Prologo [R]
Il cavallo dalla criniera scura galoppava velocemente verso una meta sconosciuta. Gli zoccoli scuri calpestavano il terreno friabile, reso tale dalla pioggia che ancora imperversava. Il cielo era nero, illuminato dai lampi e squarciato dai tuoni. La pioggia cadeva fitta e bagnava il terreno e la vegetazione circostante; la figura incappucciata procedeva con la sua corsa. L'animale, sfiancato dal galoppo, cominciò a rallentare e il suo cavaliere digrignò i denti: dovevano correre, avevano poco tempo.
In lontananza le urla e il rumore degli zoccoli dei cavalli si avvertivano nonostante lo scrosciare della pioggia. La figura, coperta interamente da un mantello nero, teneva stretto tra le braccia un cesto di vimini al cui interno giaceva addormentato un piccolo esserino. Gli occhi scuri della figura si fermarono pochi secondi ad osservare il viso pacifico della bambina, prima di tornare ad osservare la strada davanti a sé. Erano quasi arrivati.
Con una mano spronò il cavallo a continuare la sua corsa e strinse le briglie con la mano libera fasciata da bende giallastre. L'animale tornò a correre, nonostante la fatica, e la figura si voltò all'indietro scorgendo appena qualcuno seguirli. Il suo compito era stato eseguito.
Nonostante la pioggia fitta, una piccola casa si erigeva nel centro della boscaglia. Era una struttura nuova, completamente ricoperta di pietre, ad un piano e abbastanza grande da contenere diversi persone. Era circondata completamente da arbusti e questi ne favorivano la poca visibilità. La figura fermò il cavallo e scese dal suo dorso, avvicinandosi al muso della bestia. Lo accarezzò un paio di volte prima di mandarlo indietro e avventurarsi all'interno della boscaglia. La pioggia aveva bagnato completamente il suo mantello rendendo faticoso il passo, ma era importante mettere in salvo quel bambino.
La porta era di legno, grossa e corposa. Si appoggiò alla sua consistenza prendendo diversi respiri, prima di accovacciarsi verso il basso. Depositò la cesta a terra; coprì la bambina con la sua coperta e la osservò. Quell'esserino aveva meno di un anno di vita eppure era così forte, lo avvertiva. Sul braccino destro regnava una scritta, recitata a caratteri scuri e nitidi La figura sospirò prima di afferrare un ciondolo dall'interno del mantello e inserirlo nella culla. Era una collana con una lacrima azzurra.
- A tempo debito saprai come usarla. Arrivederci, Solange.
La figura si alzò, bussando al portone con insistenza, prima di scappare nella direzione opposta. Mentre la pioggia continuava a cadere spessa sul suo mantello, si voltò verso l'entrata della casa e vide una donna accogliere la cesta in casa. Sorrise tra sé e sé e percorse il sentiero in un'altra direzione.
Il suo compito era compiuto.
Allender era una cittadina del Nord della Svizzera isolata dal resto del mondo e abbandonata dagli uomini. Era sconosciuta alla maggior parte delle persone e i pochi cittadini che pullulavano all'interno del suo perimetro erano poco propensi ad espandersi o a conoscere altre persone. In tutto era abitata da una cinquantina di persone, per lo più anziani, ed era caratterizzata dalla suddivisione in frazioni.
L'unica forma di "vita" si trovava in una di queste piccole sezioni: Northlem.
Northlem era immersa nel verde: circondata da piante sempreverdi e arbusti di varia taglia. La frazione era caratterizzata da un'unica abitazione: una specie di orfanotrofio costruito esattamente al centro di una vasta radura. La piccola casetta era stata fatta interamente in pietra grigia, in modo da confondersi con il resto della vegetazione, e spiccava per un'unica cosa: il comignolo rosso fuoco. Il piccolo edificio si estendeva su un unico piano e in larghezza; al suo interno c'erano dieci diverse stanze comprese di bagno e salotto ricreativo. Era una struttura adibita ad orfanotrofio, l'unica nel quale si potevano vedere bambini. Generalmente le famiglie che desideravano adottare i pochi ragazzi rimasti al suo interno provenivano da fuori Allender. L'orfanotrofio era piuttosto famoso per essere poco frequentato e soprattutto per non avere tanti bambini. Solitamente i pochi ragazzini che abitavano la struttura andavano poi ad abitare nella vicina Allender.
