La vita continua
CAPITOLO 4
Lucien divenne il tutore di Jason. Il notaio registrò il documento a fine gennaio.
Nonostante Alex e la moglie avessero provato in tutti i modi a contestarlo, quando scoprirono che il Maggiore e la consorte avevano depositato la copia esatta da un loro legale di fiducia, non poterono fare altro che arrendersi.
Lo stesso giorno venne letto il testamento, di fronte a tutti i congiunti.
Gli unici beni erano la casa e pochi risparmi. Purtroppo, tra le volontà del Maggiore c'era la richiesta di coprire tutti i debiti di Alex.
Sembrava volesse dare una seconda possibilità al genero, confidando che avrebbe apprezzato il gesto e cambiato le sue recenti, brutte abitudini.
Allegate alle volontà testamentarie, c'erano tre lettere, una per ogni figlio.
Quelle delle figlie erano, naturalmente, destinate anche ai mariti.
Il notaio informò gli eredi: per volontà del Maggiore Archer, avrebbero dovuto leggerle in quel momento. Poi, se l'avessero ritenuto necessario, condividerne il contenuto.
Lucien fu il primo ad aprire la missiva. La tenne in modo che anche la moglie potesse leggerla. Joy si asciugò gli occhi mentre Lucien l'abbracciava. Con uno sguardo d'intesa, il marito cominciò a leggere:
"Miei cari Lucien e Joy,
mi ci è voluto molto coraggio per scrivere queste righe. Mi sono sempre ritenuto impavido ma, mai come oggi, il dubbio mi assale. Non so se sto prendendo la decisione giusta, eppure ritengo sia l'unica soluzione onorevole, per la dignità della mia famiglia. So che farete un buon lavoro nel guidare Jason e spero che tu, Lucien, lo istruisca aiutandolo a conseguire i tuoi stessi risultati, quelli che permetteranno alla mia dolce Joy di avere una vita agiata. Dovrete vendere la casa, per sistemare i problemi di Alex, ma credo ne varrà la pena. Lucien, quel giorno mi dicesti che ti avevo ridato la vita, sono certo che comprenderai, quindi, perché ho deciso di fare lo stesso con Alex.
Con immensa gratitudine,
William Archer."
Nel silenzio che seguì, Jason notò la tristezza, ma anche l'orgoglio di Lucien e Joy.
Allo stesso tempo, vide la rabbia e l'imbarazzo di Alex e Felicity. Forse, lei non era al corrente dei problemi del marito.
Jason, dal canto suo, non riusciva a capire le proprie emozioni. L'unica cosa che capiva era che non aveva più una casa.
"Lucien?" chiese insicuro, "dove vivrò?"
Il cognato si avvicinò e gli mise un braccio intorno alle spalle.
"Da me e Joy. Starai da noi finché non avrai un posto tutto tuo e credimi succederà, ti aiuterò io."
Jason annuì.
"Vuoi condividere la tua lettera?" continuò il cognato.
Jason diede una sbirciatina poi assentì.
"Caro Jason,
non ti vedo da anni e questo mi rattrista. Voglio tu sappia, con assoluta certezza, che sono sempre stato fiero di te.
Mr Hosborn mi scrive costantemente, elogiando i tuoi progressi, esaltando la tua intelligenza e l'empatia coi tuoi compagni. Non avrei potuto desiderare un figlio migliore."
Jason leggeva quelle parole come se fossero state parte di un testo scolastico. Non identificava quell'uomo che scriveva tante lodi. Non era suo padre quello, o almeno, non come lo aveva conosciuto. Continuò la lettura, cercando di nascondere i suoi pensieri. Era irrispettoso ragionare in quel modo, mentre leggeva parole così gratificanti.
"Ti chiedo perdono, ragazzo mio, per non essere riuscito a lasciarti nulla, ma voglio che tu comprenda le mie decisioni. Siete i miei tesori più grandi, dopo vostra madre naturalmente."
A Joy sfuggì una risatina.
