Capitolo 14

Victoria

Non appena entro in casa il mio cuore batte forte, tutto intorno a me gira e stringo la busta che ho nelle mani e decido di nasconderla in soffitta, non voglio che mio padre lo veda e soprattutto non voglio che veda mia madre. Non dico che ora sia felice, questo no, ma lo vedo tranquillo e sereno, in un certo senso, e non voglio renderlo triste e rovinargli questo momento con un mio stupido dipinto.
La soffitta, non sono ancora salita lassù, ma mi sono sempre promessa di farlo per poi rimandare sempre.
L'entrata si trova nel corridoio che collega le camere da letto e il bagno principale: una botola altissima che si abbassa con una specie di cordicella che riesco a raggiungere grazie alla sedia che ho nella mia stanza. Delle scale scendono in maniera silenziosa come se fossero insonorizzate e salgo vedendo in alto molta luce. Quello che mi trovo davanti è meraviglioso: non è una delle solite soffitte buie e scure, ha le pareti a spioventi e di un colore pallido, direi un grigio perla che rende lo spazio illuminato da una finestrella rotonda meravigliosamente ampio e accogliente. Non ci sono molte cose, solo qualche scatolone con, sicuramente, dei documenti inerenti al lavoro di mio padre e un cavallino a dondolo, quello che da piccola usavo sempre. Non sapevo che mio padre lo avesse portato e sorrido dolcemente per il suo gesto. Mi siedo a terra ed esco il mio quadro dalla busta per poterlo riguardare un'altra volta. Ho così tanto dolore dentro di me che penso di poter scoppiare entro pochi secondi.

La cosa che mi da fastidio di tutto questo è il fatto di non sapere il perché mia madre mi abbia abbandonato tempo fa. Odio non sapere le cose che mi riguardano, sono un tipo curioso anche se non lo do a vedere perché non voglio che gli altri siano curiosi di me e della mia storia. Ho bisogno di molte certezze, anche su cose banali, forse proprio perché durante la mia vita di certezze e ho avute ben poche, ho bisogno di constanti rassicurazioni e sono costantemente circondata dal silenzio che vorrei fosse possibile abbattere, non solo dalla musica, ma dalla voce amica di qualcuno che mi venga a salvare da questo profondo dolore. Ripenso al libro delle poesie e mi maledico: in un modo o nell'altro ho tutto quello che le è appartenuto. Tengo in un cassetto la lettera con la quale mi ha abbandonato e sotto la mia finestra le poesie. Ripongo il mio dipinto dentro la busta e la metto in un angolo della stanza luminosa e mi sdraio per terra perdendomi, per un attimo, fra il colore chiaro delle pareti.

Scorgo poi un altro scatolo in fondo, uno scatolo bianco con dei piccoli disegni oro che mi attrae molto e mi avvicino ad esso. Tiro su il coperchio e con mia grande sorpresa vi trovo al suo interno un abito bianco, ornato di pizzo e merletti, con la scollatura a cuore e una meravigliosa linea. Sotto di esso delle foto, mio padre e mia..madre.

È il suo abito da sposa. Prendo in mano quelle foto e le osservo meglio, era così differente dal suo periodo buio. Così bella. Aveva i miei stessi capelli marroni e ricci e i miei occhi verdi e grandi. Il fisico di una modella e un sorriso meraviglioso che però non riesco a ricordare. Mio padre invece sembra non essere cambiato per niente, a parte qualche ruga vicino agli occhi tutto il resto è identico a ora: mano nella mano, vicini e stretti l'un l'altro mi fanno pensare al passato, quando tutto andava ancora per il verso giusto.
Continuo a guardare le foto e ne trovo moltissime altre, con gli invitati, con i miei nonni e inoltre anche moltissime altre che, sicuramente, saranno state scattate in maniera spontanea senza avvertirli. I loro sorrisi sono troppo veri e, abbracciati, ridono insieme mentre ballano. Nello scatolone trovo anche altre cose, dei guanti di pizzo, sicuramente di mia madre, una rosa bianca risalente dal bouquet e una lettera con scritto su il nome di mio padre John Mason.

La lettera che mia madre gli scrisse poco prima di andarsene e che affiancò alla mia. Le mani iniziano a tremarmi e gli occhi mi si riempiono di lacrime che riesco a respingere. Non devo piangere.

-Victoria?- chiama qualcuno dal piano di sotto.

-Chi è?- chiedo ancora scossa.

