Trovato
Hai gli occhi chiusi.
O almeno così credi, dal momento che attorno a te c'è solo buio.
È un buio intenso, vasto, abissale. E ti circonda da ogni lato. Non è il solito buio a cui sei abituato. Questo è un buio vero, e ti sembra di starci dentro per intero, mani e piedi.
Ci sei in piedi.
Come se stessi camminando sul fondo dell'oceano.
E in men che non si dica, hai l'assoluta certezza che sia questa l'autentica oscurità.
Ma proprio come se avessi gli occhi chiusi, o come se stessi guardando i riflessi ricamati dal sole sulla superficie del mare, vedi rivoli di luce frammentare le tenebre, simili a infiniti affluenti di uno stesso, sconosciuto fiume. Si rincorrono, si spandono, e poi esplodono, come fiori, come fuochi d'artificio, solo per venire risucchiati nuovamente da questo buio concreto come inchiostro. È come guardare un video al contrario.
Provi a muovere le mani, così, per curiosità. Per vedere se il pensiero riesce ancora ad arrivare così lontano, fino alle appendici del tuo corpo.
E scopri che non ce la fai.
Nella tua testa, le dita danzano -delicate, impalpabili, come mantidi religiose su petali di rose- su qualunque cosa stiano toccando.
Ma l'immagine che hai non combacia con la realtà.
La verità è che le tue mani non rispondono.
Restano ferme, immobili come sassi.
E sono fredde, fredde come uova deposte e poi abbandonate.
Dure come marmo e fragili come vetro.
Distanti, come piume al vento.
Sai che sotto di loro c'è qualcosa, qualcosa di morbido, ma lo senti come in sogno. È una percezione così fuggevole, tremolante, che arrivi a pensare sia solo frutto della tua immaginazione.
E infatti eccola che svanisce. Sfuma, si disgrega in miriadi di scintille, che prendono il volo come sciami di piccole lucciole.
Non ne è rimasto più niente.
Tenti anche di muovere le gambe, pur sapendo che sarà del tutto inutile.
E così è. Perché è come essere affondati nel cemento fino alle ginocchia.
Se questo è davvero l'oceano, pensi, l'ennesima petroliera deve essersi aggiunta allo sterminato cimitero di navi che giacciono sotto la sabbia. E sì, continui a pensare, sei esattamente come uno di quei pesci, o gabbiani, invischiati nell'oro nero della civiltà, e consapevoli che l'ultima cosa che vedranno sarà solo questo. Nero.
Finalmente sai che cosa significhi essere prigionieri del proprio corpo. E se potessi, piangeresti. Perché il panico ti attanaglia la gola, scalcia nel petto, ti trancia il respiro, e vorresti solo spalancare la bocca e annaspare in cerca di aria, mentre l'oscurità continua a comprimerti, come una tonnellata di litri d'acqua.
Ma comprendi, ben presto, nella lucida rassegnazione che segue i tuoi ripetuti parossismi di tormento, di doverti affidare ad altro, alla sola cosa che ti rimane e che trascende il movimento.
Ti affidi ai sensi.
Rimani in ascolto, in attesa, di che cosa non lo sai nemmeno tu.
E all'improvviso lo senti, sopra a tutto questo silenzio.
Un brusio. Un vociare. Come di migliaia di zanzare che ti sussurrino malignamente all'orecchio la loro sete, un attimo prima di addormentarti. E come il buio, ti accerchia. Ti sta tutt'intorno, senza che tu possa carpirne la fonte.
Al che la tua mente comincia a viaggiare.
Pensi a una strada trafficata all'ora di punta.
Pensi a una notte stellata, e a un campo di grano. E al canto delle cicale che si leva a infrangere la quiete.
Pensi a un immenso mercato all'aperto, e alla folla che lo percorre, alle centinaia di persone che si riversano da ogni parte, come un'incontenibile frana.
Spingono, come un corpo unico, tutte nella stessa direzione, esattamente contraria a quella in cui il tuo sguardo si perde, sognante.
Scalciano, sgomitano, calpestano, travolgono, e come un giunco sradicato dalla forza della corrente, tu non puoi fare altro che lasciarti trascinare, da questa rovinosa orda di vite umane.
Non hai più alcun controllo, nessun potere decisionale, sei solo un corpo inerme, eternamente condannato a veder scorrere davanti a sé la pellicola degli eventi, senza però prendervi parte.
Implori te stesso, ora più che mai, di mantenere la calma, quasi temendo che il pensiero, forse l'unica cosa che ancora ti impedisce di impazzire, ti abbandoni anche lui, come l'ultimo degli amici.