Northlem aveva, poi, un'altra caratteristica: il vento. Da Luglio a Novembre soffiava, tra le guglie della frazione, sempre una brezza fredda e senza rumore. Il suo arrivo passava inosservato alla maggior parte degli abitanti abituati a tale agente atmosferico. Scuoteva le fronde degli arbusti e lasciava che perdessero le poche foglie colorate, nate con l'autunno. La neve non era mai arrivata in quei paesini e raramente si riusciva a scorgere anche solo quel poco che si formava sulle montagne intorno alla radura. I bambini giocavano all'aperto raramente, colpevole anche il clima poco favorevole, e solitamente rimanevano all'interno a leggere e giocare a nascondino tra le piccole mura.
Solange, chiusa ormai da venti anni all'interno di quell'edificio, era l'unica ad accorgersi sempre del cambiamento atmosferico. Viveva ogni giorno svogliatamente, nonostante la sua curiosità, solitamente chiusa nella biblioteca a leggere qualche romanzo giallo o horror. Poco le si addicevano quei romanzi d'amore dove la protagonista trovava l'amore della sua vita. La ragazza, in tutta la sua esistenza, era stata a contatto solo con altri bambini più piccoli di lei o addirittura con le levatrici, mai con ragazzi o loro simili. Avevano una piccola televisione che di tanto in tanto trasmetteva qualche vecchio film in bianco e nero, ma nulla di particolarmente emozionante.
Nonostante fosse sempre stata una bambina curiosa e chiacchierona, una volta raggiunta la maturità Solange era diventata stranamente silenziosa, chiusa nel suo guscio di indifferenza e disagio. Parlava raramente e i pochi prescelti sapevano di essere fortunati a sentirla discutere su qualcosa. Era solita aiutare le levatrici in casa con i più piccoli o aiutare nella lettura Diane, l'unica bambina che le fosse mai piaciuta davvero all'interno della struttura. Era spigliata per avere solo dieci anni e curiosa, come lo era stata lei, sperava davvero che non la perdesse una volta cresciuta.
Solange era stata trovata sull'uscio dell'orfanotrofio in una cesta di vimini avvolta in una copertina e con il nome segnato sul braccio destro. Le levatrici non sapevano chi l'avesse lasciata e, soprattutto, perché fosse approdata in quel paesino sconosciuto al resto del mondo. Durante gli anni, attraverso gli occhi di una bambina, si era sempre chiesta quando i suoi genitori sarebbero tornati a prenderla. Quando compì quindici anni, Solange comprese che nessuno sarebbe arrivato per lei. Aveva imparato a convivere con il fatto che, oltre ad essere un'orfana, era una completa sconosciuta. Quasi non fosse mai esistita davvero. Ormai erano venti anni che l'orfanotrofio era casa sua e non si aspettava nulla di diverso dalla vita.
Quel giorno Solange avvertiva qualcosa di differente e particolare: il vento non soffiava. Ormai conosceva bene quell'agente atmosferico e vedere le fronde degli arbusti che occupavano il cortile immobili le fece sorgere delle domande. La radura era ancora verde, nonostante alcuni sprazzi di arancione e giallo qua e là, e il cielo cominciava a colorarsi di una strana sfumatura rosa. Alcuni uccellini cinguettavano in lontananza.
Qualcuno stava arrivando all'istituto.