-Tuo padre, ma dove sei?- sento dei passi sulle scale e mio padre spunta con la testa dalla fessura della soffitta.

-Ciao- dico.

-Che fai qui?- mi chiede avvicinandosi, poi silenzio.

-Niente- cerco di mettere tutto in ordine ma, prima che me ne possa rendere conto, le sue mani grandi si posano sulle mie piccoline in confronto alle sue. Le stesse mani che mi hanno stretto a lui quel giorno.

-Victoria, non nascondere i tuoi sentimenti- mi dice sedendosi accanto a me.

-Non li nascondo- dico pronta cercando di convincerlo.

-Non sembra- sorride lievemente.

-Sto cercando di non pensarci da tempo ma oggi..- mi abbraccia senza farmi finire la frase.

- Sai, sei talmente uguale a tua madre. Stessi occhi verdi, stessi capelli ribelli, stesso sorriso. All'inizio non riuscivo a starti accanto proprio per questa tua somiglianza, non riuscivo proprio- mi stinge a se- vedevo in te, lei: la donna che, con immenso amore, ho sposato. Io non so cosa mi fosse preso in quei momenti, era come se una parte di me se ne fosse andata, ma poi ho capito che avevo te. Avevo un'altra delle mie parti vitali al mio fianco e ricordo di essermi detto " non farti sfuggire pure lei, vivila perché poi crescerà" e così ho cercato di fare- mi stringe ancora e io resto immobile, non ho le forze di fare nessun gesto e nessun tipo di altro movimento- Non ti nascondo che ho avuto i miei problemi, come ti ho detto, assomigli così tanto a lei...non so se ti ricordi ma capitava che io ti chiamassi Deborah- lo sento ridere lievemente- Quante volte mi sono chiuso nel mio studio cercando di distrarmi con il lavoro, non riuscendoci. Quante volte ho pregato che tua madre ritornasse a casa e che tutta quella situazione fosse solo un brutto incubo. Quante volte avrei voluto vederti piangere, avrei voluto vederti sfogare, come d'altronde avrebbero fatto tutte le bimbe della tua età, invece, tu ti sei chiusa, e lo sei anche ora; hai sempre pensato che questa situazione fosse stata causata per colpa tua ed inoltre non avevo la forza di vederti così triste e giù di morale, non avevo la forza di vederti tutti i giorni con lo sguardo perso e con gli occhi lucidi, pieni di lacrime che, però, non lasciavi mai andare. Victoria,-mi allontana da lui in modo tale da vedermi negli occhi- sei la mia bambina, sei la mia vita, non essere triste e vivi la tua vita. Tua madre mi ha raccomandato di farti crescere nel migliore dei modi perché lei, da qualunque parte fosse stata, lo avrebbe saputo. Spero di averla accontentata.- mi sorride e mi stringe di nuovo a se per poi alzarsi pochi secondi dopo e uscire dalla soffitta dopo avermi detto – sono tornato a casa solo per vederti e dirti di persona che stasera tornerò molto tardi a casa e che domani dovrò partire molto presto per un viaggio di lavoro-
Io tremo, le mie mani tremano e il mio cuore trema. I miei occhi implorano di piangere, ma io non lo faccio, non voglio piangere, non voglio apparire una debole perché io sono forte, non solo per me, anche per mio padre. Sento la porta chiudersi e mi ritrovo da sola, di nuovo.

Dylan.

Ieri sera sono tornato a casa dagli allenamenti e dopo una bella doccia rinfrescante sono corso a letto senza neanche mangiare. Dal mio letto guardavo la finestra della camera di Victoria, si stava sistemando per andare a dormire e la luce gialla che fuoriusciva dalle tende metteva in risalto la sua figura mentre si toglieva la maglietta. Ho sognato di nuovo la sera dell'incidente, la mano di mia sorella protesa verso di me, la sua voce spezzata che mi chiama e il dolore che ho provato non appena il mio corpo ha incontrato l'asfalto. Mi sono svegliato grondante di sudore e con il cuore a mille, succede spesso, anzi, quasi sempre e ormai ci sono abituato. Adesso sto uscendo di casa per poter andare a scuola e con mia grande fortuna anche lei esce di casa proprio in quello stesso momento.
–Ehila! Buongiorno- la saluto.

-Ehi- mi chiama e si volta verso la casa di Leila, forse deve andare a scuola con lei.

-Ti posso accompagnare io se vuoi- dico e le porgo un casco da lontano.