Ma lo strepito aumenta, ti assorda, ed ogni singolo granello che lo compone è come un artiglio ritorto che graffia e scava, sempre più a fondo, nelle tue orecchie, fino a che il rumore non diventa dolore. Daresti qualunque cosa, ciò che ti è più caro al mondo, per portarti le mani alla testa, e chiudere fuori il caos che ora imperversa anche da dentro.
Rimpiangi l'oscurità, e il silenzio che la permeava fino al midollo.
Se prima tutto era fermo, un frangibile limbo di cristallo con te, anima persa, che ci stavi in mezzo come una statua di ghiaccio, ora ogni cosa sembra essersi rivelata ai tuoi occhi per quel che era davvero, trovando la propria forma definitiva in quella di un mercato degli orrori, animato da fantocci senza volto che neppure lontanamente emanano il calore degli uomini.
Tu, invece, sei rimasto sempre uguale, come un bambino mai cresciuto, circondato da migliaia di presenze e comunque solo, smarrito, con quel ghiaccio che inizia a sciogliersi sul tuo volto a mo' di pianto.
E forse per una spontanea associazione di pensiero, forse per un qualche strano meccanismo antalgico della tua mente che sta per congedarsi in via definitiva, senti riaffiorare dai meandri del tuo essere parole che credevi dimenticate, così come dimenticata credevi che fosse la voce che le pronunciò la prima volta.
«Mi hai capito, Enrico? Stammi sempre accanto, percorri i miei passi a uno a uno e, se mai ti capitasse di perderti, rimani fermo dove sei. Rimani fermo, Enrico, chiaro? Così mi basterà tornare indietro per trovarti»
Ed è quello che fai. Anche se i passanti ti urtano in malomodo, anche se l'odore delle caldarroste è così invitante che vorresti avviarti nella sua direzione per sentirlo meglio, anche se fa freddo e il tuo primo istinto è quello di avvolgerti più stretta la sciarpa intorno al collo.
Non contrai un muscolo.
Le mani sono rilassate nelle manopole di lana, ciascun dito immobile e insensibile come un vermicello sotto la terra.
Una vecchia signora ti passa davanti con il suo lungo cappotto di pelo di ermellino. Te lo sfrega giusto sotto il naso, che comincia a formicolare fino in mezzo agli occhi.
Non starnutire!, ti imponi, sennò non ti trova più.
E resisti, come il più caparbio dei soldati seviziato dalle forze nemiche.
Ma il tempo passa, e il tuo più acerrimo rivale adesso è la noia. Non è più così semplice obbedire al comando che ti è stato impartito. Prima di partire per la missione, la tua risposta era stata immediata e sicura. "Sissignora!". Niente se e niente ma. Non puoi mollare adesso. Devi inventarti qualcosa che riesca a tenerti impegnato. Così scopri che puoi fare un sacco di cose senza per forza doverti muovere.
Ti basta usare il cervello.
Pensi a tutte le cose che sai, e fai per ripeterle. Prima l'alfabeto, per diritto e per rovescio. Poi i capoluoghi di regione, da nord a sud, isole comprese. E le tabelline, specialmente quelle che sai meglio. 7, 14, 21, 38, 73... A quella dell'otto la maestra non ci è ancora arrivata.
Anche la testa si affatica, però, e non c'è molto che puoi fare. Non ha niente a che vedere con un comune mal di pancia. La pancia non gira come una ruota, né oscilla come un pendolo. La testa, al contrario, fa questo e altro, come se cercasse tutti i modi possibili per staccarsi dal collo.
Accidenti! Se non sei buono neppure a fare questo, come pensi di poterti arruolare? Ecco che tutti i tuoi piani vanno a monte. Devi riflettere subito su un'alternativa, altrimenti finirai per chiedere l'elemosina come quel signore laggiù, accanto alla bancarella del pane.
Quello che sta dietro alle pile di trecce, pepite e grissini è un uomo alto e robusto, con le grosse dita bianche di farina. Sotto, però, la pelle è stranamente scura, forse bruciata, e anche il grembiule che porta in vita è un curioso guazzabuglio di colori.
Quello marrone deve essere cioccolato, pensi, delle gocce che stanno sui biscotti.
Quella macchietta più chiara, invece, è sicuramente farina di segale, come quella che nonna usa sempre per la torta di mele.
Non c'è molta differenza fra un panettiere e un artigiano, ti ritrovi a pensare, né fra un bel vaso e una buona forma di pane. Entrambi usano le mani per impastare e da ambo gli impasti viene fuori qualcosa di utile.