Jason continuò:
"Non sarei in pace, sapendo che anche solo uno dei miei figli soffre. Ho bisogno che tu capisca: il mio desiderio ultimo è di fare il possibile per garantire a ognuno di voi il meglio. Avrei voluto un po' più di tempo da passare insieme per conoscerci meglio, ma forse ci conosciamo abbastanza. Con affetto.
Tuo Padre."
Non un suono si udiva nello studio del notaio, solo il ticchettio di un orologio che doveva essere nascosto da qualche parte.
Tutti spostarono lo sguardo su Alex e Felicity.
Alex prese la lettera aperta, dalle mani della moglie. La ripiegò e la infilò in tasca. I denti stretti e la mascella contratta, rivelavano il suo disappunto. Si sistemò la giacca dell'uniforme, indossata per dimostrare la sua posizione nell'esercito, spolverando con la mano la spalla sinistra, dov'erano applicati i nuovi gradi.
"Bene!" disse con arroganza, alzandosi.
"Se questo è tutto, noi ce ne andiamo. Partiremo per Bruxelles tra qualche settimana, mi auguro che per allora le volontà del Maggiore vengano rispettate."
Si diresse alla porta senza aspettare la moglie né salutare nessuno.
Felicity sembrava imbarazzata e offesa. Si apprestò a seguire il marito, ma prima di uscire guardò il notaio.
"Grazie, buona giornata."
Beh, le buone maniere, almeno lei, le conosceva.
Jason era stupito dal loro comportamento. Lucien, notandolo, cercò di persuaderlo:
"Non è facile neanche per loro, Jason. Alex è molto orgoglioso e si vergogna dei suoi errori.
Felicity, probabilmente, ha scoperto solo oggi che il marito ha gravi difficoltà. È molto da digerire. Tuo padre ha fatto tutto ciò che poteva per tutti noi. Forse oggi, queste decisioni ti sembreranno sbagliate, ma un giorno comprenderai le sue ragioni".
Gli arruffò i capelli sorridendo. Se ne andarono.
Direzione Eton.
Lucien accompagnò personalmente Jason, parlò con ogni insegnante, passò quasi un'ora col rettore, Mr Hosborn. Alla fine, prima di partire, portò Jason e alcuni amici, tra cui Clifford, in una locanda dove offrì loro un pranzo veloce e un boccale di birra.
Quell'anno, iniziato nel peggiore dei modi, si trasformò ben presto in un periodo decisamente felice per Jason.
Tornava spesso a quella che considerava ora la sua casa, a Londra, da Joy e Lucien. Era presente quando a fine febbraio nacque Annie.
Jason si ritrovò a dover distrarre il cognato oppresso dal terrore. Lo sfidò a una partita a scacchi ma Lucien declinò. Lo spronò a parlare degli affari ai quali si dedicava, ma neanche questo funzionò. Cominciò allora a elargire complimenti sulla casa, che aveva acquistato solo pochi mesi prima, e con stupore si accorse che questo sembrava funzionare.
L'abitazione non era molto più grande di quella in cui Jason era cresciuto, ma aveva tre camere in più. L'ingresso era ampio con un pavimento a scacchi bianchi e neri. Sulla destra c'era una sala da pranzo che poteva contenere una trentina di persone, sulla sinistra una saletta più intima in cui la famiglia si riuniva per colazione, pranzo e cena.
La porta successiva conduceva a uno studio piccolo, ma bene organizzato. Di fronte si trovava un salottino prettamente femminile. Lucien si perse nel racconto di come Joy avesse amato arredarlo, tenendo i mobili già presenti, personalizzandoli con nuove decorazioni e aggiungendo cuscini e tendaggi scelti con cura. Gli aveva assicurato che non sarebbe sembrato più lo stesso e Lucien doveva ammettere che aveva ragione. Erano storie che Jason conosceva a memoria, ma le ascoltò con interesse, sollevato di vedere Lucien meno agitato. Mentre raccontava al giovane con quanto amore sua sorella si dedicava alla loro dimora, che si ostinava a chiamare" nido", Mandy, la figlia della cuoca, entrò correndo e ansimando.