-No, vengo con Leila- dice sorridendomi lievemente e riempiendomi di brividi.

-Victoria?- una voce femminile la richiama e io mi avvicino, è Leila. È ancora in pigiama e struccata, ha i capelli raccolti in una cosa stranissima , tutta spettinata in testa e ride come una disperata.

-Non mi è suonata la sveglia, sono ancora in pigiama e sono completamente struccata, vai con Dyaln, io penso che entro a seconda ora- dice ridendo.

-Oh..okay Leila, ma ti senti bene? Sembri una pazza, sembri...sbronza- dice Victoria e io mi metto a ridere con Leila.
Leila ubriaca? Victoria ancora non l'ha proprio vista. Si è ubriacata una sola volta in tutta la sua vita ed è stato uno spasso: cercava di mantenere l'equilibrio su di una gamba e quando cadeva per terra metteva il broncio. Poi ha vomitato da tutte le parti.

Che ricordi..

-Non hai idea di come sia lei da ubriaca- rido.

-in effetti non sono un bello spettacolo- ride Leila – ma è successo una sola volta eh-

-Okay, okay, io ho a che fare con dei pazzi- Victoria alza le braccia in segno di resa e si dirige verso la mia moto nera, mentre Leila mi rivolge un sorriso e un occhiolino. Che significa?

Che forse era tutto nei suoi piani? Sveglia! È mattina tesoro!!

Partiamo verso la scuola. Lei è silenziosa, non fiata una parola, il che è strano; non appena arriviamo a scuola sembra assente.

-stai bene?- le chiedo prendendola per un polso.

-si, tutto okay, solo un brutto sogno- dice seria e la lascio entrare nell'aula di matematica. Come le avevo preannunciato la professoressa ha sempre gli stessi vestiti dalla prima lezione che abbiamo frequentato e lei ne è rimasta completamente sconvolta.

-non mento mai - le dico serio.

-che schifo, non farmici pensare- mi ammonisce- non ha la lavatrice?- chiede a se stessa e io rido per la sua domanda.

Le lezioni passano in maniera spedita, Leila entra a seconda ora e si siede con il suo fidanzato all'ultimo banco, io infastidisco Dalila lanciandole delle palline di carta e Victoria non smette di ridere anche se a volte con il suo sguardo sembra ammonirmi. Arriva l'ora di pranzo e Dalila si avvicina a me- dobbiamo parlare- mi dice.

-Dimmi pure- le dico non appena la stanza si è svuotata.

-Vincent mi ha perdonata- dice tutto d'un fiato e mi sorride.

-sono felice per te, ma sai che lui non mi sembra adatto a te, vero?- chiedo.

-Si, lo so, ma non posso farci niente, ho fatto la puttana con te, ti ho baciato, l'ho preso in giro perché volevo farlo ingelosire e adesso...lui vuole tornare con me. Non perderò questa occasione- dice guardandomi seria.

-Vincent è un pezzo di merda e lo sai. Non si lascia la propria ragazza solo perché a mensa si siede con un amico- dico serio ricordando il motivo della loro litigata.

-Lo so, ma adesso è acqua passata- sembra convinta.

-e da quando c'è lui ti vesti in questo modo- la indico.

-come mi vesto? Pensavo ti piacesse- dice osservando il suo vestitino attillato giallo e i tacchi rossi intonati con la sua borsa.

-non mi sono mai piaciuti, sembri veramente quello che non sei, una puttana- dico guardandola con quasi una sorta di disprezzo.

-tu sai come sono realmente- dice guardandomi arrabbiata.

-certo, io che ti conosco sì, io che ti conosco da una vita so come sei, ma cosa può pensare chiunque ti guardi e che non ti conosce? – chiedo e i suoi occhi si riempiono di lacrime.

-non voglio piangere per le tue parole- dice lei puntandomi un dito in faccia.

- non voglio che tu pianga, voglio solo che tu capisca che non sei così- la guardo dalla testa ai piedi.

-Bene, ero venuta qui per ringraziarti di avermi sopportata in questi ultimi mesi e di avermi aiutato con questa faccenda di Vincent- dice ancora con gli occhi lucidi- ma vedo che tu non sei felice quanto me del ritorno del mio fidanzato, quindi facciamo una cosa veloce: grazie per avermi aiutato e scusa per il disturbo- dice velocemente –pensavo di poter contare su di te-

-ti ho mai fatto credere il contrario?- chiedo osservandola.