L'artigiano del pane...
Ma no!, ti dici, Come puoi darti per spacciato così in fretta?
Ammettilo che eri a un passo dall'incamminarti verso quella bancarella, quella accanto al mendicante, per comprare una galletta con gli spiccioli che sai di avere nella tasca della giacca.
Forse anche papà si è mosso, e forse è per questo che non è ancora tornato. Forse è ancora lì che gira in tondo mentre tutti lo cercano.
Perciò non pensare più, nemmeno per un istante, di trasgredire agli ordini.
Tu andrai in guerra, correrai come una saetta sul campo di battaglia, ti getterai ad armi spiegate contro gli invasori, verrai catturato, torturato da coloro che vorranno estorcerti informazioni preziose, ma non fiaterai, mai.
Per questo ti seppelliranno vivo, inchioderanno il coperchio alla tua cassa e se ne andranno, umiliati, senza un solo augurio di buona sorte.
Ma anche allora manterrai la calma, perché affannarsi significa sprecare ossigeno e agitarsi vuol dire consumare energie inutilmente.
I tuoi compagni ti troveranno prima che sia troppo tardi, perché il tuo ultimo desiderio sarà stato quello di dirigerti verso la morte con un buon brezel tedesco fra le mani. E così, dal rifugio dei nazisti fino al luogo designato per la tua sepoltura, avrai continuato a disseminare il percorso da te compiuto di innumerevoli briciole di pane, come i bambini di quella fiaba altrettanto tedesca che tuo nonno ebbe il buon senso di raccontarti quand'eri solo un poppante.
Sarai a casa a differenza di tuo padre e, con il denaro guadagnato durante il servizio militare, siccome in quel giorno di mercato avesti una visione profetica, aprirai la panetteria dei tuoi sogni. L'artigiano del pane si chiamerà, e davanti alle sue porte, nella chiesa dirimpetto, prenderai moglie.
Lei sarà una giovane donna nel fiore degli anni, piccola e morbida, con occhi di giada, una bocca che è un papavero e un faccino impertinente, illuminato dal più bel sorriso che si sia mai visto a memoria d'uomo.
Sarà quello della vostra panetteria il riso che lanceranno sulle gradinate. Gestirete assieme l'attività e, da quel momento in poi, la vostra vita avrà ben poco di avventuroso, ma sarà comunque la più bella che avresti mai potuto desiderare.
Il pezzo forte de L'artigiano del pane sarà il pane di castagne. Con quelle avanzate ci preparerete le caldarroste, che sfrigoleranno sulla griglia del caminetto nei giorni di vetro.
Tua moglie le mangerà ogni volta come se fosse la prima, tanto le piacciono. Per questo sarà una sofferenza, per lei, scoprire di non poterle sfiorare neppure con gli occhi nei nove mesi che precederanno l'arrivo del vostro primo figlio.
Le scombussolano lo stomaco, poveretta. Ingoia solo pane integrale.
Non sarà quindi un mistero quella voglia d'un marrone sbiadito sul polso del nuovo nato.
La seconda volta, invece, andrà meglio.
Se non che i capelli rossi sulla testa della piccola saranno difficili da spiegare. Almeno finché non ti sarà venuto in mente di scorrere il tuo albero genealogico fin dove possibile, per scoprire di avere un lontano antenato irlandese.
Il piccolo bilocale sopra alla bottega sarà la vostra casa per anni. Fintantoché i vostri figli non porteranno a casa una sorpresa per Natale.
Se due randagi non possono vivere a lungo in una scatola, neppure nel caso in cui siano venuti al mondo da pochi giorni, figuriamoci due cani adulti in un minuscolo appartamento.
Ma in fondo il lavoro procede bene e la campagna ti ha sempre affascinato e, benché tua moglie sia tutto fuorché accondiscendente, il verde dei suoi occhi -lo stesso delle ortensie che scegliesti per il suo bouquet di nozze- la dice lunga su quale sarà la sua opinione in merito. Una volta che vi sarete trasferiti, le uniche obiezioni che avanzerà arriveranno quando, un giorno, i vostri figli varcheranno la soglia del cortile sulla groppa di una giovane giumenta.
Sarà la stessa che il vostro piccolo uomo cavalcherà fin sotto il balcone della sua amata per chiederne la mano (impresa che si rivelerà un efficace memento in occasione dei suoi esami di letteratura straniera.)