La ragazzina, con una mano sul petto, prese fiato e urlò: "È natooo".
Poi iniziò a saltellare come solo i bambini di dieci anni sanno fare. Lucien rimase bloccato per un secondo, quindi partì come una furia su per le scale.
Jason sorrise e ringraziò Mandy, prendendo uno zuccherino alla menta dal vassoio che Joy teneva sul tavolino da tè.
Porgendolo alla bambina, le fece l'occhiolino, ne prese uno anche per sé e, fingendo un brindisi tra i due zuccherini, sorrise.
"Dobbiamo festeggiare."
La ragazzina cominciò a saltellare di nuovo, ringraziò, mise in bocca lo zuccherino e uscì .
Jason salì le scale lentamente, per dare alla sorella e al marito un po' di privacy.
Quando si avvicinò alla loro camera, vide la levatrice portare un fagottino a Joy.
La sorella riposava tra i guanciali, aveva l'aria stanca, ma felice mentre cullava il bambino. Lucien sembrava in adorazione.
"Joy, non ci sono parole che possano farti capire quanto ti amo, quanto amo entrambe."
La voce di Lucien s'incrinò e Jason era pronto a scommettere che il cognato si stesse asciugando una lacrima.
"Oh, Lucien, lo capisco perfettamente, perché è lo stesso per me. Vuoi prendere in braccio tua figlia? Guardala, non è bellissima?"
Così dicendo lo invitò ad allungare le braccia. Quando la piccola si adagiò sul petto del padre, questo emise un sospiro colmo d'amore .
Fu allora che Jason entrò. "È dunque una femmina?" chiese alla sorella.
"Eccoti Jason, finalmente! Sì, caro, è una femminuccia. Avvicinati, non vuoi conoscere tua nipote?"
Per un momento Jason non capì, poi con un sorriso esclamò:
"Cavoli, sono diventato zio!"
Risero tutti a quella esclamazione di stupore. Per la prima volta, Jason provò la gioia di avere una famiglia.
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Quell'estate, non tornò a casa dalla sorella e il cognato. Dopo aver ricevuto il permesso, passò le vacanze da Clifford nella sua casa di campagna.
Era già stato ospite dei suoi compagni in altre occasioni, ma mai da lui.
I suoi amici erano quasi tutti nobili, ma tra questi Cliff era quello con il grado più alto.
Unico maschio ed erede di un conte, l'amico avrebbe potuto darsi molte arie.
Era invece un tipo socievole e simpatico, sempre pronto allo scherzo e al divertimento. Avevano tutti la stessa età ed erano pronti a passare un'estate spensierata.
Avevano studiato e conseguito grandi vittorie. Erano un bel gruppo affiatato.
In tre avevano accettato l'invito di Cliff.
Il viaggio in carrozza era stato esilarante.
Marcus McLear era figlio di un mercante di seta esageratamente ricco, mentre Oliver St Jhon era l'ultimo di cinque figli maschi di un visconte.
Nonostante Jason e Marcus non fossero nobili, venivano trattati alla pari.
Arrivati, i ragazzi rimasero sconvolti.
Non era una casa ma un castello!
Jason e Oliver presero Cliff a pacche sulle spalle.
"Volevi farci una sorpresa? Andremo a caccia di fantasmi?"
Chiese Marcus.
"Cliff, dimmi che ci sono delle segrete da esplorare!" lo provocò Oliver.
"Dai ragazzi, smettetela! E tu, capitano, rimettili in riga. È compito tuo tenere calma la squadra".
Jason sapeva che parlava con lui, era infatti il capitano della squadra di cricket, ma lì non erano a scuola.
"Ehi, sono in vacanza, qui sono solo un amico!"
"No davvero, il capitano resta capitano ovunque. Vero Oliver? Ho ragione o no Marcus?"
Cliff non attese la risposta e si diresse verso il portone. Dall'ingresso arrivarono il suono di tacchi che battevano sul pavimento e risatine squillanti. "Dannazione!" esclamò Cliff , "Ci sono le mie sorelle".