-me lo stai facendo capire adesso- i suoi occhi scendono lungo il mio corpo e, dopo essersi voltata, se ne va via.
Non so che dirle in verità, forse mi sono comportato male, adesso, nei suoi confronti, ma solo perché so com'è lei realmente, so com'era. Era una ragazza dolcissima che avrebbe fatto di tutto per vedere un sorriso sul volto di una persona a lei cara. Ma da quando è entrato Vincent nella sua vita tutto è cambiato, ha iniziato a vestirsi in questa maniera, mezza nuda e mezza vestita, ha iniziato a comportarsi male, a circondarsi di false amiche e ha lasciato dietro di se tutto quello che le apparteneva. Ammetto di aver giocato molto con lei, di averla baciata qualche volta di troppo e di averle fatto molti complimenti che, magari, le hanno fatto montare la testa. In parte è pure colpa mia che ho appoggiato queste cazzate.
Mi maledico anche se è tardi ormai.

Menomale che lo hai capito anche tu eh.

Esco anche io dalla stanza e mi dirigo verso la mensa, mi stanno aspettando i miei amici.

Victoria.

-io adesso ho matematica, di nuovo, e chimica- dice Leila e Leo annuisce serio.

-io chimica e basta- dice Leo dopo pochi secondi.

-io niente, vado a casa- dico e Dylan si siede accanto a me. Dove era finito?

-ma dov'eri?- chiede Leila.

-Dalila voleva parlarmi- dice serio e il mio cuore lo sento decelerare.

-e che ti ha detto?- chiede Leo.

-è tornata con Vincent- Dylan sembra arrabbiato e il mio stomaco entra in un piccolo subbuglio.

-Capisco- taglia corto Leila-che lezione hai ora?- chiede poi.

-io niente- risponde.

-anche Victoria ha il pomeriggio libero- dice velocemente e poi sorride.

-Allora ti accompagno io a casa, ho gli allenamenti alle sei...a meno che tu non voglia vederli pure oggi...- e sorride maliziosamente e io capisco il perché. Si sta ricordando di ieri e dell'imbarazzo che ho provato.

-Leo mi ha detto che sei andata ad un loro allenamento speciale- inizia Leila e io alzo gli occhi al cielo.

-non ci sono andata di mia spontanea volontà, mi ha trascinata questo stronzo di merda- punto il dito verso Dylan.

-Victoria, smettila di parlare come un maschio- mi ammonisce Leila.

-quando ci vuole, ci vuole- alzo il mento e tutti ridono. Sono arrivata da circa un mese, è passato velocissimo il tempo, mi sono legata parecchio a Leila, a Leo e anche a Dylan, ho conosciuto Zac, Matt e Taylor ieri e neanche a farlo a posta si stanno dirigendo verso il nostro tavolo tutti e tre insieme sotto gli occhi innamorati del centinaio di studentesse sedute ai tavoli. Mi sembra di scorgere anche Lory in lontananza, è seduta da sola in un tavolo, in un angolo e la vedo che ha gli occhi bassi. Che le prende?

-Ehi bellezze- ci saluta Zac e mi da un bacio sulla guancia.

-Ehi- dico un pochino infastidita ma dopo aver notato l'occhiataccia di Dylan cerco di tornare alla normalità.

Taylor e Matt si siedono e Zac dopo aver fregato la sedia ad un ragazzo del tavolo vicino lasciandolo cadere così a terra si siede pure.

-Zac sei una merda- lo insulta ridendo quello con il culo per terra.

-ti voglio bene anche io Chris- gli risponde e riprende a parlare con Taylor e Matt come se nulla fosse. Chris si alza da terra e dopo avergli dato uno schiaffo scherzoso sul collo mi guarda e mi sorride. È alto e ha dei grandi occhi chiari, non azzurri, e neanche verdi, è un colore che non saprei descrivervi, è uno dei giocatori che c'era ieri in palestra e che però non ho avuto modo di conoscere, il che da una grandissima parte, è una cosa meravigliosa per me, mi sono sicuramente evitata una figuraccia assurda.

Dylan mette un braccio dietro il mio schienale non appena vede che anche io gli sorrido lui pizzica leggermente il mio braccio. E dentro di me i giochi d'artificio si accendono e il mio corpo sembra andare in fibrillazione.

Chissà come mai.

-piacere, io sono Chris Walker- mi saluta e mi porge la mano.