La vostra eterna bambina non si dimostrerà di certo meno intraprendente, dal momento che le sue lettere dalla Francia giungeranno solo molti giorni dopo l'inizio delle disperate ricerche che la daranno per dispersa. Una fuga d'amore? Assolutamente no. Soltanto una mostra di fotografia internazionale. Dalla quale farà ritorno con una valigia in più e una proposta di fidanzamento in carne e ossa.
L'hai capito ormai da un pezzo: le ambizioni dei tuoi figli vanno ben oltre L'artigiano del pane. Ma quando, commosso, guarderai tuo nipote legarsi in vita il grembiule che tu indossasti per anni, penserai al giorno in cui la campanella sulla porta della panetteria annunciò il suo ingresso, tra le braccia della moglie di tuo figlio, e al fatto che, dinanzi a tanta bellezza, la panetteria fu l'ultimo dei tuoi pensieri.
Sarà probabilmente l'unico nipote che riuscirai a stringere tra le braccia più di due volte all'anno. È veramente un peccato che la più grande passione di tua figlia sia diventata il lavoro che ha sempre desiderato fare, e che le abbia dato dimora in Amazzonia, in Tanzania, in Vietnam, in Mozambico, in Kenya, Madagascar...
Almeno la tua collezione di cartoline non conterrà doppioni, anche se spesso quel simpaticone del tuo genero si divertirà a citarti l'Orlando in lingua d'oc.
La vecchiaia sarà proprio come te la immaginavi da piccolo, osservando gli anziani che sedevano sul ciglio delle strade: pigra.
Sarà più il pane che mangerai di quello che farai con le tue mani. Ma quello che mangerai lo avrà preparato il sangue del tuo sangue, e tanto basterà a rallegrarti la giornata.
La panetteria verrà ampliata e, siccome i tuoi pronipoti diventeranno degli esperti pasticcieri, vi saranno aggiunti sedie e tavoli, e ghirlande e festoni così colorati da darti il capogiro. Ma in questo modo, anche quando non avrai più la forza necessaria a dirigere la cucina, potrai sempre mantenere un occhio vigile sul lavoro dei tuoi cari e gioirne insieme a loro.
Quando infine giungerà il tuo momento, la casa odorerà di biscotti appena sfornati, e nell'aria aleggerà il dolce tepore della cioccolata calda.
Siederai in poltrona, i palmi aperti adagiati sui braccioli, le gambe perfettamente perpendicolari al pavimento, la testa poggiata allo schienale -solo leggermente china sulla tua spalla- e le labbra dischiuse, come a voler saggiare per un'ultima volta quel profumo che ha sempre fatto parte della tua vita.
Sarai talmente stanco, avrai una tale voglia di dormire, che non ti domanderai neppure a che punto siano le lancette sul quadrante dell'orologio a muro.
Chiuderai gli occhi, e tenderai le orecchie alle risate dei bambini, intenti a inseguire nella neve quei due cuccioli identici ai randagi che i tuoi figli portarono a casa la prima volta.
Un puledro leverà al cielo il suo nitrito giulivo, ma nell'istante in cui lo farà, tu sarai lì lì per perdere i sensi, e non saprai più distinguere il presente dal ricordo di quella giumenta che fece saltare i nervi a tua moglie.
Inavvertitamente, sorriderai.
Quando la tua famiglia si riunirà attorno a te in un mormorio concitato, una voce ti parrà elevarsi sopra alle altre, una voce che credevi dimenticata da tempo.
«Enrico!», esclama, e quanto sollievo le gonfia il cuore. «Non ti vedevo più! Ma dov'eri finito?»
«Sono sempre stato qui, mamma», rispondi, mentre lei, china su di te, passa un dito prima sulle sue labbra umide, e poi sulle tue guance velate di polvere. «Sono rimasto fermo, come mi hai detto tu.»
Lei sorride, si rialza e ti tende una mano guantata di bianco.
«Vieni, ti preparo una bella cioccolata calda», sussurra dapprima, come se si apprestasse a confidarti il più grande dei segreti, e dopo, mentre la tiepida luce della sera riscalda le vostre mani intrecciate, soggiunge: «Papà è tornato a casa.»
Angolo Autrice
Il titolo, così come la prima parte del racconto (anche se non sta a me dirvi quale, secondo me, è la prima parte, visto che potrei intralciare la vostra interpretazione del tutto XD) e il finale, è ispirato al seguente brano:
Mi pareva doveroso inserirlo, dato quanto mi è stato di aiuto nella stesura della storia.
Detto ciò, spero solo di non aver fatto fiasco.
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