Non aveva ancora finito di parlare che un paio di ragazze, una bionda e una rossa , arrivarono correndo. Quando videro chi c'era sulla soglia, emisero uno strillo:
"Cliff sei arrivato!" parlarono in coro e si lanciarono sul fratello.
Marcus, Oliver e Jason non riuscirono a trattenersi e cominciarono a ridere, mentre il povero Cliff veniva coperto da baci schioccanti su tutta la faccia. Il poverino era talmente rosso che sembrava stesse per esplodere.
"Adesso basta! Lasciatemi in pace". Allontanò le sorelle che sorridevano soddisfatte per averlo messo in imbarazzo.
"Questo per farti capire che non sei l'unico a poter giocare sporco." disse la biondina.
Quindi era una vendetta pensò Jason.
"Allora" chiese maliziosa, "non ci presenti i tuoi amici?"
"Preferirei non farlo. Ma, presumo che resterete qui per qualche tempo, perciò non ho scelta. Prue, Lotti, questi sono: Marcus, Oliver e Jason."
Le ragazze si girarono verso gli amici di Cliff, uscendo dall'ombra del portone e si avvicinarono. Prue, la bionda, era più grande di loro di almeno un paio d'anni. Era alta e snella con grandi occhi azzurri, mentre Lotti era più piccola, poteva avere quattordici anni, capelli rossi e tantissime lentiggini. Era la copia di Cliff al femminile. Dopo le presentazioni entrarono nel castello e Cliff li accompagnò alle loro stanze.
Jason si sentiva dentro ad un romanzo gotico. Le pareti grezze erano coperte da grandi arazzi tarlati. Lungo il buio corridoio c'erano armature impolverate.
Le loro camere erano tutte sullo stesso lato dell'edificio, disposte una di fianco all'altra. Prima di entrare i quattro amici si guardarono in faccia, per poi scoppiare a ridere.
"Ci sarà da divertirsi!" scherzò Marcus.
"Sì, se non moriamo prima" ribattè Oliver.
Poi ci fu un coro di "A dopo" e ognuno entrò nella propria stanza. Jason notò subito che era stata pulita e arieggiata, ma risultava parecchio trasandata. Il letto a baldacchino aveva lenzuola pulite, ovviamente: ma i tendaggi erano rovinati. L'odore della polvere persisteva nell'aria. Non capiva se il castello fosse stato deliberatamente lasciato in quello stato per creare una certa suggestione o se fosse davvero in rovina.
Beh, era un'avventura e poi avrebbe avuto qualcosa di divertente da raccontare a Lucien.
Era ormai sera, quando uscirono tutti dalle stanze. Come per un tacito accordo, quando la prima porta si aprì, lo fecero anche le altre. Si sorrisero, seguendo Cliff lungo il corridoio, fino alle scale.
"E poi dite che non siamo una squadra affiatata!" esclamò Marcus.
"Siamo usciti tutti contemporaneamente dalle nostre camere e ora seguiamo Cliff, in fila indiana come anatroccoli silenziosi."
Scoppiarono a ridere e cominciarono a spingersi. Quando arrivarono alla sala da pranzo, non ridevano più.
I genitori di Cliff sedevano composti ai lati opposti della lunghissima tavola, mentre le sorelle sedevano a due posti di distanza sul lato destro. Cliff si schiarì la voce:
"Madre... padre, vi presento i miei amici".
Dopo le presentazioni, presero posto a tavola.
Jason finì tra Prue e Marcus.
La ragazza lo guardava in modo provocante.
"Allora tu sei Jason, il famoso capitano?".
"Si, sono Jason e sono il capitano della squadra di cricket, ma non sono famoso."
Il ragazzo prese il cucchiaio e assaggiò la zuppa.
"Sei modesto o cerchi complimenti?"
"Non ho bisogno di complimenti e non sono modesto" Jason riprese a mangiare poi, guardandola, aggiunse "Sei sempre cosi irritante?"