-Io sono Victoria-

- eri tu quella ragazza che ieri era in palestra assieme a Dylan?-

-si, era lei - dice Dylan a posto mio –e si, era insieme a me- si guardano in cagnesco per un paio di secondi che sembrano interminabili.

-ragazzi? Tutto okay?- chiede Zac. Solo ora mi accorgo che tutti erano in silenzio e che osservavamo la scena come se fossi al cinema. Mancavano solo i pop corn e una lotta corpo a corpo, magari un pò di sangue che schizzava da tutte le parti e poi direi tutto okay.

SEI MACABRA.

-tutto okay- sorride Chris –ciao a tutti, è stato un piacere conoscerti-dice rivolto a me ed io sorrido leggermente alla sua affermazione.

La campanella suona e io e Dylan ci allontaniamo dal tavolo per andare alla moto dopo averli salutati. Zac , Taylor e Matt mi hanno abbracciato, Leo mi ha salutato con un bacio sulla guancia mentre Leila mi ha salutato con un caloroso abbraccio e -un ci sentiamo al telefono-.

Camminiamo in silenzio, l'uno vicino all'altro, non proferiamo parola, non ci calcoliamo, solo quando arriviamo alla moto c'è uno scambio di parole.

-Ti ha dato fastidio che io ti abbia portato agli allenamenti ieri?- chiede.

-inizialmente si, perché sapevo che lo avessi fatto apposta ma sapendo come siamo io e te mi sono fatta una risata- dico guardandolo.

-perché, come siamo io e te?- si avvicina un poco a me.

-Bhe siamo dispettosi, ci diamo fastidio a vicenda- dico non capendo dove voglia arrivare.

-noi siamo dispettosi?- chiede ridendo.

-non so come descriverci, è stata la prima parola che mi è passata per la testa, dammi del tempo e te lo dirò- dico seccata.

-okay, okay, monta su- e partiamo.

Dyaln

Io e lei siamo dispettosi. Mi ero per un attimo fermato per sapere cosa intendesse per "come siamo noi" e per lei siamo dispettosi. Non posso evitare di ridere, le sue affermazioni spontanee. Sono particolari, sembrano quelle di una bimba, chissà come doveva essere da piccola.

Parcheggio nel mio vialetto di casa e scendiamo dalla moto.

-grazie per il passaggio- dice.

-di nulla, vuoi che ti accompagni fino a casa?- chiedo. So che non si dovrebbe chiedere, ma lo faccio per allungare il tempo.

E CHISSÀ COME MAI!!

-No, tutto okay- e mi sorride lievemente.

-ci si ved..-stavo per finire di parlare che la porta di casa mia si apre ed esce mia sorella minore, Cloe affiancata da Billy, il mio cane che adesso lei reputa il suo.

-Dylan!- urla e si butta addosso a me. È minuscola, nonostante abbia sei anni è molto più bassa dei suoi compagni e in proporzione anche molto più leggera. Vedo Victoria abbassarsi e accarezzare il mio cane e non posso fare a meno di sorridere. I suoi occhi adesso sono concentrati su Billy, sul suo viso è nato un sorrisetto dolce e lo accarezza dolcemente con la mano destra.

-chi è lei?- mi chiede Clarissa facendomi tornare in me.

- Una mia compagna di classe - dico sorridendole.

-è molto bella- dice e Victoria alza lo sguardo sorridendole mentre io non so cosa poter rispondere a quella sua affermazione. Di certo non potrei, né ora né mai negarlo ma preferisco stare in silenzio.

-Grazie, io sono Victoria e tu chi sei?- chiede porgendole la mano.

-Clarissa- le prende la mano e poi mette il suo visino vicino al mio collo: si è vergognata. Lo fa sempre.

-non ti vergognare, mi piace moltissimo il tuo nome- la consola Victoria.

-mi metti giù?- adesso mia sorella si rivolge a me e l'accontento. Una volta a terra si avvicina a Victoria e la prende per mano tirandola leggermente verso la porta di casa.

-vuoi che venga con te?- chiede Victoria guardandola.

-si, perfavore- le sorride mia sorella e le vedo sparire in casa. Mia sorella è sempre stata molto cordiale e nonostante la sua timidezza riesce a legare molto con le persone. Una volta mi ha detto che lei si avvicina alle persone che le sembrano simpatiche e forti. Deve aver visto in Victoria proprio questo, oltre che alla simpatia, la forza.

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