noto in lei una bellezza infinita: chi non la noterebbe? Victoria abbassa lo sguardo e tocca con il suo lungo dito la mia cicatrice, facendo riempire di brividi tutto il mio corpo; traccia sulla mia pelle la stessa linea che la mia cicatrice ha lasciato nel tempo: ne sembra completamente assorta, la guarda e la squadra.

-come te la sei procurata ?-mi domanda improvvisamente continuando ad osservarla.

-un incidente- le dico socchiudendo gli occhi.

-ha fatto male?- chiede incrociando i suoi occhi nei miei. Sembra di star davanti ad una bambina curiosa, con quelle sue due grandi gemme verdi e totalmente assorte dalla situazione.

-un pochino- riesco a sussurrarle cercando di contenermi, ma è più forte di me: mi avvicino a lei, il mio cuore palpita e per un attimo la vedo pietrificarsi; porto il mio braccio sinistro sul suo fianco, mantengo il destro sulla sua guancia. Non co cosa io stia facendo, non riesco a rendermene conto. Mi avvicino senza pensarci. Mi perdo in quel verde profondo e vivo, mi perdo nei suoi lunghi capelli che svolazzano leggeri sotto la piccola brezza che accarezza la nostra pelle, mi perdo osservando parte dei suoi capelli scuri schiantarsi contro la sua pelle bianca come il latte, mi perdo osservando le sue labbra e la sua forma così dolce e perfetta, mi perdo nel rosso delle sue guance che sembrano andare a fuoco sempre di più mano a mano che mi avvicini. Sembra tutto così perfetto.

-Dylan?- mi chiama facendomi tornare sulla terra. La sua mano si solleva e avvolge il mio polso con un tocco leggero accarezzandolo appena.

-Sì?- chiedo avvicinandomi ancora un pochino. Il suo profumo inonda le mie narici.

-Penso che dovrei andare- la sua voce è un sussurro. La sua mano si appoggia sul mio torace e mi sposta lentamente e senza nessuna cattiveria. Annuisco alla sua decisione e scrollo la testa: ma cosa diavolo mi prende?

-Sì, ti accompagno- mi allontano da lei definitivamente e, dopo aver sceso le scale, decido di accompagnarla fino casa, una casa dopo la mia.
Il breve tragitto viene accompagnato da un silenzio assordante e nella mia mente si sussegue tutto quello che è successo sul mio balcone. Ma come posso essere stato così stupido e debole? Non mi era mai successa una cosa del genere e, se ci ripenso, non riesco a dare una spiegazione logica.

La spiegazione c'è, ma non vuoi ammetterla.

Non mi piace, stai diventando oppressiva.

Ti ostini a mentire e nascondere i tuoi veri sentimenti, come vuoi andare avanti?

-G-grazie per il passaggio- la sua voce mi riporta, per l'ennesima volta nell'arco di poco più di un ora, sulla terra ferma.

-di nulla, quando vuoi- le dico sorridendo, i nostri occhi si incontrano per un istante e il mio corpo si riempie di brividi, il mio cuore batte veloce e le mani iniziano a sudare.
Ma che succede? Che dannazione mi prende?

-ci si vede- sulle sue labbra compare un piccolo sorriso e, dopo aver abbassato gli occhi e aperto la porta, entra chiudendola alle sue spalle.

Non mi riconosco. Non mi capisco. Deve essere colpa sua e del suo essere così tremendamente...lei.

Ieri sono riuscito a vedere il suo disegno, quello all'interno della busta di carta, solo per pochi istanti, ma è riuscito a rimanere impresso nella mia mente. Quella bambina, quella donna avvolta dall'oscurità, deve rappresentare qualcosa, qualcosa di molto importante per lei e di molto vicino a lei nonostante io non abbia certezze.
Ma di una cosa sono sicuro: dentro quel disegno c'è la sua storia e non sono mai stato così curioso di sapere cosa narri.
La voglio conoscere, voglio sapere tutto di lei e non so neanche il perché.
Sdraiato sul mio letto cerco di capire le mie emozioni, di dividerle, selezionarle; non so come definirci: non amici, non conoscenti, cosa siamo allora? Confusione nella mia mente, solo ed esclusivamente confusione.

Victoria, chi sei? Perché mi fai questo effetto?

Queste domande assillano la mia mente.
Mi osservo per un attimo allo specchio e dopo aver afferrato giubbotto, chiavi e casco decido di andare da Bea: ho bisogno di parlarle.

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