Prue sorrise civettando. "Forse" sospirò, portandosi il cucchiaio alle labbra mentre gli rivolgeva uno sguardo malizioso.
Jason era un ragazzo in preda agli ormoni e non gli sfuggì la sottile forma di seduzione messa in atto da Prue. Doveva comunque ricordarsi che era la figlia di un conte e, soprattutto, sorella del suo più caro amico.
"Non sei come t'immaginavo" continuò la ragazza.
"Ah no? E come mi immaginavi?"
"Beh vediamo, visto che hai solo sedici anni come mio fratello, t'immaginavo più piccolo, ma non c'è niente di piccolo in te!"
Jason aveva conosciuto parecchie ragazze ma nessuna così sfacciata. Non sapendo come rispondere, continuò a mangiare.
"Ti ho sconvolto, capitano?" Il sussurro di Prue, vicino all'orecchio gli fece venire i brividi e una sconveniente erezione. Il desiderio era un concetto che conosceva, il sesso l'aveva sperimentato più volte con la cameriera Jane, ma quella seduzione era una novità per lui. Prue era molto bella, anche i suoi amici avevano fatto apprezzamenti sulla sorella maggiore di Cliff e lui si sentiva lusingato da quelle attenzioni.
I giorni seguenti furono più o meno uguali.
Colazione, visite al castello, partite a cricket e agguati da parte di Prue.
Jason doveva ammettere che era divertente vedersela apparire alle spalle mentre cercava di coprirgli gli occhi.
"Non riuscirò mai a farlo, sei esageratamente alto!"
O essere attirato in un angolo buio per dargli un casto bacio sulla guancia. O ancora, inseguirla dopo che lei gli aveva rubato la palla da cricket.
Si sentiva felice e spensierato e forse si stava innamorando.
Gli amici erano gelosi di tutte le attenzioni che riceveva da Prue, lei aveva diciott'anni!
"Vorrei sapere perché le ragazze vogliono sempre lui!" si lamentava Marcus.
"Già, anche a Eton non battiamo chiodo quando è nei paraggi" Confermò Oliver.
"Ragazzi guardate che sono qui!"
Jason sorrise, girandosi verso di loro.
"Sarebbe impossibile non vederti, capitano. Ci spieghi come diavolo fai a farle impazzire tutte?"
Non era la prima volta che Marcus glielo chiedeva ma Jason non sapeva che dire.
"Sinceramente, non lo so."
Qualche settimana dopo, Prue lasciò un bigliettino sotto la porta della sua stanza.
Lo invitava a raggiungerla dietro il capanno di caccia. Jason si preparò con più attenzione del solito, poi raggiunse il capanno, stando attento che nessuno lo vedesse. Prue era vicino a un albero caduto, stava sfogliando una margherita. Quando lo vide gli corse incontro e si gettò tra le sue braccia.
"Jason" sospirò baciandogli una guancia, "sono felice che tu sia venuto, avevo voglia di stare un po' con te, ma non siamo mai soli."
Jason la stava stringendo tra le braccia e la sensazione gli piaceva. Non l'aveva mai fatto prima. "Lo sai anche tu che è alquanto sconveniente per una signorina, di buona famiglia, stare sola con un ragazzo. Se ci scoprissero, la tua reputazione sarebbe rovinata, Prue."
"Oppure dovresti sposarmi." disse lei, accarezzandogli la guancia.
Jason la guardò negli occhi:
"Che stai cercando di dire Prue?"
"Jason, siamo un coppia bellissima, sto bene con te, siamo perfetti insieme, non lo pensi anche tu? E credo di essere innamorata di te."
Jason guardava quegli occhi azzurri che gli avevano dato la caccia per settimane e non riuscì a nascondere il piacere che quelle parole gli procuravano.
"Sì, credo che siamo una coppia perfetta, Prue."
Fu premiato con un altro bacio sulla guancia.
"Bene, allora siamo fidanzati. Dovrai parlare con papà ma vedrai che non farà obbiezioni."
"Prue, ho sedici anni!"