Un rumore lontano giunse alle sue orecchie sensibili. Solange si allontanò dalla finestra: il suono divenne sempre più forte. Uno scoppio la fece sussultare; distolse lo sguardo dalla finestra e si avvicinò cautamente alla porta. I piedi, coperti da delle semplici scarpe nere, strusciarono silenziosamente sul pavimento ruvido e anche il respiro sembrò fermarsi per essere più silenzioso. Si avvicinò con l'orecchio al legno, una volta raggiunta la porta, e poté avvertire chiaramente qualsiasi suono, sfruttando la sua sensibilità. Solange sentì una delle levatrici cominciare a parlare e le sembrava piuttosto stupita dal tono che utilizzava. Un fruscio di passi raggiunse le sue orecchie e la spinse ad allontanarsi. Si avvicinò nuovamente alla finestra, stringendosi nel suo maglione chiaro troppo grande e aspettò che qualcuno bussasse. Il suono delle nocche sul legno della porta le fece prendere un respiro profondo. La porta si aprì, scricchiolando, e una delle sue educatrici entrò nella stanza.
- Sol, ci sono delle persone per te.
La ragazza sollevò lo sguardo e lo puntò nelle iridi scure della donna. Nessuno era venuta mai a reclamarla in venti anni, chi mai poteva cercarla? Il viso della donna, però, non trasmetteva emozioni e non riuscì sinceramente a capire chi potesse essere. Forse finalmente qualcuno era venuto a prenderla? Escluse quel pensiero all'istante perché sapeva di non potersi illudere. Aveva raggiunto l'età necessaria per poter uscire da quell'orfanotrofio e trovare la sua strada; eppure ancora non lo aveva fatto e l'unica spiegazione che sapeva darsi era che c'era qualcosa che la spingeva a rimanere. Non aveva ancora capito cosa, però.
Solange lanciò un'ultima occhiata alla finestra dietro di sé, come ad imprimersi quell'assenza di vento, si strinse nel suo maglione e annuì in direzione della levatrice. Seguì la donna fino al piccolo salotto ricreativo nel quale venivano, solitamente, accolti nuovi orfani. Un paio di volte scorse la sua educatrice voltarsi verso di lei come ad accertarsi della sua presenza: Solange era nota per il suo silenzio, non solo a parole, ma anche nel non produrre rumori. Non appena scorse il salone si preparò mentalmente a ciò che stava per aspettarla, ma non avrebbe potuto immaginare nulla di simile.
Una donna era seduta al tavolo; era giovane, aveva lunghi capelli biondi che le arrivavano a metà schiena, degli occhi glaciali e un sorriso dolce dipinto su labbra che non sapevano portarlo. Aveva un viso delicato ed era oggettivamente una delle donne più belle che avesse mai visto, era molto minuta e magra. Emanava strane sensazioni e Solange non riusciva ad individuare quali fossero esattamente. Accanto a lei c'era un uomo: sulla cinquantina, capelli scuri ma brizzolati, gli occhi color caramello e una barba anch'essa grigia; una fossetta laterale sembrava nascondere un difetto della pelle. Aveva uno sguardo decisamente meno accomodante e più austero di quello della donna, ma aveva degli occhi in cui Solange sembrava perdersi.
Nell'esatto momento in cui i due si accorsero di lei si zittirono, rivolgendo i loro sguardi su di lei. La donna la squadrò dalla testa ai piedi, sorridendo, mentre sembrò cogliere un moto di sorpresa negli occhi dell'uomo. Non le piaceva essere osservata, la faceva sentire in soggezione. C'era qualcosa di strano in loro, qualcosa che non aveva mai avvertito nelle sue levatrici. Non aveva avuto modo di studiare altri esseri umani adulti oltre loro due, ma questi che le si presentavano davanti sembravano avere un'aura strana. Sembrava stesse parlando di uno dei libri di fantasia che leggeva in biblioteca e, soprattutto, lei sembrava interpretare la parte di Sherlock con tutte le deduzioni del caso.
La donna sorrise affabile e incrociò le gambe magre, in un chiaro segno di divertimento. Si schiarì appena la voce e poi pronunciò delle parole che Solange non avrebbe mai dimenticato.
- Solange, noi siamo i tuoi nuovi protettori o, se vuoi, puoi chiamarci genitori.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top