"Lo so sciocchino, non ho mica detto che dobbiamo sposarci ora. Tu devi finire gli studi e io devo debuttare, ma possiamo scambiarci la promessa che un giorno ci sposeremo! Forse non mi vuoi?"
Prue mise il broncio e girò la testa dall'altro lato come una principessa offesa.
Jason sorrise di quell'atteggiamento infantile, le girò il viso verso il suo, poi le sfiorò la tempia con le labbra.
"Va bene principessa, facciamo questa promessa." Prue gli buttò le braccia al collo, stringendolo forte.
Il padre di Prue diede la sua benedizione, a condizione che non rivelassero a nessuno del fidanzamento fino a che Jason non avesse concluso gli studi. Era stato più facile di quanto si aspettasse.
Il conte era un uomo senza polso, sembrava assecondare ogni desiderio della figlia, ma Jason non sapeva come funzionava tra i nobili.
Prue aveva scelto lui e il conte lo accettava. In effetti era stata la ragazza a gestire tutta la situazione, come sempre.
E cosi, Jason si ritrovò fidanzato.
Tornati a Eton, non fu possibile tenere segreto il fidanzamento. Oliver e Marcus erano delle vere pettegole. Lo raccontarono ai compagni di squadra che lo raccontarono ai compagni di classe che lo raccontarono ai familiari. Così, tutti appresero che Jason era fidanzato.
Lucien venne a vedere la partita e fu sorpreso dalle voci che circolavano su una bellissima biondina, figlia di un conte, fidanzata col capitano.
La squadra di Jason vinse, i ragazzi acclamarono il capitano e Lucien riuscì a stento a raggiungere il cognato.
Vedendolo, Jason sorrise e l'abbracciò. Lucien era felice di aver insegnato a un altro membro della famiglia Archer, che gli abbracci facevano bene, quindi ricambiò battendo sulle spalle larghe del cognato.
"Jason, c'è qualcosa di cui devi parlarmi?"
Il ragazzo sembrava stupito, cosi Lucien lo aiutò.
"Qualcosa tipo: un fidanzamento con la figlia di un conte?"
Jason arrossì e cercò di spiegare la situazione ma, proprio in quel momento, Prue si gettò fra le sue braccia.
"Sei stato grande, capitano, sono molto fiera di te."
Jason vide Lucien alzare un sopracciglio e si staccò da Prue.
"Lucien posso presentarti lady Pruedence Clifford?"
Lucien si chinò sulla mano della ragazza.
"È un onore milady."
"Prue, questo è mio cognato nonché mio tutore, Lucien Kerr."
"Mr Kerr finalmente ci conosciamo, Jason mi ha parlato tanto di voi, vi ammira molto."
Jason non aveva mai parlato a Prue di Lucien o almeno non molto, forse qualche accenno, ma Prue era fatta così, le piaceva lusingare le persone.
"Devo andarmi a cambiare, ci vediamo alla locanda ?" chiese Jason a Lucien che rispose con un gesto affermativo del capo, poi si rivolse a Prue:
"Grazie per essere venuta, porta i miei saluti alla famiglia."
Sapeva di essere stato troppo formale ma si sentiva in imbarazzo.
Erano passati ormai tre mesi dalla promessa e Jason non era riuscito a parlarne alla sua famiglia.
Ogni volta si diceva che doveva mantenere il segreto, come richiesto dal conte, ma sapeva che in fondo aveva solo paura del giudizio di Lucien.
Prue prese il braccio del ragazzo per attirare la sua attenzione.
"Oh, Jason, non te l'ha detto Cliff ? Papà ha degli affari da sbrigare qui vicino perciò alloggeremo alla locanda per qualche giorno."
Terminò con un sorriso carico di sottintesi.
Lucien si schiarì la gola e s'incamminò verso la locanda. Jason guardò la sua fidanzata.
"Prue, mi dispiace ma oggi non posso dedicarti le attenzioni che meriti. Devo passare un po' di tempo con Lucien, non lo vedo da tanto, mi capisci vero principessa?"
Prue mise il broncio ma poi scrollò le spalle.
"Tanto ci perdi tu! Ci sono molti giovanotti che desiderano la mia attenzione" sostenne, mentre già si dirigeva verso un gruppo di giovani venuti a vedere la partita. Era la verità, ovunque andasse i ragazzi la seguivano come cagnolini.
Jason sorrise del modo un po' infantile con cui Prue reagiva, lo trovava affascinante. E poi era Prue quella gelosa, più di una volta l'aveva ripreso per aver ricambiato qualche sorriso.
Per questo lo teneva sulle spine, mai un bacio sulle labbra. Gli diceva che l'attesa alimentava la passione. A volte gli sembrava di non desiderare poi tanto i suoi baci, ma forse era l'orgoglio a parlare. La guardò ridere con alcune giovani lady e indicarlo. Si vantava di essere la sua fidanzata. Jason la salutò con la mano, vide alcune ragazze arrossire e Prue rimproverarle. Girò loro le spalle e andò a cambiarsi.
Entrando con gli amici alla locanda, Jason individuò subito Lucien. Tutto il gruppo si sedette intorno al cognato e come sempre ci furono cori, brindisi e battute salaci. Quando l'esaltazione diminuì, Lucien invitò Jason in un angolo appartato.
"Jason, vuoi spiegarmi che cosa sta succedendo?"
Incoraggiato dalla birra che gli scorreva dentro, Jason raccontò ogni cosa.
Aspettò trepidante il giudizio del cognato che non arrivò.
Lucien si passò le mani tra i capelli.
"Sei molto giovane, Jason, la ami?"
Il ragazzo ci pensò un attimo, l'amava? Credeva di sì. "Sì, io... sono innamorato, credo. Voglio dire, sto bene con lei, mi fa ridere e provo davvero emozioni forti."
Il rossore gli coprì gli zigomi. Lucien venne in suo aiuto.
"Jason il desiderio è normale, che sia amore o attrazione non te ne devi vergognare. Come dicevo, sei giovane e devi ancora provare la passione, per questo mi preoccupa che tu confonda il desiderio con l'amore".
Jason ora, era ancora più imbarazzato ma confessò: "Lucien io conosco la passione, l'ho conosciuta l'anno scorso per la prima volta, ma poi ce ne sono state altre. Voglio dire, non una sola volta, almeno cinque o sei."
Forse aveva bevuto troppa birra.
"Mi sto rendendo ridicolo. Vero Lucien?"
Le parole gli sgusciavano via dalle labbra, mentre cercava di nascondere la faccia. Lucien sorrise al ragazzo.
"No, Jason, niente di quello che dici ti rende ridicolo, sono felice che ti stia confidando con me. Devo dire che sei stato piuttosto precoce, io sono stato con una donna quando avevo diciassette anni per questo pensavo che tu.. sì insomma hai capito. Quindi mi stai dicendo che quello che provi per questa signorina non è solo desiderio?"
"Esatto, io la desidero certo, cioè lei mi fa... si, insomma, la vorrei ecco. Ma non è solo quello, anzi quello passa in secondo piano quando stiamo insieme. Mi piace parlare con lei, anche se il più delle volte lei parla e io ascolto, mi piace il suo modo di giocare sempre e scherzare su tutto. E poi, dice che insieme siamo bellissimi."
Lucien lo guardò sorridendo, aveva l'aspetto di un uomo ma era comunque un ragazzo. Non credeva fosse davvero innamorato, sembrava più infatuato. Ma criticarlo o contrastarlo, sarebbe stato controproducente.
"Senti Jason, non credo tu sia troppo ubriaco per capire quello che sto per dirti. Voglio che tu faccia attenzione, non stiamo parlando di una ragazza consenziente con esperienza, stiamo parlando di una gentildonna, anche se con una famiglia alquanto originale. Non farti guidare dal desiderio, mantieni la disciplina che sappiamo entrambi possiedi e, se sarai dello stesso parere tra un paio d'anni, allora avrai la mia benedizione e il mio aiuto!"
cosi dicendo, Lucien porse la mano e Jason la strinse.
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